L’approssimarsi del Natale, con le consuete partite di cartello del Christmas Day, rappresenta forse il primo giro di boa nella stagione NBA, la prima seria occasione per fermarsi a fare un bilancio di quanto visto in campo nei primi due mesi, stilando magari un power ranking alla luce dei risultati negli scontri diretti tra le contendenti al titolo (e quest’anno, a guardare le classifiche, ce ne sono una mezza dozzina con ambizioni da anello). Ecco, la parola chiave è “seria”: questa rubrica non lo è, questa puntata men che meno, e lascerò l’onore al collega Giorgio Barbareschi che vi accompagnerà nella puntata del 24 dicembre, al posto di celebrare il Natale con la famiglia e incartare i pacchi acquistati all’ultimo minuto. Questa settimana sono successe talmente tante amenità fuori dal campo che abbiamo quasi raggiunto il nostro obiettivo dichiarato: la puntata di 7for7 che non parli di basket giocato. Enjoy!

LUNEDÌ 10 DICEMBRE – MAN ON THE MOON

Vi ricordate di quando Kyrie Irving sosteneva che la Terra fosse piatta e Jordan Clarkson argomentava, dall’alto della sua preparazione accademica in paleontologia, che i dinosauri fossero gli animali domestici di ominidi giganteschi? Da Steph Curry ci aspettavamo una maggiore serietà, vista la caratura del personaggio, ma anche lui è caduto nella tentazione della teoria del complotto scegliendo l’inossidabile polemica sull’allunaggio. In un podcast di The Ringer Steph si è mostrato scettico e ben informato sull’argomento, disquisendo anche del presunto coinvolgimento di Stanley Kubrick come regista del finto allunaggio.

Le risposte non si sono fatte attendere. La NASA gli ha offerto una visista allo Space Center di Houston. L’ex astronauta Scott Kelly ha chiacchierato con lui su Instagram. Infine i Kings, complice il loro solito geniale social media manager, hanno proiettato il video di Neil Armstrong e dell’Apollo 11 sul maxischermo prima della partita di venerdì. Steph ora si dice molto convinto della realtà dei fatti, e rassicura tutti che stava scherzando.

Come cantavano i REM, nel classico dedicato al comico Andy Kaufman poi ripreso dall’omonimo film con Jim Carrey: if you believed, they put a man on the moon

 

MARTEDÌ 11 DICEMBRE – IT’S BIGGER ON THE INSIDE

Dopo due mesi di regular season, è giunto il momento di parlare di un autentico sleeper nel roster di 7for7: un rookie sbarcato nella lega lontano dalle luci dei riflettori, ma che si era già distinto in preseason con alcuni episodi ignorantissimi. Noi, che siamo molto attenti a questo genere di cose, l’abbiamo tenuto d’occhio e finalmente vediamo sbocciare il suo talento. Parliamo di Robert Williams, rookie dei Boston Celtics da Texas A&M, un lungo atletico e mobile su cui Stevens sembra fare affidamento per il dopo-Horford (in settimana due belle prestazioni contro Hawks e Pelicans).

L’esordio non era stato dei più incoraggianti agli occhi dell’integerrima dirigenza biancoverde. Alla prima conference call della squadra, il telefono di Robert squilla a vuoto. È mattina presto, e lui sta ancora dormendo. Pochi giorni dopo, non è disponibile per la prima partita di Summer League perché ha perso l’aereo. Il motivo? Lui era a Boston, ma il suo portafogli – con annessi documenti – era a Dallas. Un amico glielo porta di persona a Las Vegas, ma lui lo perde di nuovo poco prima del volo di ritorno.

Superato un infortunio al ginocchio Williams ha cominciato a far vedere buone cose in maglia Celtics, specialmente sul piano delle giocate aeree, ma intanto i fan l’hanno soprannominato Time Lord. Un riferimento al Doctor Who dell’omonima serie televisiva, e un accenno ai suoi problemi con la puntualità. A Danny Ainge, che per l’appunto è un tipo serio, il soprannome non piace e suggerisce Lob Williams. Il diretto interessato è d’accordo con l’idea, ma ormai dovremmo averlo capito che i nickname auto-affibbiati non funzionano. Ed ecco che interviene la Timex, che produce orologi, e in sostanza twitta: “Ehi, Rob, se continui a farti chiamare Time Lord, ti copriamo di dollari con una bella sponsorizzazione“.

La banalissima proposta di Danny Ainge, inutile dirlo, è già finita in un cassetto.

Ti danno uno dei soprannomi più belli di sempre e vorresti pure cambiarlo? I Dalek non avrebbero pietà: EXTERMINATE, EXTERMINATE!

