Non è la prima volta che mi capita la clamorosa fortuna di poter assistere da dietro le quinte ad una partita della Lega più bella del mondo (qui, qui e qui i resoconti delle mie precedenti peregrinazioni da inviato speciale di Play.it USA), approfittando delle credenziali NBA all-access che la potenza mediatica della nostra redazione ci permette di ottenere. Dovrei quindi essermi ormai abituato all’emozione di avere a pochi metri i più grandi giocatori di basket dell’intero globo terracqueo, ma devo ammettere che questa occasione ha per me qualcosa di speciale. Il motivo è che stasera, 11 Gennaio 2019, a Minnneapolis arrivano i Dallas Mavericks e il mio cuore cestistico sanguina letteralmente in biancoblu da oltre vent’anni.

Appena un po’ seccato dall’aver dimenticato a casa il caricabatterie della mia reflex e dovermi quindi affidare alla fotocamera dell’Iphone (a proposito, il prossimo che mi dice che con il cellulare si fanno delle belle foto giuro che lo mando a quel paese), sono letteralmente galvanizzato dalla prospettiva di incontrare il mio idolo di sempre e colui che vedo già destinato a prendere il suo posto. Sto parlando ovviamente di Nowitzki e Doncic, che per un MFFL (Mavs Fan For Life) come me rappresentano più o meno l’equivalente musulmano dell’hajj, il sacro pellegrinaggio a La Mecca.

Nemmeno il fatto di essere al momento bersagliato da una combo febbre-tosse-raffreddore, che in una giornata normale mi ridurrebbe a letto in condizioni simil-larvatiche, può ridurre il mio entusiasmo e con lo spirito di un bambino di dieci anni la mattina di Natale mi presento al palazzetto con le due canoniche ore di fantozziano anticipo per poter assistere con tutta calma al riscaldamento delle due squadre. Ecco, magari stavolta soprattutto di una.

Primo obiettivo: cercare Luka e Dirk. Nemmeno il tempo di abbandonare giaccone e sciarpa (a Minneapolis fa un discreto freddino in questo periodo) e già mi sono fiondato in campo per cercare di intercettare il meraviglioso duo. Sono fortunato: Dirk è già in campo per allenarsi al tiro e Luka arriva poco dopo, proprio mentre sto asciugando una lacrima di commozione sgorgata spontaneamente dal mio occhio sinistro alla vista del biondo semidio teutonico.

Che dire… intanto che Dirk è immenso. Ma non (solo) in termini di legacy quanto proprio fisicamente: una torre a dodici piani che si muove ancora con inspiegabile leggerezza, seppure ad una velocità onestamente un filino rallentata (non che sia mai stato un fulmine ma al momento siamo a livelli da dopolavorista ferroviario). Luka entra in campo con il suo consueto sorriso e comincia subito a scherzare con assistenti e compagni, ma soprattutto proprio con Nowitzki. I due sembrano davvero in sintonia, si spintonano giocosamente come due ragazzini (beh, uno dei due praticamente lo è) e si vede lontano un miglio che hanno sviluppato un bel rapporto personale. In realtà un po’ tutti i componenti dei Mavericks, che mano a mano arrivano sul campo per il riscaldamento, sembrano divertirsi parecchio e dopo pochi minuti partono delle mini-gare di tiro, con Barea che batte un paio di volte Nowitzki e festeggia piuttosto rumorosamente da buon portoricano. Finito il suo warm-up Doncic si ferma a guardare alcuni filmati con uno degli allenatori, mentre Dirk continua a tirare in pratica da ogni posizione del campo.

Da fermo è ancora una macchina da canestri, purtroppo in questa stagione sta avendo diversi problemi a rendersi pericoloso nei (pochi) minuti che coach Carlisle gli concede in campo. Rientrando negli spogliatoi il tedesco si trattiene per firmare moltissimi autografi alla gente accorsa per vedere quella che molto probabilmente sarà la sua ultima apparizione da queste parti. Dopo una fugace comparsata sull’altro lato del campo per seguire Wiggins e Gibson provare qualche giocata di pick and roll, il mio cuore mi richiama all’ordine e mi trasferisco di fronte allo spogliatoio dei Mavericks, dove ho la possibilità di assistere ad un huddle prepartita che definire esilarante è riduttivo (se non mi credete giudicate voi stessi il video qui sotto).

