Come il prode Andrea Cassini vi ha raccontato nella scorsa puntata, sembra che anche l’ultimo degli sfigati (più o meno) possa tirar fuori dal cilindro prestazioni da 40+ punti come fosse un gioco da ragazzi. Quindi questa settimana eviterò di concentrarmi sulle strepitose performance realizzative dei migliori giocatori del pianeta per parlare di quel sottobosco NBA in grado di regalare funghi prelibati a coloro che riescono a scostare con delicatezza le foglie cadute dagli alberi.

Prima di perdermi tra altre orride metafore preferirei però proseguire con i fatti perchè altrimenti qui finisce male… Partenza!

 

LUNEDÌ 05 NOVEMBRE – CAVALIERSEPPUKU

Come promesso eviterò di soffermarmi sulla sfida all’O.K. Corral tra Jamal “Burt Lancaster” Murray (48 punti) e Kyle “Kirk Douglas” Irving (31), disputata a suon di canestri impossibili e terminata con la vittoria dei Nuggets. Parimenti farò appena un cenno ai 41 di Zach LaVine, che in questo inizio di stagione pare la reincarnazione di George Gervin, per passare subito al vero highlight della serata: il suicidio rituale operato dai Cleveland Cavaliers contro gli Orlando Magic, quando assisi su un comodo +5 a trenta secondi dal termine sono stati in grado di prendere un parziale di 7-0 e perdere la partita. Nel dettaglio:

  • canestro del -3 subito su un mismatch da Aaron Gordon senza che venisse nemmeno accennato un aiuto difensivo
  • palla persa in un quattro contro due da Cedi Osman in un futile tentativo di passaggio
  • fallo di Clarkson su avversario a terra, con conseguente 2 su 2 dalla lunetta, tanto per aiutarli a fermare il cronometro
  • palla persa da Korver, infilatosi nel peggior punto del campo possibile per ricevere il pallone sulla rimessa
  • fallo su Fournier, che fa 1 su 2 e porta il punteggio sulla parità lasciando il pallone in mano dei Cavs
  • stoppata di Vucevic su una velleitaria penetrazione di George Hill e conseguente recupero dei Magic (sul mio personalissimo cartellino fanno tre palle perse in meno di 20 secondi…)
  • rimessa Orlando a 1.8 secondi dal termine e tripla sulla sirena di Evan Fournier. Game, set, match.

La squadra che solo cinque mesi fa lottava contro i Warriors (non con particolare successo per la verità) per il titolo, quest’anno (tragico record 1-11 nel momento di chiudere il pezzo) assomiglia più ad un carrozzone del Circo Togni che ad una franchigia NBA. La settimana scorsa un’indiscrezione del sito Bleacher Report ha raccontato come la maggior parte dei veterani dei Cavs ritengano che il rookie Collin Sexton “doesn’t know how to play, ossia in pratica “non capisca una mazza di questo gioco“. Ora, dato che dei sopracitati veterani fanno parte uno che si dimentica di controllare il punteggio, uno che crede che i dinosauri fossero degli animali da compagnia e il fidanzato di una Kardashian, tale stroncatura potrebbe quasi rappresentare un complimento (anche se Sexton sta effettivamente faticando parecchio), ma diciamo non sembra esattamente il segnale di uno spogliatoio pronto per fare un salto di qualità nel prossimo futuro.

Si sono viste squadre di CSI (molto) meglio organizzate dei Cavs in questo finale di partita

 

MARTEDÌ 06 NOVEMBRE – WORK (STILL) IN PROGRESS

Mentre nella notte gli occhi degli appassionati di basket erano conquistati dalla mostruosa schiacciata di Miles Bridges e dal duo delle meraviglie di Duke, Zion Williamson (che a quanto pare piaciucchia pure a Steve Kerr) e R.J. Barrett, che in NCAA prendeva letteralmente a schiaffi la Kentucky di Coach Calipari, forse qualcuno si è perso questa gemma di Dwight Howard, recentemente rientrato in campo con la maglia dei Wizards per contribuire a modo suo allo distruzione di un’altra squadra NBA.

Howard durante l’estate aveva dichiarato di aver lavorato moltissimo sul suo jump shot e di essere pronto ad espandere il proprio gioco oltre i confini della zona pitturata. Ad occhio sembra che ci sia ancora da smussare qualche angolo, tipo quello del tabellone della American Airlines Center di Dallas che Howard a centrato con un colpo di mortaio, scagliato in quello che avrebbe dovuto essere un bank-shot dal post medio di duncaniana ispirazione e invece, come potete vedere dal video qui sotto, si è rivelato un’altra cosa. Ossia una mer*a, che però non sfigura nell’attuale situazione dei Wizards, partiti per essere una squadra tra le prime quattro della Eastern Conference e al momento protagonisti di un record che fa venire in mente ben altro. Avete bisogno che vi dica cosa?

