Allo stentato e dubbioso avvio di stagione, col quale si pensava che a Utah fosse finita la magia dello scorso anno, è seguito un ottimo scatto d’orgoglio dei ragazzi di Quin Snyder, che li propone oggi come una delle forze alternative nel selvaggio West.

I meriti di questo cambiamento vanno ascritti sostanzialmente a tre fattori, che si vanno ad aggiungere a quello di una sempre solida fase difensiva: l’acquisto in mid season di un esperto tiratore come Kyle Korver, un calendario benevolo con molte apparizioni nel fortino del Vivint Smart ma soprattutto il ritorno in auge di Donovan Mitchell!!

La crescita e il miglioramento dell’ex rookie aiuta la progressione di tutti i suoi compagni ovviamente facilitati dai raddoppi sul fenomenale numero 45. In un mese si è passati da un ventunesimo posto di categoria con 107.7 punti per game a un dignitoso top eight con 113: risultato ancor più pregevole se si considera di aver tenuto sotto media compagini come Nuggets, Blazers, Lakers, Clippers e due volte Pistons.

I Jazz sono arrivati dopo Natale con un record sotto il 50% anche a causa del maggior numero di trasferte rispetto alle rivali e di match contro squadre in griglia playoff. Gli otto incontri su quattordici di Gennaio disputati in casa hanno poi permesso il ritorno nelle alte sfere della Western Conference.

Coach Snyder, troppo spesso sottovalutato, ha dimostrato da quattro anni a questa parte di saper infondere sicurezza nei propri mezzi ad una squadra tecnicamente meno profonda delle corazzate dell’Ovest, passando dalle 25 vittorie con Tyrone Corbin a record sempre sulle 50W, tranne nella stagione d’esordio. Un grande successo per il runner up coach of the year, che ha bypassato e sostituito talento e qualità con un’abnegazione lodevole ed un playbook di gruppo, senza solisti, ad eccezione di Donovan Mitchell.

E’ proprio il rendimento al ribasso di quest’ultimo un altro motivo della faticosa partenza. Attenzione però: i 20 punti, 3 rimbalzi, 3,4 assist e due palle rubate in 32 minuti erano un ottimo ruolino di marcia.

Probabilmente qualcuno si è dimenticato il fattore anagrafico di questo spaventoso diamante grezzo sbocciato ed esploso poche incollature sotto a Ben Simmons la scorsa regular season. Non è facile ripetersi soprattutto perché, in una rosa senza super big, le aspettative al secondo anno diventano spesso insopportabili causando in alcuni casi l’arresto della crescita di una luminosa carriera NBA, insieme ai sogni di gloria che si porta dietro.

In particolare le egregie percentuali al tiro nella stagione da rookie col 44% dal campo e il 34 dal profondo non si sono ripetute fino a un mese fa col 41 e 29!!

Poi, come rimarcato, una serie di fattori ha riportato le cose a posto generando a catena progressi sia di gruppo che singolarmente: Donovan ha realizzato sui 28 di media, 5 rimbalzi e percentuali spaziali col 41% da tre e 45 da due venendo inoltre eletto Western Conference Player of the Week.

Nel 2017 fino alla trade deadline Utah non veniva vista di buon occhio dai critici a stelle e strisce, convinti che il post 51 Win, con relativa cessione di Gordon Hayward, fosse irripetibile. Un’incredibile sequenza di 29 vittorie e solo sei sconfitte li riportò invece ad agguantare la postseason uscendo in modo più che dignitoso nelle semifinali contro i Rockets.

L’arma principale è una ormai storica difesa ricca di aggressività, peso ma anche rapidità sugli esterni, coi piccoli come Mitchell e Rubio ad “allargare” le maglie e Gobert e Favors a fare la voce grossa nel pitturato, pronti a “stoppare” qualunque tipo di penetrazione. Grazie a questi schemi tanto collaudati e oliati si costringono gli avversari a scaricare la palla oppure ad arrestare le penetrazioni fino a tre metri dal ferro. Ciò provoca confusione, improvvisazione e un numero molto alto di palle rubate e perse.

Certo a Ovest gente come LeBron, Harden, George, Lillard o i Big Five di Golden State aggira con la classe queste trappole tirando e segnando anche a coefficiente di difficoltà elevato: vedere le recenti imbarcate con Blazers e Rockets!! In alcuni match infatti puntare solo sulla difesa funziona fino a un certo punto e per fare il salto di qualità ci vuole un maggiore spessore nella fase d’attacco, costante cruccio dei Jazz.

Per limare questo gap con team più tecnici e qualitativi sta portando i previsti benefici il ritorno di Kyle Korver, sistematosi qui dopo mesi di rumors che lo volevano un po’ ovunque e soprattutto lontano da Cleveland. In progressione, sta prendendo sempre più confidenza con un gioco agli antipodi rispetto al recente passato nell’Ohio senza il prescelto.

Il minutaggio e i tentativi al tiro sono in aumento, idem le sue percentuali dalla lunga (42% a gennaio) grazie alle quali si sta inserendo negli schemi di Snyder con la classica uscita dai blocchi che lo ha reso celebre; una novità più che positiva per una squadra spesso schiava delle invenzioni del suo giovane leader. Adesso, oltre a tre più che discreti tiratori da fuori dall’arco come DM45, Crowder e Ingles, si aggiunge uno dei migliori cecchini degli ultimi venti anni: non male!! Per arrivare a lui sacrificati Alec Burks e le due future scelte del secondo turno al Draft 2020 e 2021.

La società fa sul serio e nella trade deadline proverà fino all’ultimo a prendere un altro pezzo pregiato come Otto Porter o Mike Conley, dopo che per un periodo erano state insistenti voci su uno scambio Favors/Jabari Parker. Nomi che farebbero innalzare ancor di più il livello di una squadra che si muove a memoria.

Un team rimasto praticamente uguale al passato col solo addio di Jerebko ai Warriors e che ha ancora in Rubio – insieme a Mitchell una coppia di guardie da far invidia a chiunque – e Rudy Gobert (muro difensivo) le punte di diamante.

Aspettando il salto di qualità di Allen, ex Duke atteso da molti per la personalità dimostrata ma ancora troppo impulsivo e marginale, la ripresa di Exum e Sefolosha dai guai fisici che ne stanno condizionando il rendimento e un altro regalo dal mercato, i Jazz proseguono la caccia ai playoff e ad un’altra stagione sopra le 50 vittorie, sicuri di essere un avversario ostico per chiunque.

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