La scorsa settimana Giorgio vi aveva raccontato i primi sviluppi del mercato NBA, con le franchigie che scaldavano i motori con trattative e scambi in vista della deadline fissata per il 7 febbraio. Negli ultimi sette giorni ci sono stati i colpi grossi e i fuochi d’artificio, alcuni attesi, altri a sorpresa, e altri ancora che non sono arrivati nonostante le aspettative e le estenuanti trattative. Proviamo a riassumere tutto quel che è successo nella settimana della trade deadline, che è anche quella che ci introduce verso l’All Star Game, con in mezzo qualche interessante sprazzo di basket giocato perché insomma, se eslcudiamo i Clippers che cominciano il tanking pur occupando l’ottavo posto a Ovest, ci sono un bel po’ di squadre in lotta per un posto ai playoff, e la classifca è corta da entrambi i lati del Mississippi. Si parte!

 

LUNEDI  4 FEBBRAIO – IN GIRO PER IL MONDO CON NIK E WADE

L’NBA è un business, lo sappiamo bene, e ogni volta che ci avviciniamo alla chiusura della finestra per gli scambi ce ne accorgiamo in maniera più evidente. Di fronte a soldi, X’s and O’s e piani a lungo termine, l’aspetto umano dello sport finisce spesso in secondo piano. Si pensi a Isaiah Thomas scaricato dai Celtics mentre recuperava da un infortunio dopo la stagione migliore della sua carriera, quella in cui aveva giurato fedeltà alla maglia verde (in cambio del camion carico di Benjamin Franklin che avrebbe richiesto per rinnovare il contratto ma vabbè, son dettagli): oggi i Celtics pagano tale sfacciataggine, se prestiamo fede alle parole del padre di Anthony Davis che non vorrebbe mai vedere il figlio al servizio di un GM come Danny Ainge pronto a spedirlo altrove se le cose si mettessero male. In settimana anche Giannis Antetokounmpo si è espresso sul tema quando ha salutato con affetto l’ex compagno Thon Maker, diretto ai Pistons in cambio di Stanley Johnson, un vero fratello minore per lui. Ma la vicenda che meglio esemplifica il concetto è quella di Nik Stauskas e Wade Baldwin. Il primo, meglio conosciuto come Sauce Castillo grazie al sempre geniale reparto social media dei Kings, non stava nemmeno giocando una brutta stagione, con qualche bella performance realizzativa. Sul secondo aleggia ancora un grosso meh. Nella giornata di domenica Portland decide di disfarsi di entrambi senza troppi complimenti, scambiandoli coi Cavs in cambio di Rodney Hood. Da allora, i due si muovono in coppia come pedoni e non hanno ancora disfatto la valigia: mercoledì i Cavs li scambiano coi Rockets, giovedì i Rockets li scambiano coi Pacers e nella stessa giornata rimangono in piedi al gioco delle sedie perché Indiana li taglia entrambi.

Correte liberi, Nik e Wade. Correte liberi come l’aria.

Crisi d’identità

 

MARTEDI  5 FEBBRAIO – RELAZIONI A DISTANZA

Tempi estremamente turbolenti per i Los Angeles Lakers. La squadra è in rottura prolungata, e nemmeno il ritorno di LeBron è servito a riportarla in carreggiata: comprensibile, quando più o meno l’intero roster escluso il Re è coinvolto nelle trattative per portare in gialloviola Anthony Davis. In attesa di conoscere il proprio destino i giovani hanno perso mordente sul campo, a parte Kuzma che pare il più impassibile del lotto, e tra i veterani serpeggia il malumore che avrebbe portato Lance Stephenson, JaVale McGee e Michael Beasley (un simposio paragonabile a un incontro tra Einstein, Newton e Stephen Hawking) a un confronto acceso, sia sul piano verbale che su quello fisico, col coach Luke Walton – che rimane in panchina con condizioni di equilbrio più complicate di un’esibizione di Red Panda.

In tutto questo, c’è chi se la prende con LeBron, reo di essersi trasformato nella sua versione LeGM per operare sul mercato in entrata e in uscita insieme all’agente Rich Paul. Nella notte, la partita coi Pacers segna due record per lui. Uno è positivo, e sono i 32.000 punti raggiunti in carriera. L’altro è negativo: i 42 punti di svantaggio alla sirena valgono per la sua peggiore sconfitta in carriera. In mezzo, casualità o non casualità, questo scatto che lo ritrae in panchina a tre seggiolini di distanza dai compagni – un’ottima ispirazione per meme che i Rockets hanno prontamente imitato.

