Riprendo il testimone da Giorgio per raccontarvi una settimana straripante di eventi in NBA, un mix di partite memorabili e casini fuori dal campo come piace a noi. Siccome fare 50 punti sembrava poco, c’è chi come il buon Kemba ne mette 60, oltre al duello all’overtime tra Kyrie e Kawhi. Poi vediamo i due lati della medaglia nella trade che ha portato Jimmy Butler a Philadelphia (spoiler: ha già scalzato Simmons ed Embiid in cima alla piramide alimentare e ora punta a Rocky Balboa), osserviamo LeBron che sgranocchia record come me coi biscotti a colazione e scopriamo che anche i ricchi, a volte, piangono – quelli di Golden State, nello specifico.

LUNEDÌ 12 NOVEMBRE – JIMMY WE HARDLY KNEW YA

Come il collega Giorgio vi ha raccontato la settimana scorsa, lo spin-off della serie “La vita secondo Jim(my)” ambientato in Minnesota è giunto al termine col trasferimento di Butler a Philadelphia in cambio di Dario Saric, Robert Covington e una scelta al draft. Fin da subito era apparso chiaro come i T-Wolves fossero riusciti a limitare i danni ottenendo una buona contropartita, e si prefigurava uno scenario win-win, con entrambe le squadre soddisfatte della trade. Meno facile era prevedere la reazione emotiva dello spogliatoio dei T-Wolves, liberato dalla presenza ingombrante di Butler che è sì un grande motivatore, ma anche un leader severo e a tratti monomaniaco: non sembrava parlare lo stesso linguaggio di Wiggins e Towns, cresciuti a pane e videogame, che dal suo punto di vista apparivano decisamente soft.

Nella prima partita senza Butler, a Minneapolis già si respira aria fresca. Towns registra un 25+21 e Derrick Rose parte da guardia titolare e ne aggiunge 23, vittoria contro i Nets. Due giorni dopo uno scalpo più prestigioso, quello dei New Orleans Pelicans, con Andrew Wiggins che sigilla la vittoria con questa schiacciata qui. Sì, molto probabilmente la pedata in zona vietata ai minori è fallo in attacco, ma non sottilizziamo: il punto è che, col vecchio Jimmy a osservarlo con piglio severo, mai e poi mai Wiggins avrebbe tentato una giocata del genere (tra l’altro, nel silenzio generale, in questa stagione Wiggins sta tirando da tre con più volume – 5.7 tentativi a partita contro i 4.1 dell’anno scorso – e migliori percentuali – il 41% è career high e non di poco).

Man down, I repeat, man down!

 

MARTEDÌ 13 NOVEMBRE – TROUBLE IN PARADISE

Sì, siamo arrivati alla storyline più accattivante della settimana. I Warriors sono in crisi – nei limiti in cui si può parlare di crisi per una squadra del genere – forse la più preoccupante della dinastia per via dei dubbi che apre sul futuro. Prima i fatti. Golden State è priva di Steph Curry per infortunio (21-18 è il record senza Steph negli ultimi tre anni, just so you know) e impatta nei tempi regolamentari coi Clippers, poi vincenti all’overtime. Nell’ultimo minuto, prima KD stampa sul ferro una tripla a difesa schierata, poi Draymond Green tenta una zingarata in solitario, a fil di sirena, senza far partire nemmeno un tiro. Durant voleva il pallone e lo confronta a muso duro, Green risponde per le rime, e usa parole talmente taglienti che la dirigenza decide di sospenderlo per una partita, con multa annessa.

