La famosa doccia di Gatorade, stavolta scaricata sulla schiena di Bob Stoops. Mai sensazione fu così piacevole...

E’ buffo vincere tante partite, essere un head coach considerato tatticamente come una delle grandi menti complessive del college football contemporaneo, e non riuscire a portare il proprio compito fino in fondo per così tanto tempo.
Bob Stoops si portava appresso un’etichetta che negli ultimi 7 anni non era riuscito a scucirsi di dosso, per quanto impegno ci avesse messo e per quante vittorie avesse accumulato negli anni in una conference di alto livello competitivo come la Big XII, veniva sempre ricordato per la mancanza di successo nei momenti topici della stagione.

8 qualificazioni in 13 anni in Bowls Bcs sarebbero stati numeri d’effetto per chiunque.
Ma per i detrattori contavano di più le sconfitte Bcs accumulate dal 2003 ad oggi, compresa la disfatta contro Boise State, in una gara consegnata direttamente alla leggenda da Jared Zebransky e Ian Johnson.

Il Fiesta Bowl tra Oklahoma e Connecticut era il più pronosticabile dei cinque con ogni probabilità, tenendo in considerazione il fatto che i Sooners avevano mostrato per tutto l’anno un attacco di enormi potenzialità sfruttate quasi sempre al massimo abbinando ad esso una difesa a tratti dominante, e che gli Huskies, presenti nella divisione maggiore della Ncaa solamente dal 2000, avevano fatto molto più di quanto in realtà avessero potuto, conquistando la Big East per i capelli rompendo una situazione di pareggio con Pittsburgh e West Virginia attraverso il meccanismo del tie breaker, ottenendo una prima e storica qualificazione ad un Bowl Bcs che aveva tutto il sapore dell’impresa titanica.

Ma UConn non era giunta all’University Of Phoenix Stadium semplicemente per recitare il ruolo di squadra materasso, al di là del punteggio finale, rotondamente a vantaggio dei più forti ragazzi di Stoops, gli Huskies si sono dimostrati una compagine meritevole di essere arrivata fino a quel punto, evidenziando nel contempo alcuni limiti, soprattutto nel talento a disposizione, che hanno alla fine pesato nell’economia dello svolgimento della gara, che per alcuni istanti pareva mantenersi nel limite dell’equilibrio o della raggiungibilità del punteggio, per poi rivelarsi di inerzia nettamente favorevole ad Oklahoma.

La strategia dei Sooners è stata chiara sin dal principio: offensivamente sono partiti con velocità, giocando la no-huddle per impedire sostituzioni alla difesa e/o creare penalità, con il risultato di un primo drive che vedeva Landry Jones a quota 6/6 ed il primo TD pass di giornata, mentre difensivamente l’intenzione, riuscita per tutto il primo tempo, era quella di riempire la linea di scrimmage per rendere inefficace l’unica arma davvero pericolosa degli Huskies, il running back Jordan Todman, secondo rusher per yards medie a gara di tutta la Ncaa.

Il primo quarto permetteva di leggere delle tendenze tattiche molto significative. I Sooners avevano infilzato con preoccupante costanza le secondarie utilizzando i consueti set con almeno tre ricevitori in azione, segno che lo spazio concesso dai defensive backs sarebbe dovuto diminuire presto per evitare collassi, con il risultato di costruire due drives vincenti in poco più di tre minuti ciascuno, con il 14-0 siglato da un DeMarco Murray in grado di togliersi dal traffico del mezzo della difesa per rimbalzare da un lato, ed entrare indisturbato in meta.
Dall’altra parte l’unico metodo di sopravvivenza per UConn era il riuscire a completare passaggi importanti sui terzi down da parte del quarterback Zach Frazier, vista l’impossibilità di correre, e la cosa era anche riuscita nei primi istanti di gara, sciupando però il tutto con un quarto down giocato alla mano ma non trasformato da parte dell’audace coach Randy Edsall.

Era necessario un errore di misura di Landry Jones, che si trovava a quota 12/13 al momento dell’intercetto riportato in meta da Dwayne Gratz con una cavalcata di 46 yards, cancellando in un attimo una delle due mete di svantaggio e ponendo per un istante in secondo piano il fatto che Frazier cominciasse a collezionare 3 & out in maniera preoccupante.
La difesa avrebbe regalato fiducia estrema ad una squadra offensivamente persa nel nulla, costringendo in seguito i Sooners a due field goal per chiudere il primo tempo con il risultato parziale di 20-10, tutt’altro che un disastro.
I defensive backs cominciavano a stringere le maglie marcando i ricevitori dando meno spazi, e pur concedendo ancora qualcosa, come una ricezione di 35 yards del fenomeno Ryan Browles per un primo down ed una serie di giochi gestita più lentamente dalla no-huddle in modo da non far restare troppi secondi sul cronometro della prima frazione, limitando queste incursioni ad un passivo, appunto, di soli 6 punti.