 

MERCOLEDÌ 12 DICEMBRE – LO SCAPPELLOTTO DEL GOAT

Quando il tuo datore di lavoro è Michael Jordan, non vivi esattamente libero da pressioni. Anche perché His Airness non è uno di quei proprietari come Steve Ballmer o Mark Cuban, che si esaltano e si infervorano per le giocate dei loro pupilli. Mike sta lì in tribuna, sornione, dispensa al massimo qualche sorrisetto di apprezzamento ma sotto sotto lo sanno tutti cosa sta pensando: se c’ero io, ne mettevo cinquanta solo con la mano sinistra.

Fast forward al finale della partita della notte tra Hornets e Pistons, sul parquet casalingo della North Carolina. Charlotte è una delle sorprese positive della stagione, col nuovo corso del coach James Borrego e un Kemba Walker sugli scudi. Le due squadre sono appaiate, ma Jeremy Lamb porta in vantaggio i suoi lasciando pochi centesimi sul cronometro. Sulla panchina Hornets si festeggia, pure troppo. Bismack Biyombo e Malik Monk, un altro giovane in grande spolvero, entrano sul rettangolo di gioco quando il tempo ancora non è scaduto. Gli arbitri confabulano e assegnano ai Pistons un tiro libero per fallo tecnico.

Charlotte vincerà comunque, ma MJ non la prende bene. Scende dal suo trono appositamente per assestare due scappellotti sulla zucca di Monk, che non reagisce e se la ride: sa di essere fortunato a cavarsela solo con un paio di coppini.

Se un uomo di nome Mike ti dà uno scappellotto e tu non rispondi all’offesa, le cose sono due: di cognome fa Tyson oppure Jordan

 

GIOVEDÌ 13 DICEMBRE – HARDEN IS COOKING

Dello stentato avvio di stagione dei Rockets si è detto e ridetto. La classifica di questa Western Conference impazzita si sta assestando e i Rockets del dopo-Anthony stanno pian piano ingranando la giusta marcia, intenzionati a guadagnarsi almeno un posto ai playoff. Non sarà facile, perché ora che i suoi interpreti faticano a reggere il ruolo (si veda un Chris Paul poco brillante) il gioco di Mike D’Antoni mostra il suo lato peggiore, con una brusca discesa nel rating offensivo e nel pace. James Harden sembra avere intenzione di mettere a tacere chi non lo vede come un leader; è l’MVP in carica dopotutto, e vuole essere l’ultimo ad arrendersi quando le cose vanno male. Azzecca una settimana da due triple doppie: la seconda porta alla vittoria sui Grizzlies, la prima sui Lakers. Entrambi avversari di classe, ed entrambe prestazioni sontuose.

Coi Lakers ci sono un po’ di torti da raddrizzare, se ricordate una delle prime partite stagionali che terminò con la sospensione di Ingram, Paul e Rondo in seguito a una rissa d’altri tempi. Harden mette le cose in chiaro con 50 punti, 11 assist e 10 rimbalzi. Nella storia NBA le triple doppie con 50 punti sono merce rara: quattro, ed è un record assoluto, appartengono proprio al Barba.

La prima schiacciata su McGee è seria candidata a Dunk of the Year: mica male, per uno che preferisce giocare below the rim

 

VENERDÌ 14 DICEMBRE – L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI BROOKS

Chiudiamo questa parentesi sul basket giocato e torniamo subito alle chiacchiere da spogliatoio – o in questo caso, da ufficio. Ernie Grunfeld, General Manager dei Washington Wizards, deve aver letto le ultime puntate di 7for7 dove spiegavamo che proprio i Wizards e i New York Knicks si contendevano il titolo di nostra squadra-feticcio. Il buon Ernie deve aver individuato nell’amore della nostra redazione l’unico premio a cui la sua squadra potrà ambire in questa stagione, e ha deciso di dare una robusta spallata alla concorrenza avviando questa genialata. Ecco i fatti, presentati cronologicamente dal sempre puntuale Adrian Wojnarowski.

I Phoenix Suns, abbandonata ogni velleità, hanno messo Trevor Ariza sul mercato per accelerare il rebuilding. Andrà sicuramente a rinforzare qualche contender, si pensava, o magari ai Lakers che lo accoglierebbero a braccia aperte. Invece, per motivi indecifrabili, nella trattativa s’inseriscono di prepotenza i Wizards e imbastiscono una trade a tre squadre per far quadrare i conti. Alle 20:09 Woj twitta il piatto forte dello scambio: Ariza a Washington, Kelly Oubre e Austin Rivers a Memphis, scelte ai Phoenix Suns. Alle 20:21 eccolo precisare i dettagli: nell’accordo ci sono due scelte al secondo giro più Wayne Selden e Dillon Brooks, tutti diretti in Arizona. Un minuto dopo, il colpo di scena: non è Dillon Brooks, ma MarShon. Quello che sembra un semplice refuso si trasforma rapidamente in un gigantesco equivoco, con Woj e colleghi che si scambiano decine di tweet ad avvalorare le diverse versioni.

