E se questa fosse l’ultima gara alla Oracle?

Non l’avevo realizzato fino a questa mattina, mentre riordinavo la mente pensando a cosa portare alla partita: laptop, macchina, lenti.. e se fosse l’ultima?

Chissà se qualcuno dei giocatori ha avuto un pensiero simile fra le orecchie. Chissà se questa gara 5 ha generato ansia o magari “rovinato” qualche riposo notturno. Magari in Stephen Curry, irriconoscibile negli ultimi due episodi della serie, o in Klay Thompson, per il quale le battutine su “rapimenti” e le foto appiccicate con photoshop dietro i cartoni del latte per simularne la scomparsa, nemmeno fanno più ridere dopo le prestazioni orrende di gara 3 e 4.

Però, come siamo arrivati a questo punto?

Non  è che il pareggio attuale -fra due squadre che l’anno scorso sono arrivate a gara 7 per decidere chi andasse alle NBA Finals- sia particolarmente sconcertante, ma solo a pensarci una settimana fa, quando sembravamo persi in un marasma calcistico fra flop, falli e moviole e Golden State comandava la serie emotivamente e tecnicamente, sembra davvero strano.

Quindi, che è successo? Difficile dirlo con certezza.
Sicuramente gara 3 è imputabile alla prestazione oscena di Curry & Thompson. Il secondo, Klay Thompson, non è stato “crocifisso in sala mensa” (6-16 e due TO) solo perché la piazza inferocita si è giustamente concentrata su Stephen Curry, colpevole di un insolito 7-23 dal campo con 2-9 da tre concluso con una indecorosa stoppata DAL ferro a fine gara.

Gara 4 invece è stata più strana: il copione degli Splash Brothers è stato molto simile all’episodio precedente (con Thompson tenuto a 5-15 dal campo e 1-6 da tre), ma con Steph fintamente in ripresa con un apparente decente 50%, accompagnato però da un dissacrante (per lui) 4 su 14 dalla lunga distanza.

Certo, non ci sono solo demeriti di Golden State ma anche tantissimi meriti di Houston: Harden sembra finalmente un MVP anche nei playoff (35 o più punti per lui e KD in tutti e 4 i capitoli di questa serie) e i comprimari dei Rockets hanno cambiato marcia, ma anche sommando tutte queste cose le prestazioni dei Warriors non sono oggettivamente state all’altezza del loro blasone.

Houston poi è un avversario tosto: è stata allestita con l’unico obiettivo di abbattere i Warriors ed è normale che quindi il loro gioco “di fioretto” venga affettato a colpi di scimitarra da difensori come PJ Tucker ed Eric Gordon. Il piano dei texani è tanto semplice quanto efficace e si compone di tre sole parti, quattro al massimo, se proprio vogliamo fare i precisini:

  1. Aggredire fisicamente i Warriors generando uno stato di costante pressione fisica sul perimetro (con difensori non troppo alti, ma molto veloci orizzontalmente per “cambiare” in qualsiasi situazione) per sporcare un po’ il gioco offensivo dei californiani e non farsi tumulare di triple.
  2. Fidarsi di PJ Tucker (e di una rotazione ampia fatta da 3/4 giocatori) per limitare Durant. E con “limitare” si intende non fargli fare 50+ punti.
  3. Attaccare in difesa Curry, sempre e comunque.
  4. Tirare da tre tanto e -come dicono da queste parti- “regardless”, sticazzi poi se la gara sette dell’anno scorso l’hanno persa registrando il record di triple sbagliate di ogni epoca. I Rockets infatti appena allacciate le scarpe tirano anche dal parcheggio e/o dagli spogliatoi: 18-42 in gara 3 (42.9%) e 17 su 50 (34%) in gara 4. Il mantra è che fra le 40-50 triple sopra fra il 30 e il 40% c’è la vera chiave per sbarazzarsi della squadra di Curry.

1° Quarto
Hamptons Five (o Death Lineup, se preferite la versione “piccante”) per Kerr con quel Curry-Thompson-Green-Igoudala-Durant, che suona come l’appello delle superiori alla prima ora di lezione.
Risponde D’Antoni, abbastanza prevedibilmente, con Harden-Paul-Tucker-Capela-Gordon.