Potranno anche essere superstar da milioni di dollari, ma in fondo non sono poi tanto diversi dalla vostra normale squadra di CSI provinciale. Poco dopo mi becco anche l’entrata dei Twolves, con i big three Wiggins/Teague/Towns che arrivano alla spicciolata con qualche minuto di ritardo. Il pubblico è già piuttosto caldo e lo sarà ancora di più nel corso della partita, alla quale assistono oltre 18.000 spettatori per uno dei pochi sold out di questa stagione qui a Minneapolis. Dopo altri cinque minuti di shootaround è il momento dell’inno nazionale, viziato da un problema al microfono che però non impedisce ad un prode sassofonista locale di completare una notevole esecuzione dello Star Spangled Banner.

Pochi istanti prima della palla a due mi trasferisco alla mia postazione, che stavolta (non è sempre così per le testate straniere in visita alle arene NBA) è in una fantastica posizione nei pressi di uno dei due canestri. La partita è subito molto gradevole, con i Mavericks che partono forte nel primo quarto grazie al lavoro sotto le plance di un pimpante DeAndre Jordan e ad un Doncic che dopo pochi minuti di gioco è già a quota undici punti. Fa il suo ingresso in campo anche Nowitzki che si prende un paio di tiri ma gli sbaglia entrambi, deludendo perfino il pubblico di casa che vorrebbe vedergli segnare almeno un ultimo canestro prima del suo probabile ritiro a fine stagione.

Dall’altra parte Towns è carico a molla e domina sotto i tabelloni mentre Wiggins, reduce da un quarantello contro i Thunder con il quale ha permesso al nuovo coach Ryan Saunders di conquistare la sua prima vittoria in carriera da capoallenatore NBA, è abbastanza sfortunato e vede tre tiri consecutivi ruotare sul ferro prima di uscire beffardamente. Il figlio del compianto Flip è uno dei più applauditi dal pubblico di casa, che gli tributa ovazioni ad ogni inquadratura. Sul jumbotron fa capolino perfino il faccione di Kevin Garnett, con un videomessaggio in cui ricorda con affetto il padre del nuovo coach dei Timberwolves e augura a quest’ultimo una fortunata carriera.

Nel secondo quarto i Mavericks sembrano prendere il largo. Le scorribande in area di JJ Barea e le triple di Harrison Barnes portano il vantaggio dei Mavericks oltre la doppia cifra, approfittando anche di una lieve distorsione alla caviglia per Towns che lo costringe a rientrare per qualche minuto negli spogliatoi. All’intervallo il punteggio è di 61 a 50 e i Mavs sembrano abbastanza in controllo. Stasera al Target Center è di scena la Prince Night e il purple è il colore d’ordinanza sia per le maglie dei giocatori di casa che per le luci che illuminano un breve concerto di tributo a questo grande artista, nativo proprio di Minneapolis e purtroppo scomparso prematuramente meno di due anni fa.

Si riparte per il terzo quarto e i Twolves riescono piano piano a ricucire parte dello scarto, guidati da un Towns che a tratti è letteralmente immarcabile. La mia impressione è che l’unico problema di questo giocatore sia (a volte) la poca concentrazione, perché davvero non gli manca nulla per dominare. Dal post si mangia letteralmente Kleber, che tra l’altro sarebbe pure un buon difensore, e dal palleggio mette la palla per terra con grande abilità sia per andare a destra che a sinistra, rendendolo un rebus praticamente irrisolvibile per gli avversari. La rincorsa dei padroni di casa subisce una battuta d’arresto quando proprio KAT è costretto a tornare in panchina per il quarto fallo personale e alla sirena del terzo quarto i Mavs sono ancora avanti di sette sull’85 a 78.