Il succo della discussione, pare, verteva sulla prossima free agency di Kevin Durant che ha lasciato intendere di non voler lasciare sul tavolo nemmeno un centesimo. “Abbiamo già vinto senza di te, vattene pure”, avrebbe compendiato Green, farcendo però il discorso con “b*itch” al posto delle virgole. A detta dei diretti interessati il calumet della pace è già stato fumato, e Shaun Livingston abbassa in toni insieme a Steve Kerr (che se ne esce con un memorabile “anch’io presi Michael Jordan a calci in c*lo”). Liti tra compagni di squadra, anche accese, sono più che verosimili in contesti altamente competitivi, ma è altrettanto vero che il problema della free agency di Durant rimane e lui, rispondendo alle domande dei giornalisti senza sviare, avrebbe a detta di alcuni fomentato gli animi. Tra i malpensanti, infatti, si fa strada un’altra ipotesi: che la dirigenza Warriors abbia punito Green proprio per proteggere Durant e invogliarlo a rifirmare, mettendolo però di fatto contro il Dancing Bear. Una voce interna alla squadra, riporta The Athletic, avrebbe affermato che dopo l’episodio, la permanenza di KD nella baia sarebbe impossibile.

Sarà come sarà, intanto i Warriors in settimana perdono anche contro Rockets, Mavericks e Spurs.

Dray consiglia all’amico di rivolgersi al suo dentista di fiducia, dalle parti di Sausalito. Per convincere lo scettico KD, Dray gli mostra la bontà del ponte ortodontico appena installato

 

MERCOLEDÌ 14 NOVEMBRE – LEBRON NELL’OLIMPO

Dopo un inizio stentato i Los Angeles Lakers stanno vivendo un buon momento (8-6 in stagione), soprattutto dopo l’innesto di Tyson Chandler a dare man forte a Javale McGee sotto le plance. In serata arriva una convincente vittoria casalinga sui Trail Blazers, attualmente prima forza della conference, con LeBron James in modalità factotum (44 punti, 10 rimbalzi, 9 assist, 5-6 dalla distanza e 68% dal campo) lanciato nella sua personalissima missione: sfondare la top 5 dei realizzatori di tutti i tempi davanti al pubblico dello Staples Center. Con un tiro libero che corona una giocata da and-one si consuma il sorpasso su Wilt Chamberlain a quota 31.420. Per i nostalgici dei bei tempi andati e del gioco ruvido, gioverà notare che i Blazers non ci stavano a fare da comparsa negli highlights e si sono adoperati per intralciare i piani di LeBron abbassando la serranda ogni volta che si presentava nel pitturato.

Un po’ di proiezioni. Michael Jordan dista meno di mille punti e verrà verosimilmente scavalcato a gennaio. Kobe Bryant è un po’ più in alto, sopra i 33.000, ma anche qui è questione di mesi. Karl Malone è al secondo posto con 36.928, Kareem Abdul-Jabbar è primo con 38.387. Ipotizzando che James riesca a mantenere una media di poco superiore ai 21 punti a partita, con un margine di dieci partite di riposo a stagione, fino ai 38 anni, il primato assoluto dovrebbe essere una formalità.

Dei primi sei nella classifica dei marcatori all time, cinque hanno giocato nei Lakers

 

GIOVEDÌ 15 NOVEMBRE – CHI HA INCASTRATO CARMELO ANTHONY?

Mentre i Rockets, come detto, battono i Warriors in una poco entusiasmante rivincita delle finali di conference 2018, la notizia più importante arriva dagli uffici. Dopo qualche giorno di voci di corridoio, mezze conferme e mezze smentite, Carmelo Anthony viene ufficialmente tagliato dal roster e finisce a piede libero. La sua permanenza in Texas è in effetti coincisa con un pessimo stint per i Rockets, sia per i risultati che per il gioco espresso, ma visti i crolli difensivi e l’infortunio di Harden non sarebbe giusto addossare ogni responsabilità a Carmelo. Quel che è certo è che Anthony si è rivelato un fit approssimativo in un attacco che pure poteva coinvolgerlo in numerosi isolamenti: basta selezionare qualche video per notare la sua scarsa applicazione tattica, o scorrere le statline per incappare in prestazioni da 1-11 dal campo, come nella sconfitta contro OKC. Ci sono anche i 28 punti con 6 triple centrate contro Brooklyn, certo, ma i motivi dietro all’allontanamento di Anthony sembrano più caratteriali che tecnici. La sua insofferenza nell’accettare il ruolo di riserva, i problemi di convivenza con gli altri leader (Chris Paul, secondo le indiscrezioni), la sua incapacità – difficile dire fino a che punto volontaria e fino a che punto condizionata da limiti tecnici e fisici – nell’adeguarsi ai dettami di una NBA che è cambiata rispetto al 2003 (per inciso, se prendiamo gli eroi di quello storico draft, con Wade al farewell tour e altri già ritirati, la continuità dell’alieno LeBron appare ancora più impressionante).

