La stagione più importante nella giovane storia dei Raptors è prossima a partire.

Già perché dall’epoca di Brendan Malone a quella di Nick Nurse, enfant prodige tra i pochi a vincere subito, il team canadese è riuscito a costruire nel tempo qualcosa di solido e concreto, che gli ha permesso di arrivare nell’ultimo quinquennio ad ambire al primato di Conference e giungere alle Finals, fino ad alzare il Larry O’Brien Trophy.

Da quest’anno però Toronto è attesa alla prima vera rebuilding della propria epopea, una sorta di rinascita che appaia così il campionato 2019/20 a quello degli albori 1995/96, quando dal Canada si affacciò al palcoscenico maggiore quello che sarà di fatto l’unico competitor “straniero” al dominio a stelle e strisce.

Ciò che mette oggi molta curiosità sul futuro della franchigia e fa dunque diventare questa annata fondamentale e di rilevanza maggiore in paragone alle altre, non è capire quale sarà il piazzamento finale nel torneo in arrivo, ovviamente carico di minori aspettative rispetto al recente passato, ma comprendere come un genio del calibro di Masai Ujiri organizzerà le mosse a venire, su quali capisaldi verranno progettati i tempi venturi e se si attenderà la fine della stagione per snellire il cap da contratti gonfi e pesanti o se si valuteranno invece all’istante, magari in midseason, nuovi accorgimenti, barattando simili big deal con contropartite tecniche futuristiche, dalle quali ripartire di slancio nel 2020/21!

Ma soprattutto l’executive si troverà di fronte a una situazione nuova da quando è al timone di comando; infatti un top player sul quale imbastire sogni di gloria e tentare l’assalto ai vertici non c’è più e Toronto passerà dall’essere contender a pretender!

Se c’è un club da issare ad esempio sui metodi gestionali al proprio interno è quello dell’Ontario, abile negli anni a pizzicare uomini franchigia sui quali fabbricare le fondamenta, senza possedere l’appeal economico delle avversarie di coste opposte, ma sapendo centrare gli uomini giusti tra pick a disposizione e scambi oculati.

Assaggiare il sapore dei playoff nell’epoca Vince Carter, soffiato ai Warriors, Tracy McGrady, propria scelta al Draft così come Chris Bosh da Georgia Tech, divenuti in Canada quei grandi giocatori che faranno sognare pure altrove, è stato un antipasto di ciò che avverrà più avanti, quando con DeRozan e Lowry si arriverà ad essere gli antagonisti principali al dominio di James nella Eastern Conference!

Vincere l’anello con Leonard è stata la chiusura del cerchio e della prima parte di storia in questo lato di Canada, che dunque con l’addio del fenomenale leader silenzioso, attratto e spronato a tornare nella natia California, ricomincia dal dover creare qualcosa di affascinante ma soprattutto vincente, una sorta di Raptors 2.0!

La riflessione che ci viene da fare è impertinente: ci vorranno altri 25 anni per coronare un nuovo sogno, non possedendo liquidità, sponsor e tradizione dei team più ricchi e pronti a spendere, di cui l’NBA trabocca? Staremo a vedere.

Il roster odierno è quasi identico al vecchio, a parte Danny Green e colui senza il quale non si sarebbe mai tolto lo scettro a dei Warriors malconci ma sempre temibili, con Paskal Siakam erto da subito a erede e profilo adatto sul quale apporre l’immagine futura di Toronto nel mondo; cosa meritata visti i progressi disumani che il camerunense ha fatto registrare e lo hanno portato ad essere decisivo come secondo violino per il coach, rinunciando pure alle sirene estive dei Thunder.

La prova del nove è in arrivo dato che, da top spot e prima risorsa offensiva, sarà chiamato ad alzare l’asticella per divenire dunque il nuovo franchise player. Verrà impiegato sia da 3 che da 4, la palla graviterà nelle sue mani come mai in passato e l’uso spasmodico del mid range shot risulterà probabilmente l’arma più utilizzata, allorquando sarà marcato da lunghi a distanza. La recente firma dell’estensione contrattuale al max la dice lunga sulle aspettative che i Raptors hanno nei suoi confronti.

Tra le new entry, sono arrivati in Ontario Stanley Johnson, dopo la doppia esperienza in Michican e New Orleans, con un biennale da 7 milioni e mezzo, e Hollis-Jefferson dai Nets, per un anno da 2.5M, rimpiazzi utili a generare elettricità dalla panchina, sempre tra le migliori con VanVleet, Ibaka e McCaw, mentre Marc Gasol, campione del mondo anche a livello nazionale, è rimasto in Canada, esercitando la player option.