Caro Dwight, ad occhio è meglio se sul tuo jump shot ci lavori ancora un pochino

 

MERCOLEDÌ 07 NOVEMBRE – THE NIGHT OF THE DUNKS

La notte tra mercoledì e giovedì ha regalato agli appassionati di YouTube una Top 10 ricca di giocate sopra il ferro. Nikola Vucevic, Miles Plumlee, Lonzo Ball, Donovan Mitchell (x2), Terrance Ferguson, Domantas Sabonis e LeBron James, hanno tutti messo la loro personale bandierina nella mappa delle migliori giocate della serata.

Ma il dunker Aaron Gordon ha deciso di aggiungere un’ulteriore dose di steroidi alla sua giocata, esibendosi in una posa plastica con mano dietro alla testa prima di inchiodare il pallone con inaudita viuuuulenza (cit.) nel canestro dei Pistons. Gordon alla fine è uscito sconfitto dalla partita contro Detroit tanto quanto dalla sfida cinematografica con Uncle Drew e gli altri vecchietti del Rucker ma voglio comunque premiarlo per la fantasia (e l’altezza vertiginosa) della sua giocata sopra il ferro.

“Say cheeeeese… ok!”

 

GIOVEDÌ 08 NOVEMBRE – FEAR THE DEERS

Lo scontro con i Golden State Warriors rappresentava sicuramente per i Bucks il banco di prova più importante del loro eccellente inizio di stagione. Prova decisamente superata perchè i cerbiatti sono usciti vittoriosi dal parquet di Golden State, spazzata via dalla debordante fisicità di Antetokounmpo e dai 134 punti che i nuovi Milwakee Bucks di coach Bodenholzer hanno rovesciato sulla testa dei campioni in carica. Warriors che possono avanzare l’alibi dell’assenza di Draymond Green, fuori per un fastidio alla caviglia, e del problema occorso a Steph Curry durante la gara (stiramento all’inguine, salterà probabilmente tre/quattro partite), ma certamente non hanno espresso il loro basket contro degli avversari sempre più da tenere sott’occhio in chiave postseason.

Come vi ho illustrato due settimane fa, i Milwakee Bucks sono infatti, assieme ai Toronto Raptors, una delle squadre più interessanti di questa prima parte di campionato. Nove vinte e tre perse per la franchigia del Wisconsin, che fa del tiro da tre punti (secondi della Lega per tentativi e noni per efficienza) la sua arma più eclatante ma della difesa (terzi per DefRtg, secondi per punti concessi in transizione e primi per punti concessi in area) la vera ragione di successo. Certo, avere a roster un carroarmato lungo come la quaresima e dotato di braccia bioniche può certamente aiutare… chiedere per referenze alla faccia di Draymond Green al minuto 0:45 del video qui sotto.

Abitanti del pianeta Giannis: uno, lui.

 

VENERDÌ 09 NOVEMBRE – GET THE PARTY STARTED

Lo so, venerdì notte c’è stato il canestro allo scadere di un sempre più sorprendente Caris LeVert a chiudere la gara dei Brooklyn Nets sul parquet del Pepsi Center di Denver e, soprattutto, i 42 punti e 18 rimbalzi di un mostruoso Joel Embiid a spezzare la resistenza dei Charlotte Hornets e di un mai domo Kemba Walker (30+7+9). Ma siccome Embiid mi sta simpatico come un esattore di Equitalia e, come detto, questo spazio non è riservato soltanto alle grandi prestazioni cestistiche, passerei oltre velocemente.

Anche perchè, quando la mia bacheca di Facebook si apre al mattino con Majin Bu in canotta dei Jazz che balla alle spalle di un ignaro Jayson Tatum, non posso certo far finta di niente. Bravo Zuckerberg, finchè spiare il mio pc serve a farmi vedere queste cose continua pure…

Amo. Questo. Uomo.

 

SABATO 10 NOVEMBRE – JIMMY EAT SIXERS

Finalmente la telenovela con protagonista Jimmy Butler è terminata. I Minnesota Timberwolves hanno spedito lui e l’ex prima scelta 2017 Justin Patton (in pratica mai apparso in campo per multipli interventi ai piedi subiti dal suo ingresso in NBA) ai Philadelphia 76ers in cambio di Robert Covington, Dario Saric, Jarryd Bayless e una scelta del secondo turno al Draft 2022, ponendo fine ad una situazione che stava diventando sempre più surreale. Ora sorge spontanea la più classica delle domande: chi ha guadagnato da questa trade?

