Cam Newton ed il suo inconfovdibile sorriso festeggiano il tiutolo nazionale.

Alla fine quel sorriso smagliante ce l’ha fatta. L’avevamo potuto notare dopo ogni vittoria di Auburn, in casa, fuori, ed anche in seguito alle note polemiche cadute addosso a Cam Newton per via delle malefatte del padre, che aveva tentato di vedere al miglior offerente il prodigioso figlio rischiando di negargli questo tripudio finale, un figlio che quel caratteristico sorriso l’ha fatto apparire vicino al trofeo più importante del college football, rendendo i Tigers campioni assoluti della Ncaa solamente per la seconda volta nella loro lunga storia.

Una stagione contraddistinta dal dominio pressoché incontrastato del ranking Bcs da parte di Auburn ed Oregon è terminata con una finale ad alto contenuto emozionale, magari poco spettacolare, ma così vicina nel punteggio da porre continui dubbi nello spettatore circa l’esito finale, immaginando chi delle due sarebbe stata incoronata vincitrice della battaglia di lì a poco.
Quella disputata nella nottata di lunedì è stata una finale che ha completamente disatteso le aspettative, quelle di chi si aspettava un Cam Newton capace di dominare a 360 gradi, un LaMichael James capace di big plays elettrizzanti, e soprattutto chi attendeva al varco due difese assai generose per yards e punti concessi durante la regular season.

La parola d’ordine della gara è stata proprio difesa. Quella di Auburn era stata criticata a lungo per essere stata infilzata con preoccupante puntualità da quasi tutti gli avversari affrontati, costringendo Newton e compagni a straordinarie prestazioni offensive per bilanciare il tutto, creando talvolta i presupposti per rimonte entusiasmanti concretizzatesi anche in gare fondamentali per l’esito del campionato, su tutte quella contro Alabama.
Alla fine del National Championship, viene invece ricordata come quel gruppo di giocatori altamente motivati che ha tenuto i Ducks ad 81 yards su corsa totali contro le 303 di media percorse normalmente senza nemmeno fare troppa fatica, e dotata di una preparazione di alto livello per il contenimento della spread option praticata da Chip Kelly.

E’ stato un confronto ad alto tasso tecnico, degno di una finalissima, con sprazzi di lungo equilibrio misti ad improbabili rientri in gara proprio nel momento in cui la stessa pareva essere decisa irrevocabilmente.
Un primo tempo dove ognuna delle due squadre aveva mostrato debolezze parziali aveva poi lasciato il palcoscenico al dominio di Auburn, impercettibile nel punteggio, rimasto a lungo ad un solo possesso di distanza, per poi dare il via ad un finale esplosivo, rocambolesco, e ad una conclusione a tempo scaduto degna delle migliori partite disputate nella storia, ben distante da quelle finali dove il risultato viene deciso troppo presto per disparità dei valori delle protagoniste in campo.

Difesa, dicevamo. Quella dei Tigers aveva già messo le mani avanti nel primo quarto dimostrando di saper leggere alla perfezione gli handoff di Darron Thomas (encomiabile con le sue 363 yards aeree) e le sue relative finte, riempiendo il mezzo di corpi ingombranti ed impedendo a James e compagni di rimbalzare all’esterno e girare l’angolo, forzando presto dei 3 & out ed intercettando Thomas un paio di volte, impedendo alla perfetta macchina offensiva oliata negli anni da Kelly di prendere ritmo e funzionare come aveva sempre fatto negli ultimi tempi, facendo terminare ogni gara ben prima della fine del quarto periodo.

Un intercetto lo subiva pure Newton, nel primo quarto, senza pagare dazio in termini di segnature degli avversari, in un episodio che lo vedeva lanciare forzatamente in doppia copertura sul suo uomo, un errore assolutamente perdonabile per quanto fatto da lui vedere complessivamente (265 yards su lancio, 64 su corsa), e per la sensazione di dominio psicologico e fisico che avrebbe dato in seguito a chi assisteva all’evento.