Alcuni, come Tracy McGrady, credono che sia tempo per Melo di chiudere la carriera, prima di peggiorare ulteriormente una reputazione che ha subito numerosi colpi, tra gli ultimi scampoli di New York e l’annata in Oklahoma. Altri ex-giocatori, come Stephen Jackson, vedono in Melo un capro espiatorio, ingiustamente bistrattato. Un po’ per noblesse oblige e un po’ credendoci davvero, stelle come LeBron e Wade difendono il buon nome di Anthony e sostengono che abbia ancora qualche cartuccia da sparare, ma la domanda è: lo vorrebbero nella loro squadra?

Qui a 7for7 siamo bravi con Paint come Melo è bravo in difesa, ma almeno conosciamo i meme

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VENERDÌ 16 NOVEMBRE – BENTORNATI, CELTICS

La Eastern Conference sembrava un girone materasso, invece ecco che in meno di un mese di azione emergono dei sorprendenti Milwaukee Bucks, dei Toronto Raptors ringiovaniti dalla cura Leonard (miglior record assoluto), i solidi Pacers e dei brillanti Sixers con un Butler in più. Tutte squadre che hanno conteso e infine rubato ai Celtics il primato nella conference, che doveva essere una sorta di formalità alla viglia. Non che Boston abbia demeritato, ma finora ha viaggiato a ritmi alterni, con gli stessi protagonisti che si accusano di un approccio troppo morbido. La partita al Garden di stanotte assume allora le fattezze di un welcome back party, con l’occasione della rivincita da consumare ai danni dei Raptors, vincenti in Canada. A proposito di possibili finali di conference, le due squadre sono 3-3 negli ultimi dodici mesi, con la franchigia di casa sempre trionfante.

Il match è entusiasmante. Da una parte Kawhi Leonard con 31 punti e 15 rimbalzi, dall’altra Kyrie Irving mattatore con 43 punti (19 tra ultimo quarto e supplementare) e 11 assist. Il solito Tatum ne aggiunge 21, stessa cifra per Ibaka nei Raptors, mentre Lowry litiga un po’ col canestro e Pascal Siakam continua a sorprendere con un 16+9 in 39 minuti. La notizia più lieta per i Celtics è tuttavia la prestazione di Gordon Hayward, anche per lui 39 minuti sul parquet ora che il limite al minutaggio è stato revocato. In attacco è sempre titubante quando si tratta di attaccare il ferro, colpa dell’esplosività da recuperare, ma è puntualissimo nel servire i compagni, preciso al tiro e intelligente in difesa. 15 punti, 5 rimbalzi, 5 assist e 4 rubate per lui: una partita a tutto tondo, proprio quello per cui Brad Stevens l’ha portato a Boston.