In contumacia del loro lider maximo ci pensa Derrick Rose a riportare a contatto Minnesota. In questa stagione l’ex MVP è letteralmente rinato, trasformandosi in uno dei migliori sesti uomini dell’intera lega e in un insospettabile tiratore di alto livello dalla lunga distanza (3 su 5 per lui stasera e un impressionante 46.7% stagionale). A dargli una mano ci pensa il rookie Josh Okogie, ultimamente salito parecchio nelle gerarchie interne e autore di un paio di triple (4 su 6 dal tre per lui alla fine) che permettono ai Timberwolves di arrivare agli ultimi tre minuti di partita con solo quattro lunghezze da recuperare sul punteggio di 103 a 107.

Da lì in poi la partita, che era già bella anche prima, diventa un vero e proprio spettacolo. Prima Rose realizza in penetrazione il canestro del -2, poi lui stesso piazza una imperiale stoppata sul tentativo di fade away da parte di Doncic e nei due successivi possessi offensivi uno scatenato Towns porta i suoi in vantaggio con due giocate da autentico dominatore del pitturato. Ma lo sloveno in maglia biancoazzurra non ci sta: prima realizza un difficile canestro in penetrazione e poi, dopo un floater realizzato da Teague, piazza una poderosa schiacciata sulla testa della difesa avversaria. 114 a 113 per Dallas, che riguadagna la testa della gara ma la perde subito grazie al tap-in vincente di Gibson su un errore di misura di KAT. Il pubblico di casa esplode in un boato e Carlisle è costretto a chiamare timeout con circa 35 secondi da giocare. Dallas effettua la rimessa e per un attimo rischia di perdere la palla, ma la recupera e la mette tra le mani di Luka Doncic per quello che sarà il possesso decisivo. Com’è andata a finire? Più o meno così.

Tripla dal palleggio in faccia a Towns, solo rete, Dallas a +2 sul 117 a 115. Minnesota ha ancora un’occasione per ribaltare le sorti dell’incontro ma ormai lo sloveno ha letteralmente prosciugato le emozioni dell’arena e Harrison Barnes recupera il pallone chiudendo la gara con un 2/2 dalla lunetta. Game, set, Luka.

Ora, io potrò anche passare per un commentatore “di parte” ma sinceramente non mi ricordo di aver visto un rookie così impressionante dal punto di vista mentale e tecnico come questo biondo ragazzo sloveno, che sembra giocare con una disarmante semplicità e che fa tutto, compreso vincere partite come questa (chiusa a quota 29/12/8, numeri e impatto letteralmente lebroniani) con il sorriso sulle labbra. “Ladies and Gentlemen, I want you to know this man has a smile that lights up a television screen from here to Bangor, Maine”. Con questa frase il giornalista sportivo Brent Musburger presentò Magic Johnson nella diretta della sua prima gara in NBA e io credo che la citazione si adatti perfettamente anche a Doncic. Luka sembra essere amato e apprezzato già da tutti, compagni e tifosi, come testimoniato dagli oltre due milioni e duecentomila preferenze che gli sono già state tributate nelle votazioni per l’All Star Game 2019 di Charlotte, cosa che lo rende il secondo giocatore più votato a Ovest (!) e il quarto in assoluto dopo LeBron, Giannis e Irving (!!!).

Doncic è ovviamente anche il più cercato da tutti quando al termine della gara i giornalisti (e i semi-imbucati come il sottoscritto) vengono ammessi nel sancta sanctorum degli spogliatoi. Lui risponde quasi imbarazzato a tutti i complimenti e dichiara I only try to do what’s best to bring the team to a victory. Mi pare che ti stia riuscendo piuttosto bene caro Luka… 

I suoi compagni sorridono quando gli viene chiesto come faccia questo 19enne a giocare e chiudere le partite in questo modo. “He should have ice in his veins” dice un divertito Maxi Kleber, mentre il sommo Dirk (per la verità un po’ nervoso per un’altra sua prestazione decisamente incolore), certifica: “He’s so special, the confidence that he has in himself when the game is on the line is really incredible”. Quale miglior endorsement per un giocatore che sentire parole del genere pronunciate da una delle più grandi leggende nella storia di questo sport?