Tuttavia, era Oregon a mettere i primi punti a referto con un field goal, per il quale bisognava attendere il secondo periodo, utilizzando contro Auburn la stessa arma offensiva da lei praticata, la high tempo offense, ovvero la no-huddle professionistica traslata al college, che ha, nella sostanza, i medesimi intenti di non permettere sostituzioni difensive facendo stancare i presenti in campo.

I Ducks prendevano fiducia da un paio di mini-esplosioni di James in campo semi-aperto, senza troppe conseguenze sul punteggio vista l’assenza di touchdowns, che i Tigers invece segnavano per primi, grazie alla metodica avanzata del pallone che avrebbero messo in opera nel secondo quarto una volta intuiti i punti deboli degli avversari, terminando il loro primo drive di successo con un passaggio centrale raccolto da Kodi Burns, che aveva sprintato indisturbato in endzone con la complicità di un placcaggio mancato.

La voglia di osare e di giocarsi il tutto per tutto si era impadronita di Chip Kelly proprio in seguito a quella segnatura, e da lì era nata una serie di chiamate audaci che avevano posto l’inerzia dalla parte dei Ducks. La serie successiva ripartiva con una playaction mortifera attraverso la quale Thomas pescava il “solito” Jeff Maehl (9 x 133) in profondità per una ripartenza in redzone, rifinita pochi istanti più tardi dalla meta di LaMichael James (solo 88 yards totali), poi trasformata da due punti per via di una finta ben congegnata, con una option in corsa giocata tra kicker e holder, giocata a dadi con la sorte che aveva posto il punteggio su uno strano 11-7. Quando poi Newton non convertiva un quarto e uno quasi sulla goal line per esclusiva colpa del suo ricevitore dopo essere stato steso da Casey Matthews nel down precedente, pareva proprio che Oregon avesse potuto prendere il sopravvento.

L’episodio chiave di tutto il primo tempo coinvolgeva, stavolta negativamente, ancora James, il quale veniva atterrato per una safety dentro la propria area di meta per ridurre lo svantaggio a due punti, proprio nel momento in cui i Tigers cominciavano a non fermarsi più nelle avanzate piccole ma costanti che li portavano nel giro di breve tempo nuovamente in redzone, in una situazione da cui nasceva la meta di Emory Blake con una ricezione di 30 yards, nata da una playaction studiata su un crescente Michael Dyer, che stava lentamente diventando un grosso problema per la difesa di Oregon.

Auburn ricominciava esattamente da dove aveva terminato, solo con meno precisione una volta giunta nelle zone più calde del campo. La ripresa delle operazioni fruttava altri tre punti, e se Newton avesse connesso con lo smarcatissimo Adams per un big play, avrebbe praticamente chiuso la partita anzitempo. Nel contempo, i problemi di accoppiamento nelle marcature emergevano alla distanza, con le secondarie dei Ducks a trovarsi spesso sguarnite per i ritardi dei safety e con il coaching staff furbo a sfruttare per due volte il mismatch in marcatura tra il defensive end Kenny Rowe ed il fullback di turno.
Darron Thomas aveva prodotto quanto di meglio aveva potuto, convertendo anche un quasi impossibile terzo e sedici dalla sua goal line, ma il devasto apportato da Nick Fairley, Mvp difensivo della gara con i suoi 5 tackles per perdita di yards, non permetteva di prendere decisioni calme. Coach Kelly, audace per tutta la giornata, aveva anche giocato un quarto e corto alla mano anziché prendersi un comodo field goal, decisione che sarebbe pesata molto sul risultato finale.

Il break che regalava un pareggio che se ne stava andando sempre più distante giungeva inaspettato: con Newton a praticare una delle sue specialità, mettere in ghiaccio la gara attraverso corse fisiche, toccava all’ennesimo membro di rilievo della famiglia Matthews, Casey, compiere il miracolo, rimontando l’Heisman Trophy da dietro e provocando un fumble che avrebbe innescato la meta di LaMichael James, la sua seconda personale, e la conseguente trasformazione da due punti, su uno splendido gioco chiamato da Kelly dove Thomas eseguiva la classica bootleg a destra, ma lanciava inaspettatamente ad incrociare il campo.

