Speriamo che abbiate celebrato nella maniera migliore il primo compleanno della nostra rubrica, occorso la settimana scorsa. Pensate che il mio collega Giorgio è addirittura volato negli States appositamente per festeggiare il lieto evento, e in questo momento sta importunando le stelle NBA per riportare in patria notizie fresche (o un’ordinanza restrittiva). Mentre lo aspettiamo, rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci al lavoro, altra settimana densa di eventi in NBA: passate le festività si inizia a pensare ai prossimi cerchietti rossi sul calendario, che coincidono con la trade deadline e l’All Star Game.

 

LUNEDÌ 7 GENNAIO – THE DRAKE CURSE

Se siete lettori attenti di questa rubrica, oltre ad avere bisogno di un consulto psicologico, sarete sicuramente al corrente sulla maledizione che lega le stelle NBA alla progenie più siliconata d’America, vale a dire le sorelle/cugine Kardashian. Come novelle Gorgoni, le Kardashian conducono verso la sciagura le carriere dei giocatori che decidono di flirtare, in maniera più o meno seria, con loro.

Ma c’è un altro anatema che sta mietendo vittime in giro per gli sport americani, e riguarda un personaggio che l’NBA ama ( in un trentesimo dei casi, cioè Toronto) e odia (nei restanti ventinove). Parliamo di Drake, sempre in prima fila per assistere alle partite dei suoi Raptors e onnipresente quando le superstar sono a portata di telecamere, come testimonia un recente battibecco con Kevin Durant. Drake è generoso nell’esprimere il suo endorsement per squadre e atleti, ma fossi in voi spererei che non gli venga mai in mente di tifare per la vostra squadra del cuore.

Un rapido riassunto. Da qualche anno Drake si è affezionato ai Kentucky Wildcats nella NCAA. Risultato? Nessun titolo dal 2012 nonostante il solito stellare recruiting di John Calipari.

Negli ultimi mesi Drake ha sponsorizzato caldamente la causa di Conor McGregor, fenomeno della UFC. Risultato? La sconfitta più pesante in carriera, contro Khabib Nurmagomedov.

Infine la più recente. Drake si schiera con Alabama per la finale del campionato NCAA nel consueto duello con Clemson, e ovviamente Clemson ribalta la tradizione e vince di 28 punti.

La storia dei Raptors la sappiamo bene, buttati fuori da tutti i recenti playoff senza tanti complimenti. Quest’anno sarà decisivo per capire fino a che punto può estendersi l’influenza malefica di Drake.

Fossi in Kiki, continuerei a guidare e lo lascerei per strada

 

MARTEDÌ 8 GENNAIO – LEZIONI DI AUTOSTIMA CON JAYSON TATUM

La trade deadline si avvicina è il nome caldo è quello di Anthony Davis. Dopo un inizio promettente la stagione dei Pelicans è rapidamente andata a sud, e le chance di convincerlo a restare in Lousiana sono ridotte al lumicino, complici le dichiarazioni dello stesso Davis che si professa attratto da una “legacy” vincente più che dai soldi in banca. Nelle scorse settimane abbiamo parlato degli appelli più o meno velati di LeBron James e Giannis Antetokounmpo, che vorrebbero il monociglio rispettivamente ai Lakers e a Milwaukee, ma quando c’è di mezzo una grossa trade non si può mai lasciar fuori il nome dei Celtics.

Danny Ainge ha accumulato una quantità tale di assets (insieme ai giovani Brown, Rozier e Tatum ci sono altre allettanti pick da spendere) che può raggiungere via trade praticamente chiunque, offrendo pacchetti più vantaggiosi delle avversarie. Ma fino a che punto è lecito rinunciare a un prospetto in ascesa per una superstar acclamata? L’ago della bilancia in questo caso è Jayson Tatum: Ainge e Stevens non se ne vorrebbero mai privare, ma in un eventuale scambio i Pelicans lo richiederebbero a chiare lettere. Meno male che a dirimere la questione ci pensa lui stesso. “Beh, mi scambierei anch’io per Anthony Davis”.