“Cara ti amo – mi sento confusa. Cara ti amo – devo stare un po’ da sola. Cara ti amo – esco da una storia di tre anni con un tipo. Cara ti amo – non mi voglio sentire legata”

 

MERCOLEDI  6 FEBBRAIO – BIG 4 IN PHILLY

Con qualche ora di anticipo sulla trade deadline Sixers e Clippers mettono in scena un colpo di altissimo livello che coglie quasi tutti di sorpresa. Tobias Harris parte in direzione Philadelphia insieme a Boban Marjanovic e Mike Scott, mentre Wilson Chandler, Landry Shamet e Mike Muscala (prontamente girato ai Lakers per Beasley) fanno il viaggio inverso, accompagnati da qualche pick al draft.

I Clippers smobilitano tutto nonotante siano attualmente in corsa per un posto ai playoff, e protagonisti di una stagione superiore alle aspettative (nel giro di poche ore arriva anche il taglio di Marcin Gortat e Milos Teodosic). Strategia inusuale, segno che la dirigenza vuole andare all-in per l’anno prossimo, con buona pace di Danilo Gallinari che per l’ennesima volta trova abortiti i propri tentativi di qualificarsi ai playoff. Il contratto di Harris era in scadenza e verosimilmente l’ex Pistons avrebbe domandato cifre vicine al massimo salariale. In questo modo, i Clippers potranno ingolosire un paio di free agent che, si vocifera, siano intenzionati a trasferirsi dal lato meno nobile della Los Angeles cestistica nella prossima estate: i nomi già esplorati sono quelli di Jimmy Butler e Kawhi Leonard, ma alla lista vanno aggiunti d’obbligo Anthony Davis (che sarebbe disposto a investire nei Clippers a lungo termine), Kyrie Irving e Kevin Durant.

Philadelphia invece compie un ragionamento opposto. Puntare forte sulla possibilità, mai così concreta, di emergere vincenti dalla Eastern Conference e tentare l’assalto ai Warriors meno convincenti (ma occhio a sottovalutarli) degli ultimi anni. Il quintetto a disposizione di coach Brown è adesso estremamente temibile, con Harris che garantisce versatilità come 4 in difesa e sa adattarsi a giocare lontano dalla palla, assecondando gli istinti di Simmons e Butler, ma rimangono dubbi sull’efficacia della convivenza tra questi ultimi e Joel Embiid. Attualmente Bucks e Raptors paiono meglio attrezzate dei Sixers in prospettiva playoff – è anche vero che Philadelphia non ha rinunciato a molto, se escludiamo il promettente ma acerbo Landry Shamet. Potrebbe però ritrovarsi a pagare i debiti in estate: l’intenzione sembra essere quella di proporre un rinnovo sia a Butler che a Harris, che se accettati proietterebbero i Sixers nell’iperuranio della Luxury Tax una volta entrato in effetto il nuovo contratto di Simmons – e il resto del roster, a quel punto, andrà messo insieme coi soldi del Monopoli.

L’esodio di Tobias Harris non è niente male, vittoria di spessore sui forti Nuggets, ma è curioso che l’eroe della partita sia l’emarginato del quintetto, JJ Redick, con 34 punti alla sirena

 

GIOVEDI  7 FEBBRAIO – VINCITORI E VINTI DELLA TRADE DEADLINE

Seguire in diretta l’approssimarsi della trade deadline è sempre un’esperienza emozionante. Incollati ai tweet di Wojnarowski e soci in attesa della grande notizia, col timer che pian piano si avvicina alle 21.30. Quest’anno, la grande notizia (ma dopo gli ultimi sviluppi era nell’aria) riguarda una trade che non è arrivata: Anthony Davis resta a New Orleans nonostante abbia chiesto ai Pelicans di essere ceduto, e a nulla è valso l’insistente corteggiamento dei Lakers (con tanto di godfather offer contenente sei giocatori e due prime scelte). L’impressione è che la dirigenza Pelicans, in particolare nella figura di Dell Demps, si sia divertita a trollare i Lakers e li abbia lasciati a bocca asciutta anche per punire LeBron e Magic per il loro tampering nei confronti di Davis. Se ne riparlerà in estate, quando arriverà anche l’offerta dei Celtics, ma Davis si è premurato di far sapere che firmerebbe un’estensione solo con Lakers, Clippers, Knicks e Bucks (???). I Lakers però prendono Mike Muscala dai Clippers, che è più o meno la stessa cosa. O forse no.

