L'esultanza dei giocatori di UConn, freschi campioni NCAA !

L’NCAA dei nostri padri, quella in cui le squadre potevano essere pensate e progettate ad ampio raggio, non esiste più. Adesso rappresenta qualcosa di molto diverso, ovvero quella dei freshman sensazione, che passano quasi per caso da queste parti e dopo un anno abbandonano verso migliori lidi (i milioni della NBA).

Ma il college basket è tradizione, e soprattutto passione.
Quella passione dimostrata durante le tre settimane di torneo da tutti i tifosi al seguito della propria alma mater.

Passione che in ambito collegiale non coincide con logica e che alla fine porta un ateneo di 28677 studenti a scontrarsi con uno che ne conta appena 3897 per il titolo nazionale. E nella fattispecie è quello con neanche 4000 alumni che vi partecipa per la seconda volta consecutiva.

Non solo l’ateneo “cinderella” ma anche il coach: Jim Calhoun ha esattamente il doppio degli anni di Brad Stevens, 68 contro 34, e molti parlano di un passaggio di consegne fra il giovane e l’anziano, che secondo molti avrebbe dovuto appendere la lavagnetta al “chiodo” per le accuse riguardanti il reclutamento non proprio ortodosso dei prospetti delle high schools, ma che invece è li nel ruolo di santone, ruolo che piacerebbe tanto interpretare al ragazzino Stevens.

Una sfida inattesa, senza stelle assolute, ma con degli interpreti del gioco che fanno in ogni caso sobbalzare dalla sedia: pensiamo alle giocate di Kemba Walker, 20enne del Bronx, di Shelvin Mack, anche lui 20enne ma del Kentucky, di Lexington.

E’ inattesa perché è la sfida più “perdente” della storia, dal basso delle 18 sconfitte che complessivamente hanno patito le due squadre, che nonostante questo hanno il privilegio di assistere ed emozionarsi insieme ad un intero stadio (di football) al momento dell’inno cantato da LeAnn Rimes.

Le squadra non sembrano affatto venire da strisce consecutive di vittorie (14 per Butler, 11 per UConn), perché è la tensione a farla da padrona più che le difese. Dopo 5 minuti di gioco i Bulldogs tirano con un orrido 2 su 11 dal campo, prestazione eguagliata dagli Huskies, che si ritrovano sulla parità a quota 6, solo grazie alla prestanza fisica di Alex Oriakhi, verso il quale deve confluire il gameplan di coach Calhoun, vista la netta superiorità sotto le plance dei ragazzi in maglia bianca.

Kemba ci mette un po’ a riscaldarsi, ma quando lo fa, si sente eccome. Prima il jumper del +2, poi il gioco da tre punti che chiude alla perfezione un contropiede innescato dall’ottima difesa predisposta da coach Calhoun.

Ma la partita è sempre bloccata, anche grazie all’alternanza di difesa a zona e a uomo predisposta da coach Stevens che mette in chiara difficoltà gli Huskies. Ma nessuna difesa può essere cosi buona da forzare rispettivamente un 6/27 e un 9/30 dal campo nel primo tempo.

E questo perché Shelvin Mack ha deciso di non scendere in campo, almeno fino agli ultimi 3 minuti del primo parziale di gioco quando prima pareggia la gara sul 19-19 e poi allo scadere del tempo, senza che gli spettatori abbiano avuto il piacere di vedere altri canestri, regala il primo vantaggio, dopo quello dei primi minuti, ai suoi.

Si va negli spogliatoi sull’orrendo punteggio di 22-19 per i Bulldogs, che sembrano poter compiere quell’impresa che ad una mid-major manca da tempo immemore.

Ma probabilmente è un fuoco di paglia, perché Butler segna solamente da tre: 5 triple e solo un canestro all’interno dell’area sono gli unici tentativi andati a buon fine, a dimostrazione dell’abuso del tiro da lontano da parte dei ragazzi in maglia nera.

Gli Huskies sanno di poter fare molto di più e nonostante un controllo pressochè totale dei tabelloni (11 rimbalzi offensivi e 14-0 nei punti sotto canestro) si trovano sotto contro una squadra che li ha costretti a forzare ben 7 palle perse nei primi 20 minuti.

Le parole di coach Calhoun dicono chiaramente della costernazione regnante nello spogliatoio degli Huskies:

“Nell’intervallo ho fatto un discorso tutt’altro che interessante per voi. L’aggiustamento sarebbe stato: cerchiamo di aver più voglia e di eseguire meglio di loro, tutto qui”

Il secondo tempo riparte con il punteggio più basso mai registrato sin dal 1946. Sono una miseria i 41 punti segnati, che diventano 44 con la tripla di Chase Stigall, che vuol dire primo allungo per Butler, sul +6.

A quel punto decide di iscriversi alla gara anche il freshman di UConn, Jeremy Lamb, che segna i suoi primi punti dalla lunetta. E poco dopo, con la tripla del +1 chiude un parziale di 7-0 per i suoi, al quale Kemba Walker contribuisce con uno step back da favola.

Dopo 2.20 di gioco nella ripresa il punteggio torna a sorridere agli Huskies, mentre per Butler sembra cominciare ad andare tutto storto. Oriakhi detta legge sotto canestro contro Howard e Smith, e con 3 stoppate contribuisce al 27-25 per i suoi.