Più seriamente parlando, l’ostacolo tra i Celtics e Davis è di natura burocratica. Dovrebbero aspettare la prossima stagione per ottenerlo, quando sarà free agent, perché sia lui che Irving sono titolari della cosiddetta clausola “Rose rule” (una vantaggiosa estensione sul contratto da rookie) e i team possono mantenere solo un contratto del genere.

Tatum ha preso il consiglio “respect your elders” alla lettera

 

MERCOLEDÌ 9 GENNAIO – HEADSHOT

La corsa all’MVP ha di recente visto imporsi sulla scena un nuovo, agguerrito contendente: nientemeno che il titolare della cintura James Harden, che ha messo la firma su una striscia di 5 partite sopra i 40 punti e 15 partite sopra i 30, proiettando i Rockets verso i piani alti della Western Conference in assenza di Chris Paul. Nel mezzo sono arrivate vittorie illustri, che fanno ben sperare Houston in vista dei playoff: il successo sul filo di lana contro i Warriors e quello autorevole sui Nuggets, attualmente i primi della classe. Nella notte c’è un altro scontro ad alta quota, coi Bucks che invece guidano la classifica a est.

Ad oggi, visto l’inaspettato successo di Milwaukee, Giannis Antetokounmpo sembra il principale candidato al premio ma la corsa all’MVP, è una specie di Wacky Race dove non esistono regole. Per rimettere gli inseguitori al loro posto tutto è lecito, persino una pallonata in piena testa mentre si finge di servire un compagno in angolo. Harden, per nulla rintronato dal colpo, va per i 42 punti che tuttavia non bastano: vince Milwaukee 116 a 109, 27+21 per Giannis.

Giannis ha in mente di darsi al wrestling per un incontro con The Rock: eccolo allenarsi nella sua nuova finisher

 

GIOVEDÌ 10 GENNAIO – GAME OF THE YEAR?

Quella tra Spurs e Thunder, finita 154 a 147 per i primi dopo due tempi supplementari, è senza dubbio la partita più bella vista finora nel 2019, e serissima candidata a partita più emozionante dell’intera regular season. San Antonio ha tempo di mostrare tutto il suo repertorio. Si comincia con 14 triple a bersaglio senza mai un errore (sì, coach Pop era quello che diceva che il tiro da tre non è bello), tre delle quali firmate da Marco Belinelli in meno di un minuto, e si prosegue con Lamarcus Aldridge che sigla un career high da 56 punti facendo il bello e il cattivo tempo coi suoi isolamenti dal post basso, alla vecchia maniera (questo sì è uno stile che piace a coach Pop).

Nelle ultime 17 partite, notiamo che gli Spurs sono primi per Offensive Rating, Defensive Rating e Net Rating. La posizione in classifica paga il pessimo inizio, ma siamo coi piedi ben saldi in zona playoff. Visto il roster rivoluzionato e gli infortuni (via Leonard, Parker e Ginobili, Murray fuori dai giochi in pre-season), ci sono gli estremi per parlare dell’ennesimo miracolo di Popovich.

In casa Thunder, non c’è motivo di piangere, tanto più che la vendetta arriva nel rematch di due giorni dopo. Oklahoma City si gode un Paul George in versione MVP e un Westbrook un po’ spuntato al tiro ma che sta abbracciando sempre più il ruolo di facilitatore: l’efficienza difensiva è alle stelle, e con essa crescono le speranze di una corsa profonda ai prossimi playoff.

“Il tiro da tre punti uccide la bellezza del basket, ma in fondo, stic****” – Gregg Popovich, 2019

 

VENERDÌ 11 GENNAIO – FROM LUKA WITH LOVE

Non lo nascondiamo, qui a 7for7 siamo soggetti alla moda del momento. Ci piace Luka Doncic, eccome se ci piace, e nonostante i chiari limiti difensivi e l’andamento altalenante dei Mavericks crediamo che non sia un’eresia la prospettiva di vederlo all’All Star Game, come suggeriscono i primi spogli dei voti. Buona parte di quei voti, poi, li ha mandati proprio il mio collega di rubrica Giorgio, che è giustappunto volato in America disposto a sopportare il clima rigido del Minnesota pur di vederlo in azione. Col rush finale che decide la partita coi Timberwolves, Doncic gli manda una dedica sotto forma di tre giocate clutch che sembrano dire “sì, all’All Star Game ci andrei volentieri, grazie”.