Tra le mosse più discutibili, e per certi versi tristi, segnaliamo i Sixers che gettano la spugna con Markelle Fultz spedendolo a Orlando, dove potrà riprendersi con poche pressioni, in cambio di Jonathon Simmons. I Bucks invece si sono mossi benissimo aggiungendo l’ennesimo strech big, e di gran qualità, per aprire il campo alle scorribande di Antetokounmpo: Nikola Mirotic a Milwaukee può essere un fit importante.

Singolare anche quanto accaduto a Dallas, con Harrison Barnes che apprende di essere finito ai Kings – in cambio di Justin Jackson e Zach Randolph, cioè niente – a metà partita, mentre era seduto in panchina. Lui non la prende benissimo, com’è comprensibile, ma Sacramento fa una mossa intelligente per rinforzare il suo organico giovane che, verosimilmente, potrà togliersi qualche soddisfazione senza andare a reclutare free agent di lusso. Per Dallas, via un contratto in scadenza e dentro spazio salariale.

La trade più rilevante arriva a pochi minuti dall’ora x. Memphis aveva cercato di scambiare sia Mike Conley che Marc Gasol, ma alla fine riesce a piazzare soltanto lo spagnolo che si accasa ai Raptors in cambio di Jonas Valanciunas, CJ Miles, Delon Wright e una scelta nel 2024. Memphis avvia il rebuilding, com’è giusto che sia, ma Toronto si rafforza in maniera notevole per il push di fine stagione. Ujiri sacrifica qualche pedina utile a dare profondità alla panchina, ma ottiene un giocatore di assoluta qualità, seppure in fase calante, che peraltro sembra perfetto per il sistema di coach Nick Nurse – Toronto potrà anche permettersi il lusso di utilizzarlo dalla panchina, o comunque con minutaggio ridotto, alternandolo con Ibaka e Siakam nel frontcourt più versatile e minaccioso della lega.

Non so chi sia l’autore del meme, ma lo ringrazio. In compenso, si dice che dopo il nulla di fatto della trade deadline Magic abbia dato un bell’abbraccio di gruppo ai suoi giovani. Vuoi mettere?

 

VENERDI  8 FEBBRAIO – THE DAVIS PARABLE

Ora che Anthony Davis è rimasto a New Orleans, che scenari si aprono per i Pelicans? Non dei migliori, a quanto pare. Quanto accaduto nella notte ha del surreale. La lega ha fatto sapere che multerà la franchigia se metterà il monociglio in congelatore fino al termine della stagione: visto che Davis ha recuperato dall’infortunio, coach Gentry è dunque “costretto” a schierarlo in campo. Il pubblico lo fischia sonoramente all’ingresso in campo e nei primi possessi. AD, comunque, si comporta da professionista e gioca senza risparmiarsi, mostrando la consueta intesa con Jrue Holiday. Registrerà 32 punti in 25 minuti. Sì, soltanto 25, perché alla fine del terzo quarto coach Gentry, evidentemente consigliato dall’alto, lo fa sedere in panchina e non lo rimette in campo per l’ultimo parziale, nonostante la partita sia combattuta. Il pubblico, a quel punto, si ritorce contro la squadra e inneggia a Davis.

Menzione d’onore ai Lakers che, forse rinvigoriti dall’abbraccio di Magic Johnson, ritrovano un po’ di verve dopo i dubbi della trade deadline e vanno a vincere in trasferta a Boston in una partita ad alto punteggio. La decide nientemeno che Rajon Rondo con un improbabile buzzer beater.