Con due minuti abbondanti sul cronometro di un quarto periodo impattato a quota 19, Michael Dyer produceva 37 delle sue 143 yards in maniera rocambolesca, ovvero attraverso un mancato placcaggio che lo vedeva tenere le ginocchia alte da terra, proseguendo la sua galoppata solo in seguito alle agitate indicazioni provenienti dalla sideline. L’azione veniva rivista dagli arbitri per determinarne la correttezza finendo per essere confermata, non veniva invece revisionata la corsa seguente, che si spegneva sulla linea della yarda e regalava al recordman Wes Byrum, detentore del maggior numero di punti segnati in carriera ad Auburn, di infilare una delle conclusioni più facili della sua vita, che verrà ricordata come la più importante di tutte.

La stagione perfetta dei Tigers viene dunque coronata dal premio più ambito dell’universo Ncaa, e Gene Chizik centra l’impresa solamente al suo secondo anno da head coach in loco, rompendo un digiuno che perdurava dal 1957.
L’allenatore ha spesso mostrato un atteggiamento molto sicuro di sé e dei suoi ragazzi, l’obbiettivo di fare le cose in grande non era ritenuto raggiungibile da nessuno ad inizio anno, l’avrebbe sottolineato anche Newton nelle interviste post-gara, ma questo gruppo di giocatori ha davvero dimostrato di non mollare di fronte alle avversità, di fronte alle critiche ed ai continui pronostici che li volevano prima o poi perdenti, e la loro bersagliata difesa ha disputato un’eccellente prestazione mandando fuori fase l’attacco più veloce della terra nell’allestire drives conseguiti in touchdowns, negando ad Oregon la propria arma migliore, e mettendola psicologicamente in difficoltà facendole affrontare una situazione inedita per quest’anno, un quarto periodo sotto nel punteggio.

Auburn regala il settimo titolo (quinto consecutivo) dell’era Bcs alla Sec, che si conferma essere conference di ferro, in continua produzione di squadre in grado di dominare la stagione.
In attesa di sapere chi sarà la prossima, Cam Newton si gode l’epilogo più bello che avesse mai desiderato per la sua carriera, e la sua immagine resta indelebilmente legata a quel sorriso, che gli spunta naturalmente ogni qualvolta qualcuno lo approcci per scambiare due chiacchiere su questa fantastica avventura, sperando che i guai provocati dal padre non abbiano ripercussioni future sulla sua memorabile annata.

2 thoughts on “Tigers campioni, quel sorriso non si spegne

  1. Io ho visto stamane la registrazione: personalmente, come partita mi è piaciuta. E’ stata molto combattuta, ed è stata l’epitome della bellezza anche del college football. E poi, a differenza della “Sportnation”-BCS sloppy, io la considero una delle più belle finali degli ultimi anni. Infine, una statistica: quinto campionato di fila della SEC. Ribadisco, grande stagione di NCAA Football!!!!!

  2. E’ stata una partita molto, molto equilibrata con l’errore della difesa dei Ducks sulla corsa di Dyer a decidere il tutto.
    Dispiace perché l’equilibrio è stato rotto solo dalla superficialità di Pleasant sul placcaggio, buttando all’aria una grande rimonta firmata da Darron Thomas, che ha assai stupito dopo un inizio travagliato.
    LaMichael James non è stato un fattore, ma se non ho capito male è stato un po’ frenato da una frattura al mignolo sinistro.
    Veramente ottima la pressione che la linea difensiva di Auburn ha manifestato per tre quarti, poi con la stanchezza di questa si è un po’ riproposta l’esuberanza dell’attacco dei Ducks, che ha prodotto la rimonta del quarto quarto.
    Concludo parlando del sorriso di cui parla Dave nel suo bell’articolo: occhio, Cam Newton è venuto fuori da tante, tante difficoltà in questi anni di college, non scommetterei contro la sua capacità di riuscire ad emergere anche al piano di sopra, nonostante i dubbi tattici e tecnici sul numero 2…

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