Quando troverai una che ti guarda come Kyrie guarda l’angolo alto del tabellone prima di appoggiarvi il tiro, fidati: è quella giusta

 

SABATO 17 NOVEMBRE – KEMBA NON BASTA

In questo fine settimana l’NBA ci regala un’accoppiata di partite da lustrarsi gli occhi, tanto da distrarci dal consueto intento di 7for7 (ovvero parlare più di retroscena bizzarri che di basket giocato). Stavolta il palcoscenico è il bellissimo parquet old school di Charlotte, un’altra sopresa di inizio stagione col ritmo veloce imposto dal nuovo coach James Borrego, e i Sixers indossano la maschera degli ospiti. Jimmy Butler ha appena esordito davanti al pubblico amico prendendo la squadra per mano verso la vittoria sui Jazz (28 punti, 80% dal campo), e nel finale la scena si ripete anche con gli Hornets. Kemba Walker è indiavolato, dopotutto è in contract year e l’allenatore gli ha dato licenza di tirare in qualsiasi momento dell’azione. I suoi 60 punti sono record di franchigia (21-34 dal campo), roba da stuzzicare l’interesse di Sua Ariosità, ma nel finale i due team sono a contatto. Jimmy non mette su grandi cifre, ma nell’overtime arriva la zampata del campione. Il single coverage su Kemba è roba sua: stoppata, salvataggio sulla linea di fondo, tripla in step back dall’altra parte per chiudere i conti.

Il giorno prima, dopo la già citata W sui Jazz, Butler aveva dichiarato, lasciando trapelare tanto amore verso gli ex compagni di Minnesota: “qui tutti vogliono vincere, e quando qualcuno sbaglia ne parliamo, nessuno la prende sul personale, siamo tutti professionisti”. L’alchimia tattica è tutta da inventare (chi porta palla e chi tira da fuori, stante che Markelle Fultz al momento tratta il pallone come fosse una patata bollente?) ma dal punto di vista emotivo i Sixers hanno trovato un autentico top dog.

Mettilo qualche canestro pesante ogni tanto, Jimmy

 

DOMENICA 18 NOVEMBRE – OOPS, THEY DID IT AGAIN

 

Quando LeBron, certe volte, affronta la partita con poco mordente e si arrende di fronte agli errori dei compagni, c’è chi lo accusa di entrare in campo in ciabatte. Beh, forse non ci vanno così lontani

La domenica offre una bella camera di risonanza per due temi già trattati in settimana. Vi ricordate di quando parlavamo di LeBron James che ha messo la freccia sul terzo posto di Kobe Bryant nella lista dei realizzatori di ogni epoca? Speriamo di sì, è scritto letteralmente due righe sopra. Statistiche alla mano la data prevista per il sorpasso sarebbe intorno al 19 gennaio. Sarebbe, appunto, perché King James ha dato un colpo d’acceleratore e vuole velocizzare i tempi. Di ritorno da una brutta sconfitta con gli Orlando Magic, i Lakers proseguono il tour della Florida facendo tappa a Miami, con parquet e divise (bellissime) in stile Miami Vice. Nota statistica curiosa: è la prima volta che James torna da avversario all’American Airlines Arena, avendo saltato per infortunio le ultime trasferte dei Cavs a Miami. I compagni sono evanescenti (Lonzo Ball segna due punti in due partite) e LeBron balla da solo: 51 punti e 8 rimbalzi, 6 triple su 8 tentativi, quasi tutti dal palleggio e da distanza siderale.

Anche i Warriors sono impegnati in un road tour, quello del Texas, e dopo i ko contro Rockets e Mavericks arriva anche la bastonata ad opera dei San Antonio Spurs. Curry è sempre ai box, e come abbiamo visto la sua assenza fa tutta la differenza del mondo, ma nella baia i più apprensivi si chiedono se gli attriti nello spogliatoio non stiano davvero condizionando in negativo il rendimento e l’entusiasmo di Kevin Durant. Nelle ultime cinque partite tira con un rivedibile 39% dal campo (8-25 contro gli Spurs) e il plus/minus segna -11. Che sia tornato Mr. Unreliable, come certi giornali di Oklahoma City lo apostrofavano poco generosamente?

Le nostre sette storie per sette giorni di NBA finiscono qui, vi lascio alle amorevoli cure di Giorgio Barbareschi per la prossima settimana, e noi ci sentiamo tra quindici giorni. See ya!

One thought on “7for7 La settimana in NBA (Ep. 2×05)

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