La gara inizia in equilibrio ma un po’ lenta; dopo metà quarto sono appena 24 i punti segnati dalle due squadre (12 a testa).
Golden State sembra chiaro che voglia mettere in fiducia Thompson e Klay risponde subito con un 5-6 al tiro e due triple particolarmente sentite dai presenti della Oracle.

Anche se Harden prova a fare la voce grossa per tenere i suoi in carreggiata, gli avversari sembrano semplicemente più sul pezzo: è +10 Warriors con due minuti alla prima sirena.

Curry è per adesso un po’ assente, almeno offensivamente: due triple tentate, zero bersagli. Difensivamente invece è (prevedibilmente) al centro del piano offensivo di Houston, che lo attacca in pratica anche mentre va a sedersi in panchina.

L’altro osservato speciale, Chris Paul, fatica in modo vistoso: 1-3 dal campo, 0-2 da tre. A quanto pare questa non è una serie per gente più bassa di 1 e 90 …

Chiude il quarto una tripla di Green (Draymond) e finisce 31-17 Warriors. Per il momento i falli personali -altro capitolo interessantissimo di questa serie- sono tutti sotto controllo.

2° Quarto
Ancora Looney, ancora Thompson, ancora Durant. Houston fatica a rispondere ma non va a fondo, tenendo la partita intorno ai dieci punti di scarto: un affare con un Gordon da 0-4 al tiro, Paul con 2-6 e Capela con 0-2.

Livingston e Iguodala, entrambi molto incerti prima del fischio d’inizio, stanno giocando una gara solida su entrambi i lati del campo, ma Houston si riavvicina a -3 con un acuto di Harden a cui risponde il solito KD con tripla e due liberi: che il duello abbia inizio.

Finora Durant ha sempre iniziato le gare in modo molto calmo per poi accendersi spesso tardivamente verso gli ultimi due quarti. Oggi, in casa, quando ti giochi tanto, non te lo puoi permettere.

+10 di nuovo Warriors sul 47-37 con 4′ e briciole da giocare nel parziale e successivamente +20 con triple di Steph e KD, mentre Paul continua a bisticciare con il ferro (2-7 con niente da tre).

Quando giocano così i Warriors non perderebbero nemmeno contro il Dream Team del 1992… Anche se un po’ di deconcentrazione finale permette a Houston di ricucire leggermente, all’intervallo i campioni in carica sembrano decisamente in controllo della gara

3° Quarto
Solitamente questo è il parziale dei Warriors, ma a quanto pare non oggi: parzialone dei Rockets e siamo 55-62, con un paio di robe orripilanti ed un ritmo che sembra un lontano parente messicano di quello visto nel primo tempo.

Time out Kerr: In questa serie i Warriors perdono ritmo e sicurezza ad una velocità incredibile finendo in un attimo nel solito schema “palla a KD mentre gli altri 4 sgranano il rosario”.

Focus KD: Fra tutti i problemi degli Warriors, che sono tanti in questa serie, KD non è annoverabile nemmeno per farci su le battute. Dalla serie con i Clippers in cui dopo un paio di gare difficili è andato serafico a ribadire alla stampa che lui era tranquillo perché era “Kevin Durant”, le prestazioni del nativo di Washington sono state a metà fra il divino e l’impensabile. Non mi metto nemmeno a listare i numeri, perchè se non ve lo state gustando partita dopo partita non ha senso nemmeno mettervi al corrente delle statistiche. Più di una volta, nelle ultime 2 settimane circa, mi sono ritrovato a guardare le gare degli Warriors solo per vederlo tirare: poesia pura.

Ad un Curry da 3/11 (con un paio di layup che molti spettatori avrebbero messo tranquillamente), risponde Capela con 1/7 (con un paio di deviazioni da beach volley) e Chris Paul anche lui con 3/11.
Tante botte + molti errori + ritmo elevato = brutto basket.

Steph Curry mi ha sinceramente un po’ stancato. Mi piace molto dentro e fuori dal campo, ma mi sono un po’ rotto di non vederlo mai risplendere nelle occasioni importanti e, ancora di più, del fatto che la faccia e l’attitudine da bravo ragazzo lo mettono al riparo da tantissime critiche feroci, che invece riserviamo per quelli che si autoproclamano “King/Chosen One” o vanno a fare le interviste con gli occhiali senza le lenti (ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale).