Qualcosa non va nel sistema dei contratti in NBA; quanto accaduto nella notte a New Orleans ne è la dimostrazione

 

SABATO 9 FEBBRAIO – MVP VS MVP(G)

Dopo tante chiacchiere di mercato si torna all’azione, e nella notte la partita di cartello vede i Thunder opposti ai Rockets in uno scontro ad alta quota nella Western Conference. Sfida nella sfida, si affrontano l’MVP in carica e miglior realizzatore della lega, James Harden – che peraltro mantiene ininterrotta la striscia di partite sopra i 30 punti segnati, e un altro dei candidati al premio di Most Valuable Player, Paul George. Anche lui è nel bel mezzo di una streak realizzativa notevole, ma a differenza del rivale è in grado di fare la differenza anche nella propria metà campo, rendendo i Thunder uno dei migliori team difensivi della lega.

Come se non bastasse, Russell Westbrook è alle prese con un nuovo record. Felice (forse) di lasciare al compagno la maggior parte delle incombenze offensive, ha raggiunto 9 triple doppie consecutive eguagliando Wilt Chamberlain e mettendo la freccia per il sorpasso. Nella notte, giusto per non lasciare adito a dubbi, già che c’è realizza pure una quadrupla doppia – con le palle perse; a manifestare l’intenzione di mettersi al lavoro, l’outfit prescelto per il prepartita comprendeva pantaloni da cantiere e gilet catarifrangente.

Sul campo, finisce 117 a 112 in rimonta per OKC, con un Paul George indemoniato da 45 punti, mentre Harden risponde con 42.

Quest’anno OKC fa sul serio, ed è tra le più minacciose sfidanti al trono dei Warriors. Stanotte tenta e riesce a scalzare i Rockets nel pecking order

 

DOMENICA  10 FEBBRAIO – AIN’T NO FUN (IF THE HOMIES CAN’T HAVE NONE)

Siamo di nuovo alle prese con la fase down dei bipolari Boston Celtics. La vittoria del Super Bowl dei vicini New England Patriots non è servita a risollevare il morale a lungo, perché nel giro di pochi giorni arrivano due cocenti sconfitte. Della prima, contro gli arrembanti Lakers, abbiamo già parlato, ma gli uomini di Stevens non hanno demeritato. La seconda arriva nella notte e l’andamento è ben più grave, perché vede i verdi dilapidare un vantaggio superiore a 20 punti contro i Clippers, che invece sono usciti dalla trade deadline con le pive nel sacco e hanno poco da chiedere a questa stagione.

Hayward, tra gli alti e bassi del suo recupero fisico e mentale, è il migliore dei suoi, ma quando Kyrie Irving esce dal campo (sospetta distorsione al ginocchio, da rivalutare in giornata) il gruppo si disunisce. A fine partita, i Celtics escono dal campo tra i fischi del pubblico di casa. Un’occorrenza rara, e sicuramente inaspettata a inizio stagione. A commentare la mancanza di entusiasmo per una squadra che non riesce a prendere spunto dalle proprie migliori prestazioni, le parole di Marcus Morris arrivano puntuali e calzanti (pure un po’ sgrammaticate, ma questo passa il convento): “It hasn’t been fun for a long time… We don’t have no attitude, we don’t have no toughness.” In parole povere, a Boston non ci si diverte.

 

La più grande differenza tra la cavalcata dei Celtics della scorsa stagione e gli stenti dell’annata attuale? Secondo Marcus Morris, l’entusiasmo, il divertimento e l’atteggiamento

 

Menzione d’onore della giornata, ma facciamo pure della settimana. I Grizzlies hanno tirato i remi in barca, e a Memphis sono costretti a tirare fuori siparietti che siano più interessanti della partita stessa. Nella notte ospite d’onore è Mick Foley, che gli appassionati di wrestling ricorderanno anche come Mankind, invitato per l’appunto a vestire i panni della sua gimmick più amata. Prima punisce il malcapitato di turno con Mr. Socko (calzino in bocca, per i profani), poi lo apparecchia sul tavolo servendo l’assist alla mascotte dei Grizzlies che chiude la faccenda con un pregevole flying elbow drop.

 

Per questi sette giorni di NBA è tutto, noi consigliamo una scorpacciata di basket per riprendersi dalla noia del Festival di Sanremo (o dalla noia dei commenti a Sanremo se non l’avete guardato), e vi lascio alle sapienti cure di Giorgio Barbareschi per la prossima settimana. See ya!

One thought on “7for7 La Settimana in NBA (Ep. 2×17)

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