La trepidazione e la frenesia a Manhattan sono ormai incontenibili. Che c’è di strano, direte voi, New York, la vita notturna, il quartiere più famoso del mondo. Già, peccato che la suddetta Manhattan sia la base del campus di Kansas State, ben meno abituata alle frivolezze e agli scintillii dell’invidiata omonima, situata com’è nel nulla sterminato della Corn Belt americana, a ridosso del Missouri, risucchiata come Kansas City nelle influenze dello stato contiguo che confina a est. Il segreto del nuovo appeal che la Manhattan del Kansas ha guadagnato a livello nazionale, riposa nelle gesta dei suoi beniamini: i Wildcats sono in testa alla Big 12 con un record immacolato di 7 vittorie e 0 sconfitte e per la prima volta offrono un fortissimo candidato al trofeo Heisman: il loro quarterback Collin Klein.

Collin Klein non è uno che sfonda nei cuori degli appassionati. O meglio, non è uno che buca lo schermo, come si dice in gergo. Nonostante la stazza più che rispettabile (103 chili per un metro e 96 centimetri), il taglio militare e la sua faccia da tipico ragazzo delle pianure americane lo mantengono piuttosto anonimo agli occhi del grande pubblico. E nelle interviste sempre la solita solfa: il noi che non abbandona mai. Il merito è di tutti: facciamo, lottiamo, vinciamo. Difficilmente lo sentirete vantarsi degli innumerevoli highlights che sta regalando in questa magica annata.

Al match di sabato scorso tra Kansas State e West Virginia si chiedeva di sciogliere diversi nodi che l’inizio di stagione aveva intrecciato settimana dopo settimana: l’arrembante UWV vista a settembre e ottobre reclamava lo scalpo dei Wildcats per rilanciarsi dopo la gragniuola di colpi subita da Texas Tech. K-State voleva confermarsi pirata da trasferta, avendo già profanato i templi di Oklahoma e Iowa State. E poi c’era lo scontro nello scontro: Collin Klein contro Geno Smith, i due più papabili front runner per l’Heisman Trophy.

Come è andata lo sapete tutti, con Klein “in una di quelle giornate”, infallibile con i suoi 19 completi su 21 tentativi, 323 yards lanciate (record personale), 4 mete più altre 3 su corsa.

Non male per un atleta universalmente temuto più per la sua mobilità, che per la sua abilità aerea, sempre troppo sottovalutata per la meccanica di braccio poco naturale, come tutti i quarterback costruiti nel tempo e non naturalmente predisposti (proprio come Taylor Martinez, per fare un altro nome illustre). E sorpasso effettuato sull’avversario diretto Geno Smith, costretto ad arrendersi ai primi 2 intercetti della sua stagione ed a un misero bottino di 143 yards contro una difesa maestosa, guidata dal linebacker Arthur Brown, in odore di selezione per il prossimo All American team. Il 55 a 14 finale è fin troppo eloquente, con il pubblico di casa del Mountaineer Field costretto ad assistere al trionfo di Klein, per quelli che già non se ne erano andati al termine del terzo quarto lasciando varie macchie di spalti vuoti nell’ultimo, inutile frazione di gioco.

Bisogna onestamente confessare che la difesa di West Virginia di quest’anno oscilla pericolosamente tra il vergognoso e l’indecente e alcuni analisti hanno giustamente suggerito che è ciò che ci si può aspettare quando si assume un ex coach degli special team come assistente difensivo.

Comunque il coach dei Mountaineers, Dana Holgorsen, ha voluto contribuire all’investitura del quarterback originario del Colorado, che è stato responsabile di 7 TD contro la sua squadra: ”Non sbaglia mai, è difficile da buttare a terra e non sparacchia mai la palla”, continuando, con lo sguardo fisso in un punto imprecisato della sala stampa, “Possiamo restare qui a raccontarci storie su quanto non sia fluido il suo lancio di palla, ma l’ovale arriva dove vuole lui. E’ un buon giocatore di football”.

Coach Bill Snyder, una figura carismatica a K-State che rasenta quasi il mitico, 73 anni, due vite sportive, sempre a Manhattan, sempre a condurre i Wildcats in uno stadio che già gli è stato intitolato – insomma, una leggenda – si è distinto dal suo collega, elogiando piuttosto la bontà del suo organico: “Sono soddisfatto di come i ragazzi hanno approcciato la partita, abbiamo giocato alla grande. Sono orgoglioso di come hanno mantenuto la concentrazione”. E se proprio qualche complimento deve scappare, Snyder lo indirizza all’intero pacchetto difensivo:”La nostra difesa si è comportata molto bene e la nostra pass rush ha tormentato Geno Smith per tutto l’incontro, mettendogli molte volte le mani addosso”.

Dato che Snyder si può ritenere come un padre putativo per Collin Klein, non è difficile ricondurre l’origine dell’umiltà e della dedizione con cui il numero 7 si schernisce davanti ai microfoni, nonostante sia nel pieno della sua migliore stagione, nella quale ha già fatto registrare  24 TD totali e solo 2 intercetti.

Umiltà e dedizione proprie di un programma che non può contare su un recruiting tra i primi della nazione, ma che è orgoglioso del proprio solido sistema.

Solido, ma poco spettacolare come Klein, che nelle sue ormai solite cavalcate poco spazio lascia all’eleganza, previlegiando una potenza che pochi interpreti del ruolo possono vantare. Alla non perfetta meccanica di lancio abbiamo già accennato, alla quale però affianca un’accuratezza e un’efficacia impareggiabili.

Il destino beffardo pone come prossima avversaria quella Texas Tech che ha cominciato ad intaccare l’imbattibilità e il credito di cui vantava Geno Smith come front runner all’Heisman, coincidendo invece con la scalata che ha issato Klein al ruolo di favorito.

Il playmaker dei Wildcats sa che la strada verso una stagione da imbattuti ed il trono da successore di Robert Griffin III è molto impervia. Ed è per questo che affronterà i Red Raiders con la solita incrollabile fiducia nei compagni e nel proprio staff tecnico, non mutando nulla nel suo atteggiamento.

Con la sicurezza che, se per caso centrasse l’ennesima prestazione di alto livello, non ne verremo sicuramente informati dalle sue dichiarazioni post partita.

 

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