Ad una prima occhiata sembra un po’ tutti. Di certo ci ha guadagnato Butler, che ha ottenuto la trade che voleva ed è finito in una delle franchigie più attrezzate per puntare al titolo da qui al prossimo lustro. A Philadelphia comporrà con Simmons ed Embiid un trio decisamente interessante che fa alzare ulteriormente le quotazioni dei Sixers per quest’anno, ma ancora di più nel medio periodo. La partenza di Covington e Saric priva la franchigia della Pennsylvania di due ottimi tiratori da tre punti (il croato quest’anno è al 30% ma nella scorsa stagione sfiorava il 40%) ma l’arrivo di Jimmy Buckets li fornisce di un altro creatore dal palleggio con doti di clutchness non indifferenti e difensivamente in grado di prendersi cura delle guardie/ali avversarie più pericolose.

Ma anche per i Timberwolves la trade è da considerare un successo, perchè si sa quanto sia difficile ricevere una contropartita adeguata quando una delle tue star chiede apertamente una cessione (citofonare per referenze a casa dei Cavs e chiedere della trade con i Celtics per Kyrie Irving). Saric e Covington sono due validi giocatori, con il primo che a Minneapolis avrà qualche pallone in più a disposizione e potrebbe restituire un rendimento sorprendente, ma soprattutto l’addio di Butler toglie a Karl Anthony Towns quella pressione emotiva che ne stava causando una preoccupante involuzione tecnica, restituendo (speriamo, perchè l’ho appena comprato al fantabasket) a Minnesota il suo franchise player. 

Tutti felici quindi? Vedremo. Eliminato il problema Butler ora coach Tibodeau dovrà dimostrare di essere in grado di riprendere le redini di questo gruppo in tempo per rimettere i TWolves sulla strada dei playoff, altrimenti il prossimo nome a ricevere un biglietto di non ritorno potrebbe essere il suo. Ma perlomeno da domani smetteremo finalmente di assistere a scene sinceramente patetiche tipo questa.

Il trio è potenzialmente devastante ma la chimica sarà tutta da trovare

 

DOMENICA 11 NOVEMBRE – GOODBYE MELO?

Per chiudere la settimana, i super-giornalisti Marc Stein (NY Times) e Adrian Wojnarowski (ESPN) hanno sganciato una discreta bombetta: secondo alcune insistenti voci di corridoio provenienti dall’enturage degli Houston Rockets, l’avventura di Carmelo Anthony nella squadra texana potrebbe essere già in vista della linea del traguardo. Pare infatti che la dirigenza abbia già preso contatti con il giocatore per comunicargli la volontà di discutere un buyout che metterebbe la parola fine alla collaborazione dopo solo dieci partite di stagione regolare. Carmelo, assente nella partita di sabato notte contro gli Atlanta Hawks per una non meglio precisata influenza, era arrivato per fornire ulteriore varietà all’attacco dei Rockets, ben consci del fatto che l’ala ex Nuggets-Knick-Thunder non fosse mai stato un mastino difensivo ma che potesse aggiungere ulteriore potenza di fuoco agli schemi offensivi di coach Mike D’Antoni. I risultati non sono stati però quelli auspicati, non soltanto dal punto di vista statistico (al momento Melo realizza solo 13.4 punti con il 40% dal campo e il 32% da tre in poco meno di 30 minuti di utilizzo) quanto dal punto di vista della chimica di squadra.

Carmelo non è mai stato un giocatore “di flusso” ma all’interno del sistema dei Rockets è apparso quasi sempre un corpo estraneo, totalmente avulso dai compagni (come dimostrano la miseria di 0.5 assist a sera) e disconnesso dallo staff tecnico. Che però si fosse già arrivati a questo punto mi ha colto sinceramente di sorpresa, probabilmente Anthony è entrato in rotta di collisione con una delle due star (dovessi scommettere un euro punterei su Chris Paul, carattere molto duro e di certo non facilissimo) e la brutta partenza dei Rockets sta forzando la mano della dirigenza alla ricerca di una soluzione che riporti la squadra agli equilibri della passata stagione. Di certo è triste assistere ad un declino tanto repentino per un giocatore che, in fin dei conti, è stato per buona parte della carriera uno dei primissimi realizzatori a livello di talento dell’intera Lega e che adesso invece sembra far persino fatica a trovare una squadra.

A meno che non arrivi una telefonata da amico che dovrebbe avere un certo peso ai Los Angeles Lakers

Rivedremo ancora Carmelo con questa maglia?

 

Anche per questo episodio è tutto gente, ci si rilegge su queste pagine tra sette giorni! Jorghes out.

2 thoughts on “7for7 La settimana in NBA (Ep. 2×04)

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