Jeremy Lamb adesso sembra proprio essere in partita e regala addirittura il +7, con due canestri consecutivi. Siamo al massimo vantaggio Huskies, che dopo aver subito la tripla (la prima della gara) di Vansant, non si guarderanno più indietro e grazie al solito dominio sotto le plance, arriveranno al vantaggio di 9 punti dopo l’alley-oop di Napier per Lamb, autentico dominatore della ripresa.

Il +11 arriva dopo un grandissimo canestro in traffico di Walker, mentre Butler aveva già cominciato a vivere il proprio incubo offensivo. In quel momento i Bulldogs sono 8/50 dal campo, e dal rientro dagli spogliatoi hanno sbagliato 23 dei primi 25 tentati: una statistica imbarazzante alla quale contribuiscono errori da minibasket (chiedere ad Andrew Smith per un paio di appoggi semplicissimi sbagliati).

UConn ne può solo approfittarne e si porta sul +13 grazie ad un 8-0 di parziale. Mancano a quel punto 6 minuti alla sirena e la prima cosa che viene in mente è che i Bulldogs ci hanno insegnato a non fidarci di loro.

Infatti finalmente arriva il “gol” del centro di Butler, che tanto ha sbagliato in questa gara: Smith segna il -11 dopo l’ennesimo errore dalla distanza di Mack. Due punti che rappresentano anche i primi nell’area dei tre secondi.

Coach Stevens tenta nuovamente la zona, ma Napier la batte facilmente trovando con un fantastico passaggio il solito Oriakhi che schiaccia e subisce il fallo che lo manderà in lunetta, dove il centro autentico dominatore della gara segna il +14 a 5.48 dalla fine.

Dopo la tripla di Vansant (terzo e ultimo field goal della gara per lui), arriva la decima stoppata firmata Huskies, statistica che rappresenta un record per il torneo NCAA. La rimonta sembra ormai proprio impossibile, anche perché un giudizioso Walker aiutato dall’ottimo Napier in cabina di regia, amministra al meglio i vari possessi successivi.

La tripla del meno 10 di Shelvin Mack lascia ancora qualche flebile speranza ai suoi, ma mancano 2 minuti esatti: ovviamente si sa che non bisogna mai scherzare con questi Bulldogs, ma stavolta Stevens non ha attrezzato i suoi all’ennesimo miracolo.

Mack segna un’altra tripla dopo il 2/2 di Lamb dalla lunetta e fa 41-49: Walker va a tirare due volte dalla lunetta, segnando in entrambe le occasioni, ma dopo l’errore dai 6 metri di Vansant, i vari Napier, Lamb e Walker possono tranquillamente gestire il possesso successivo per tutti i 35 secondi, con i Bulldogs che alzano bandiera bianca: i tifosi provenienti dal Connecticut possono solo festeggiare.

Gli Huskies portano a Storrs (sede del campus) il terzo titolo della loro storia e Jim Calhoun è adesso uno dei 5 allenatori a quota 3: raggiunge i mostri sacri Knight, Rupp, Krzyzewki e Wooden. E diventa anche il più vecchio allenatore a vincere un titolo nazionale.

Dirà il 68enne coach originario del New England: “Mio padre mi disse tanto tempo fa: Una persona è conosciuta anche dalla buona compagnia di cui dispone. Ora posso dire che questa è un compagnia tremendamente favolosa”.

Il punteggio finale dice 53-41, numeri che non mentono della scarsa qualità di questa gara, ma che non deve permettere ai detrattori del college basket di criticare a spada tratta l’intero sistema.

E’ vero che abbiamo assistito alla peggior prestazione in termini di percentuale dal campo nella storia delle finali, (18,8% per i Bulldogs) ma è anche vero che questa è stata solo l’ultima gara di un torneo che ci ha tenuto incollati al televisore, perché sapevamo che la sorpresa era costantemente dietro l’angolo.

“Butler ha difeso sul serio. Hanno davvero giocato bene in difesa, sono sincero. Anche non siamo stati da meno e penso che la nostra velocità e altezza fra i lunghi abbia giocato un ruolo decisivo”.

Onore a coach Brad Stevens, con in allegato i complimenti ricevuti anche da parte del coach vincente, per aver portato i suoi nuovamente in finale. Onore a Butler per aver comunque dimostrato di meritare questo palcoscenico.

Ma UConn, da “unranked” e nona squadra della regular season della Big East, ha vinto il titolo NCAA, e coach Calhoun insieme ai suoi giocatori ha avuto il privilegio di tagliare la retina, gesto consuetudinario e caratteristico riservato solo ai campioni.

Campioni come Kemba Walker, futuro protagonista NBA che non lascia spazio a mezzi termini con parole che in lingua inglese rendono in maniera impeccabile l’idea:

“We were unstoppable, that’s why we’re national champions. We’re the best team in the country.”

One thought on “La Finalissima: UConn batte Butler, 53-41

  1. Onore a voi ragazzi, che avete seguito il torneo e ce lo avete raccontato qui su playitusa…

    La finale non è stata bellissima ma come al solito il torneo ci regala tante storie da raccontare. Il confronto tra i due allenatori vede uscire vincitore, ancora una volta, il più anziano, ma Stevens ha compiuto due imprese non da poco in questi due anni.

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