Anche Lowry, braccato per anni da critiche su mancanza di personalità nelle partite decisive in combo con DeRozan, ha sfruttato al suo fianco la presenza di un vincente come Leonard, risultando così freddo e decisivo negli ultimi playoff, mantenendo un livello tecnico e qualitativo da All Star, e la sua conferma nello starting lineup alza l’hype e lo spread su esperienza e maturità.

Gli obiettivi non sono difficili da evidenziare.

Oltre all’addio di Kawhi, la Eastern Conference è stata invasa da spostamenti importanti che hanno forse livellato gli standard verso il basso. I Bucks, dominatori della vecchia regular season, restano probabilmente i favoriti ma senza Brogdon perdono freschezza in penetrazione e velocità in regia; i Pacers, che se lo sono accaparrato, aumentano sì il loro livello ma rimangono a nostro avviso nel range subito successivo alle big, soprattutto perché la ripresa al top di Oladipo è tutta da verificare.

Philadelphia si è mossa di più e meglio, avvalendosi della leadership difensiva ed esperienza di Horford e dello straordinario talento di Richardson, ma pure qui la situazione fisica di Embiid lascia perplessi, così come le clutch performance di Tobias Harris o il cedere ad un Simmons ricco di classe ma ancora troppo incompleto enormi responsabilità, anche contrattuali.

Inoltre nella vecchia postseason, oltre a Joel, il giocatore maggiormente carismatico – Jimmy Butler – è emigrato a Miami, dando agli uomini di Riley una consistenza tecnica e motivazionale superiore che in passato, ma non tanto da ergerli al top.

Boston, reduce da un brutto finale di stagione, passa da Irving a Kemba Walker, lasciando per strada qualcosa e i Nets, nella lunga attesa di Kevin Durant, col solo Kyrie al posto di D’Angelo Russell accrescono il loro già ottimo spessore, ma non tanto per aspirare a vincere la Conference.

Insomma la differenza con l’Ovest sembra essere tornata enorme come fino a un paio di anni fa e chiunque avrà l’onore di cimentarsi alle Finals coi concorrenti di sponda opposta partirà probabilmente sfavorito!

Alla luce di questo Toronto può dire la sua, sfruttando magari nelle prime 20 partite l’eventuale assestamento che tutti questi cambi potrebbero provocare nelle rivali, e arrivare ai playoff – con l’organigramma odierno, l’amalgama tra giocatori assieme da anni e l’adrenalina che un anello al dito comporta – dovrebbe essere un traguardo alla portata di Nurse e soci.

Se invece un senso di appagamento avvolgesse Siakam e compagni, unito a consapevolezza di inferiorità rispetto al passato e all’incapacità di crescere senza Leonard, il campionato per i Raptors diverrebbe catastrofico, anche perché, se è certo come detto che di superteam l’est è carente, è pur vero che oltre alle squadre da vertice poc’anzi accennate, ci sono franchigie come Pistons, Magic e i giovani e rampanti Hawks che potrebbero inserirsi nella race per gli ultimi spot.

Le soluzioni a questa eventualità sono due.

La prima consisterebbe nel correre ai ripari rinunciando a qualche pezzo grosso in trade deadline, come ipotizzato a inizio pezzo, ottenendo giovani scelte per il prossimo futuro, da affiancare a Siakam, VanVleet (in scadenza), Powell e Anunoby. Gasol, Lowry e Ibaka entrerebbero di diritto tra i candidati al sacrificio, senza attendere la fine (2020) dei pesanti contratti a bilancio, 82 milioni totali.

La seconda va all’insegna del tanking, visto che Knicks, Bulls e Suns rispetto ai tempi recenti non giocheranno per perdere e una pick valida da accoppiare al camerunense creerebbe ulteriore appeal per il futuro.

Ovviamente le dichiarazioni della preseason sono ottimistiche e i veterani si professano ancora carichi, affamati e inclini al back in business; lo stesso Ujiri ha escluso scambi, specie per Kyle, forse perché ancora imbarazzato dall’affaire DeRozan.

“We the North” sarà nuovamente il grido di battaglia in Ontario, ramo palla a spicchi; bisogna però vedere quanto la fortezza sarà protetta senza più il re a battagliare in quintetto! L’unica certezza è che l’anno zero a Toronto è pronto a partire e le curiosità di sicuro non mancheranno.

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