Si scrive Luka, si legge Clutch

 

SABATO 12 GENNAIO – STAY HUNGRY, STAY FOOLISH

Giorni movimentati per Enes Kanter. Prima l’ennesima polemica di natura politica, quando il lungo dei Knicks dichiara che non seguirà la squadra nella trasferta londinese (la partita coi Wizards è fissata per giovedì 17) temendo che il presidente turco Erdogan abbia messo in azione le sue spie per catturarlo o, peggio, ucciderlo.

Poi, le voci di una trade, finora non concretizzata, che lo vorrebbero partente in direzione Sacramento.

Infine, per migliorare la propria reputazione e farsi prendere sul serio quando parla di politica internazionale, un bel cheat day finito male. I compagni lo sfidano a mangiare sette hamburger e Kanter certo non si tira indietro; anzi, il tutto viene immortalato su Instagram. Qualche ora dopo il verdetto del gastroenterologo: Kanter salterà l’allenamento e la prossima partita. Causa? Indigestione.

Menzione d’onore della giornata per Blake Griffin che esegue una pregevole mossa Kansas City nel suo ritorno a Los Angeles da avversario. Il proprietario, ed ex-datore di lavoro Steve Ballmer, gli si avvicina nel riscaldamento proponendo una stretta di mano, e lui lo ignora correndo di gran carriera negli spogliatoi. Poi, già che c’è, ne mette 44.

Meglio di Adam Richman quando presentava Man versus Food

 

DOMENICA 13 GENNAIO – TROUBLES IN BEANTOWN

Decifrare la stagione dei Boston Celtics sta diventando più arduo che interpretare il responso di un oracolo, e i commenti di Kyrie Irving assomigliano molto alle parole di una sibilla. Prima, durante le stentate performance di ottobre e novembre, lamentava problemi gerarchici nello spogliatoio e accusava velatamente i giovani. Poi, dopo quella striscia di otto vittorie culminata a dicembre, lodava tutti per aver accettato il proprio ruolo e profetizzava un futuro roseo. Ora salta fuori di nuovo il rapporto coi compagni, che non lo seguirebbero a dovere nel suo ruolo di guida.

A ben vedere, i Celtics stanno comunque vivendo un trend positivo. 25-17 è il record complessivo, la difesa è la seconda della lega e anche l’attacco, da dicembre, si colloca tra i primi della classe. In settimana è arrivato un scalpo illustre, quello dei caldissimi Indiana Pacers, segno che i Celtics possono giocarsela alla grande con le squadre più in forma della Eastern Conference. Poi però subentrano dei cali di pressione che preoccupano Brad Stevens, perché rappresentano una novità rispetto all’anno scorso. In questo caso, galeotto fu il viaggio in Florida. Giovedì uno sconfortante 115 a 99 incassato dagli Heat, e sabato un 105 a 103 in casa dei Magic. A Miami avevamo assistito a una lite durante un time-out tra Marcus Morris e Jaylen Brown, col saggio Marcus Smart che interveniva a separarli con eccellente tempismo. A Orlando invece è Irving a dare in escandescenze. C’è un time-out, mancano pochi secondi da giocare e Boston ha il pallone del sorpasso. Irving discute animatamente con Stevens, forse in disaccordo sulla chiamata. Hayward si occupa della rimessa, Irving è appostato nella propria metà campo pronto a ricevere in movimento, ma non scatta. Hayward serve Tatum che si stava smarcando in angolo per un difficile tiro contestato che non entra, e Irving, fumante, se la prende prima con Hayward e poi con tutti gli altri.

Al di là dell’effettiva chiamata di coach Stevens, uno dei più brillanti della lega nelle after time-out plays, e al di là del record di squadra comunque positivo, a Boston c’è legittima preoccupazione per le dinamiche che si stanno creando nello spogliatoio, e che potrebbero interferire col process messo in piedi da Danny Ainge.

Per decifrare il labiale di Kyrie invece, non serve un esperto

 

Siamo arrivati alla fine di questa settimana: da Andrea Cassini è tutto per questa puntata di 7for7, nella prossima troverete Giorgio con le più succose news dagli States, sempre se non lo fermano in aeroporto. See ya!

One thought on “7for7 La Settimana in NBA (Ep. 2×13)

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