I Mavericks potranno o non potranno arrivare ai playoff nell’ipercompetitiva Western Conference, questo ce lo dirà solo il tempo, ma in ogni caso non sarebbe una tragedia perchè il nuovo ciclo della franchigia texana è solamente all’inizio. Il nuovo giocatore franchigia ad occhio mi pare sia stato trovato ma bisognerà decidere cosa fare con Dennis Smith Jr, continuamente disturbato nel suo sviluppo da una lunga serie di mini-infortuni assortiti e comunque molto poco efficiente quando è in campo assieme a Doncic, e con DeAndre Jordan, firmato con un contratto annuale ma che potrebbe essere rinnovato anche se a cifre inferiori. Dallas ha moltissimi contratti in scadenza e l’anno prossimo avrà uno spazio salariale importante, anche se questo nel recente passato non è stato sufficiente per attrarre in città free agent di alto livello. Basterà la prospettiva di giocare accanto al fenomeno sloveno per convincere superstar come Durant, Leonard, Irving, Butler o Thompson a sbarcare in Texas? 

La situazione dei Timberwolves è decisamente più complicata, perlomeno nel lungo periodo. La squadra sta attraversando un buon momento e dalla partenza di Butler ha ripreso la sua rincorsa alla zona playoff che però, come detto sopra, è abbastanza complessa da raggiungere. Towns è certamente uno dei più grandi talenti della NBA, perlomeno in attacco, mentre i vari Teague, Wiggins, Gibson e Covington (attualmente infortunato) sono ottimi giocatori di complemento anche se non delle vere e proprie stelle. Saric, decisamente brillante nei suoi primi due anni ai Sixers, non sta producendo sui suoi abituali livelli in questa prima parte di stagione ma è un valido asset e varrebbe la pena di aspettare prima di decretarlo come “bollito”.

Insomma, il roster non è male ma ad Ovest questo non basta per garantirsi una continuità di apparizioni in postseason. Il problema è che operare sul mercato rischia di essere piuttosto complicato, perchè (se Teague eserciterà la sua player option da 19 milioni) i Twolves in pratica nella prossima estate non avranno spazio salariale e rischiano di ritrovarsi ancorati a quel limbo composto dalle squadre di fascia media NBA, troppo talentuose per tankare ma non sufficientemente forti per puntare a diventare delle credibili contender.

E io? Io torno in hotel ancora decisamente malcombinato dal punto di vista fisico (ancora mi chiedo come cavolo sia possibile che gli americani utilizzino l’aria condizionata dentro la sala stampa quando fuori c’è -10) ma rinfrancato nel cuore e nell’anima. Anche se a fine stagione Dirk dovesse appendere le scarpe al chiodo, ho già qualcun altro per cui perdere il sonno per i prossimi vent’anni. Riuscite ad indovinare chi? :-D

2 thoughts on “A night at the game: Dallas Mavericks @ Minnesota Timberwolves

  1. Da tifoso dei Mavs dal 1989 non posso che provare commozione e fortissima invidia per questa tua esperienza. Credo che rimarrei di sale e balbuziente per 5 minuti se vedessi WunderDirk a due passi da me. Speriamo che Luka D.possa prendere il suo posto con gli stessi risultati( o migliori…..).
    Tuttavia nel credo che Dallas farà i p.o. quest’anno. Ad Ovest la competizione è troppo e ancora noi non siamo da 8 posto..ci manca un play vero che dia più tranquillità alla squadra, anche se ho visto Dallas giocare molto bene spesso, stare in partita fino all’ultimo e avere talento e potenzialità, ad Est i p.o.sarebbero stati automatici.
    *
    Minnesota invece mi sembra soffrire di mancanza di leadership, di guida tecnica che sappia far fruttare il talento che hanno. I loro giocatori chiave non sembrano in grado di fare il salto di qualità necessario, comunque giocatori e talento ne hanno molto anche loro.

    • Con quel nickname non posso che essere d’accordo con te su tutto… :-)
      Spero che tu abbia ragione sui playoff, che per Nowitzki (e per noi) sarebbero un bellissimo ultimo regalo. Sulla balbuzie di fronte a Dirk posso dirti che mi sono sentito più o meno come Fantozzi di fronte alla signorina Silvani: mani due spugne, salivazione azzerata, manie di persecuzione, miraggi. :-)))))

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