Alle 21, la verità. I Suns credevano di prendere Dillon Brooks, invece i Grizzlies avevano offerto MarShon. The deal is dead, twitta Woj mettendo la pietra tombale, ma un GM anonimo aggiunge: forse i Wizards avrebbero dovuto mettere sul piatto coach Scott Brooks, per sparigliare le carte.

Morale della storia: il giorno dopo i Wizards studiano un’altra trade per arrivare a Trevor Ariza spedendo a Phoenix il solo Kelly Oubre, perché quando hai annunciato il rebuilding e messo sul mercato il tuo intero roster il modo migliore per cominciare è accollarsi il contratto di un role player veterano salutando uno dei tuoi giovani più promettenti e regalando qualche scelta al draft. Good job, Ernie.

In quest’immagine esclusiva, l’incontro tra Dillon e MarShon Brooks nello spogliatoio dei Grizzlies dopo l’annuncio della trade coi Suns

 

SABATO 15 DICEMBRE – L(EBR)ONZO

Alcuni tra i più attenti e assidui lettori della nostra rubrica ci hanno fatto notare che parliamo troppo spesso di alcuni giocatori o squadre, trascurandone invece altre. Per ristabilire il giusto equilibrio nell’informazione, quindi, tratteremo la notizia più accattivante della giornata di sabato senza esporci. Nella notte, una franchigia losangelina particolarmente titolata giocava in trasferta a Charlotte e si sa, i campioni, quando si esibiscono di fronte a Michael Jordan vogliono sempre catturare le luci dei riflettori.

Non stupisce quindi che gli uomini in uniforme gialla, protagonisti di un’interessante crescita alternata a debacle preoccupanti, cavalchino verso una facile vittoria punteggiata da tante corse in contropiede e schiacciate degne del replay. Il migliore in campo è un giocatore che indossa la maglia numero 23 con una tripla doppia d’ordinaria amministrazione: 24 punti, 12 rimbalzi e 11 assist, ma la notizia è che pure il compagno Lonzo Ball (lui possiamo nominarlo, credo) lo imita raggiungendo la doppia cifra in tre categorie statistiche, 16+10+10. Si tratta dell’ottava volta in cui due compagni di squadra registrano una tripla doppia nella stessa partita: gli ultimi furono Jason Kidd e Vince Carter nel 2007, mentre per trovare un simile esempio nella storia delle franchigie con origini lacustri occorre tornare indietro fino a Kareem Abdul-Jabbar e Magic Johnson.

Ma c’è un’altra statistica che è passata in secondo piano. Lonzo Ball ha limitato Kemba Walker a soli 4 punti, e questa performance va ad aggiungersi ad altre convincenti prove difensive su alcuni dei migliori attaccanti della lega. Lonzo sembra aver cambiato marcia dal punto di vista fisico, molto potente e veloce sulle gambe; un aspetto fondamentale per arrotondare il suo gioco offensivo, già eccellente in termini di creatività ma sempre altalenante al tiro. Sulla sua convivenza col più blasonato compagno di squadra la dirigenza scommette molto: i due devono ancora lavorare per intendersi alla perfezione, parliamo pur sempre di giocatori abituati ad iniziare l’attacco con la palla in mano, ma partita dopo partita Lonzo sta imparando qualcosa da un nativo di Akron, Ohio.

Il video non abbiamo saputo editarlo, ma fate conto che dica “Le migliori giocate di Lonzo Ball e quell’altro nella vittoria di quella squadra lì sugli Hornets”

 

DOMENICA 16 DICEMBRE – SHOOTOUT SUNDAY

I detrattori del predominio offensivo nell’NBA contemporanea hanno trovato pane per i loro denti nella giornata di domenica, con le consuete partite in orari accessibili anche al pubblico europeo. 120 a 113 per i Kings sui Mavericks, imbarcata della già-non citata franchigia losangelina a Washington, 128 a 110 con un super John Wall da 40 punti e una prestazione incolore di colui-che-non-deve-essere-nominato, e soprattutto un pirotecnico 144 a 127 dei Brooklyn Nets sugli Atlanta Hawks. Fa quasi specie vedere lo striminzito 95 a 86 con cui i Nuggets regolano i Raptors nella Mile High City nella partita di cartello (ma va detto che Toronto era priva di Lowry, Valanciunas e Siakam).

Proprio in settimana, il 13 dicembre per la precisione, si è celebrato il trentacinquesimo anniversario della partita NBA col punteggio più alto di sempre. I Detroit Pistons prevalsero sui Nuggets, alla McNichols Arena di Denver, per 186 a 184 dopo tre tempi supplementari. Erano altri tempi, indeed.

Ora, va bene che quest’anno in NBA si segna parecchio, ma secondo questa nota emittente italiana si sta un pochino esagerando

 

Anche per questa settimana dal sottoscritto è tutto, buon lunedì e buon proseguimento di settimana, non andate in giro in macchina se c’è troppa neve ma state a casa a guardare un po’ di NBA, che è meglio. See ya!

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