Più guardo questa squadra nelle partite che contano e più aspetto il monster game di Curry, che però non arriva mai e mi si insinua in testa l’idea che senza Durant non avrebbero mai rivinto un titolo NBA.

Houston ricuce un canestro dopo l’altro fino al meno 1, Durant ne segna uno e si gira per vedere gli ha dato un calcio alla gamba. Purtroppo non c’è nessun calcio, è un infortunio e sembra pure serio: a 2:05 al termine del quarto KD esce dalla gara per non tornare più e i Warriors adesso hanno le spalle al muro.

Di colpo abbiamo una partita punto a punto con Curry e Harden che salgono in cattedra. Nel ritornare al posto assegnato a Play.it USA passo vicino alle prime file vicino ad un signore con una faccia conosciuta che si fionda dentro. Ci metto un po’ a capire chi è: Joe Lacob, il proprietario dei GSW che “vola” dentro da Durant con l’espressione più seria che ha. Butta male.

4° Quarto
Si inizia con una tripla messa da Jerebko, quindi immagino che a Las Vegas qualcuno sia appena diventato ricco. Harden continua a rispondere colpo su colpo e per i Rockets questa è una notizia fantastica, specialmente visto che anche questo giocatore ha sempre avuto alcuni problemi a dimostrare il suo valore sotto pressione.

Houston sa che una occasione così non gli ricapita più, ma non tutti sembrano capirlo: i Rockets soffrono con i 3/12 di Tucker e Paul ed uno scarso 30% di squadra da tre.

Sale di colpi Curry, da vero campione, come a voler smentire quello che ho appena scritto: tripla spaccagambe di Steph ed è +3 Warriors sull’80 a 79.

La tensione nell’aria è così densa che si può tagliare con un coltello.

Per Steph non ne faccio più nemmeno una questione di tabellino; quando vale il detto “ora o mai più” i numeri, le percentuali ed i modi sono tutti relativi.

Iguodala su Harden sembra l’unica marcatura che regge per davvero, mentre su tutti i ribaltamenti la difesa Warriors è sempre in affanno e Houston trova costantemente un tiro “buono”. Stavolta tocca a Gordon, pareggio a quota 84 a 5′ alla fine.

Altra tripla di Steph e la Oracle esplode: quanto è bello non avere ragione…

Si va avanti a braccetto: 89-88 Warrriors e time-out Kerr.

Arriva la difesa ruggente dei GSW proprio quando serve di più: sfondamento preso da Green, tecnico preso da Green (e fin qui tutto normale), tripla segnata da Green (!) urlo “gorillesco” per aizzare la folla, che i-m-p-a-z-z-i-s-c-e.

Curry in lunetta con i cori MVP-MVP e la palla che pesa 3 kg. Morbidissimo il primo, solo rete il secondo. Da campione.
Di nuovo + 6 Warriors, poi accorciano ancora i Rockets e ora solo 4 punti dividono le squadra quando mancano 39 miseri secondi da giocare. Time out Warriors (doppio).

Houston sta andando troppo spesso in lunetta “aggratis”. Green è costretto ad uscire dopo il sesto fallo; Golden State è sempre più all’angolo sul +4 prima e sul +3 poi.

Tutte e due le squadre sono in mezzo al campo: per Houston il time out lo tengono Pj Tucker e Chris Paul, mentre i Warriors sono tutti intorno a Kerr per decidere le ultime giocate.

Gli schemi saltano, i californiani per poco non la perdono due volte ma poi la palla carambola nelle mani di Klay Thompson che rimette 5 punti fra le due squadre e fa saltare Steph in cielo. Gli Warriors “sopravvivono” a questa gara 5 e riprendono il comando della serie.

Pensavo potesse essere l’ultima alla Oracle e ho dubitato fortemente di Steph, che invece è uscito fortissimo nella gara chiave di una serie per lui finora difficilissima.

Passo e chiudo dalla partita più emozionante vista live qui alla Oracle in due anni di NBA.

A presto :)

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