Dall’altra parte, invece, un field goal del preciso Dave Taggert sarebbe stato tutto il fatturato offensivo da parte degli Huskies dei primi trenta minuti.

Nella ripresa si respirava la sensazione che Connecticut riuscisse a correre meglio, fatto dimostrato dallaumento della media delle yards per portata da 3.1 ad un rotondo 4.0 da parte di Todman (121 yards, la maggior parte, appunto, nella senconda metà), e proprio quando la difesa stava cominciando a togliere il perfetto mix tra corse e lanci limitando DeMarco Murray soprattutto con le azioni puntuali del linebacker Scott Lutrus, Okalhoma feriva mortalmente con il gioco aereo, con Jones a pescare Cameron Kenney, in quel momento già alla quinta ricezione di gara, per una meta di 59 yards, in un’azione dove il safety più vicino si trovava a non meno di tre passi.

Quando poi, da un pallone alzato dal wide receiver Michael Smith, scaturiva un intercetto riportato in meta da Jamell Fleming per 55 yards, dando il 34-10 parziale, la parola fine sembrava scritta con tanto anticipo, cominciando a dare ragione ai pronostici.

In quel momento del terzo quarto, tuttavia, si vedeva qualche fuoco d’artificio che riaccendeva la gara a livello di spettacolo. Se difatti le due menzionate mete dei Sooners erano arrivate una appiccicata all’altra, il ritorno di kickoff da parte di Robbie Frey per 95 yards scriveva a referto il terzo touchdown combinato dalle squadre nel giro di nemmeno due minuti di partita, e quando attraverso le corse di Todman gli Huskies si affacciavano nuovamente in territorio nemico, ne scaturiva un field goal che dava speranza per il quarto periodo, rimettendo frettolosamente la situazione a due mete esatte di distacco. Un po’ meno speranzoso era il fatto che Frazier aveva, in occasione di quel field goal, mancato la conversione del terzo down lanciando goffamente il pallone sul casco di Jeremy Beal, a conclusione di un’azione non troppo ben congegnata.

Nel periodo conclusivo, l’unica situazione che la difesa degli Huskies sarebbe riuscita a controllare sarebbe stato un fake punt il cui lancio sarebbe stato battuto a terra dal safety Jerome Junior, e mentre l’attacco diretto da Frazier giungeva a quota 7 quarti consecutivi senza una meta, Landry Jones distribuiva passaggi a destra e sinistra, trovando prima Kenney per un altro big play a lunga gittata, e quindi Broyles per una grandissima ricezione d’equilibrio all’interno della endzone, con Okalhoma a chiudere e sigillare ogni altro discorso con il secondo ritorno di intercetto di serata, stavolta a firma di Tony Jefferson, che poneva definitivamente il risultato sul 48-20.

I Sooners hanno così vinto il primo Fiesta Bowl da essi disputato dal 1976 ad oggi (successo contro Wyoming), giocando una gara completa sotto tutti i punti di vista, con il solo neo di una disattenzione di troppo negli special teams. Landry Jones ha riscritto un proprio record d’università per yards lanciate in un Bowl (ottenuto un anno fa al Sun Bowl – ndr) arrivando a quota 429, stesso traguardo raggiunto statisticamente da Ryan Broyles a livello di yards ricevute in singola gara, 170, cui si sono aggiunte le 154 di un ottimo Cameron Kenney.

Bob Stoops, quindi, per il momento, si accontenta della nona stagione su dodici con un record giunto a 10 o più vittorie (12-2), e di essersi tolto quello che oramai era divenuto un gorilla costantemente presente sulla sua spalla. Ora, senza più pressioni di questo genere, può tranquillamente pensare al futuro, architettando per l’anno prossimo quello che da tempo è il suo vero obbiettivo, ovvero quello di giocarsi la possibilità di bissare di quel titolo nazionale già conquistato nel 2000, solamente al suo secondo anno su questa sideline, quando ancora era all’inizio di uno dei cicli vincenti più importanti dell’era moderna, ancora lontano dal giungere alla sua destinazione finale.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.