Io e Francesco Tonti abbiamo voluto svuotarci il cuore, la mente e l’anima buttando giù un’anatomia di quello che è stato, quello che è e quello che sarà per la nostra tanto amata coniugio nero-argento. E buone vacanze!

Francesco

Scott Fitzgerald asseriva che la vita colpisce di rado ma logora sempre.

Dopo decadi di serena navigazione a dispetto delle agitate acque NBA, la flotta degli Spurs si è confrontata con una tempesta perfetta che ha rischiato di compromettere l’alone vincente della franchigia (inesorabilmente appannato) e il patrimonio tecnico. Riavvolgiamo il nastro alla serie con i Memphis Grizzlies dei playoff 2017; Tim Duncan si è ritirato solo l’anno prima e Il gruppo allenato da David Fizdale vende cara la pelle nonostante i numerosi acciacchi. A spiccare in positivo oltre a Leonard è la ritrovata vena di Tony Parker.

Il francesino nei momenti chiave si carica la squadra sulle spalle con un autorevolezza degna dei tempi migliori. Nelle serie successive i texani incassano il pesante infortunio dei due trascinatori: il transalpino si ferma con i Rockets, mentre la scorrettezza di Zaza Pachulia finisce per aggravare un malanno muscolare di Kawhi in una drammatica Gara-1 contro gli Warriors. Tanto per cambiare il testimone passa nuovamente nelle capaci mani di Manu Ginobili, il sempiterno uomo della provvidenza. Per i simpatizzanti della franchigia si chiude un ciclo vero e proprio ma nessuno è ancora in grado di rendersene conto.

Seguite le vacanze di Manu su twitter, una cosa meravigliosa. 

Ai nastri di partenza dell’annata successiva i nero argento sono ancora alle prese con i due infortuni eccellenti e per la prima volta privi di una fisionomia definita, le polemiche estive con LaMarcus Aldridge infatti hanno contribuito a creare un clima di concreta incertezza. Difficile trovare il bandolo della matassa con la stagione 2017/2018 di San Antonio: un avvio faticoso frutto di una rotazione indecifrabile (a Novembre la partenza 4-4 ha scioccato e non poco la stampa amica), ha fatto seguito ad un grande rimonta e si è sublimato con il terzo spot ad ovest per buona parte della regular. Quello che è successo dopo era prevedibile: un crollo vero e proprio iniziato tra la fine di febbraio e marzo che ha fatto vacillare la qualificazione ai playoff. Nel giorno di San Valentino questa era la situazione ad Ovest:

 

1 ROCKETS 44-13 |

2 WARRIORS 44-14 |

3 SPURS 35-24 | – (con 3 sconfitte consecutive)

4 TIMBERWOLVES 35-25 |

5 THUNDER 33-26 |

6 BLAZERS 32-26 |

 

Kawhi era già comparso come una stella cometa (9 gare) e subito costretto ad eclissarsi.

Solo un mese dopo i libri di statistica registravano 14 sconfitte su 21 incontri e la notifica del primo record perdente in trasferta dall’anno domini 1999. A tenere a galla la stagione dalla mediocrità agonistica solo l’eccellente rendimento interno (23-8 nel momento clou dell’annata) e la consueta rigorosa esecuzione di una pallacanestro molto distante dalle tendenze in giro per la lega e continuamente rivista nei suoi cardini.

Fiore all’occhiello come al solito il rendimento della panchina (costantemente in grado di segnare più dei pari ruolo avversari) con il mix di Manu Ginobili, Rudy Gay, Davis Bertans e Patty Mills. Fatta eccezione per l’ammirevole argentino, nessuno ha rubato l’occhio degli appassionati ma la solidità non è mai venuta meno.

Raggiungere i playoff senza il giocatore di riferimento è sempre complesso, se poi leader in questione è considerato uno dei 5 migliori giocatori della lega allora è legittimo parlare di impresa. Un effort quasi completamente ignorato dai mass media a causa degli strali della vicenda di Kawhi. Altrove molto probabilmente l’evento avrebbe raccolto almeno un paio di speciali e qualche giorno di pura celebrazione.

La maggior parte dei giocatori di supporto ha fatto i conti con uno “spacing” nettamente peggiorato e con le stringente necessità di scendere a patti con una fase offensiva completamente rivoluzionata e molto meno “democratica” del solito.

Senatori come Patty Mills hanno più volte modificato la confortevole routine (l’australiano ha rivisto in continuazione ruolo e responsabilità a favore di Parker e Murray), tutto per esaltare ogni grammo di potenziale dal gruppo. Lo sviluppo di un tiratore come Bertans è stato rallentato in qualche modo dal gioco speculativo e vagamente forzato della second unit, molto impegnata a produrre dividendi e poco attenta alla formazione.

Un sacrificio comune a quasi tutti i giocatori di contorno, pronti a leggere la stessa pagina del libro dello storico allenatore. A recitare la parte del leone è stato un sorprendente LaMarcus Aldridge che privo di credibili opzioni alternative in attacco ha ritrovato lo smalto dei tempi migliori e trascinato di peso i compagni nella maggior parte delle gare.

Gli isolamenti, il maggiore utilizzo in vernice, i minuti produttivi come centro di un quintetto piccolo e l’efficacia del proverbiale mid range. Elementi di spicco di una stagione mostruosa che è probabilmente la migliore della carriera, un anno di grazia anche dal punto di vista fisico prontamente e selvaggiamente cavalcato da Popovich. Alla fine dei conti, un protagonista che ad ottobre era considerato nella parte finale della top 50 NBA grazie ai fasti di Portland è stato l’impeccabile “go-to guy” che ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e reso come uno dei migliori 20 protagonisti della lega.

Con un talento medio modesto e con il miglior prospetto degli esterni (Dejounte Murray) ancora in bacino di carenaggio a livello di costruzione di gioco si è rivelato fondamentale anche l’apporto di Gasol. Il catalano è ben presto diventato il playmaker più affidabile del lotto e un rimbalzista ancora in grado di spostare qualche equilibrio. I suoi evidenti problemi difensivi sono stati enfatizzati dalla mancanza di un protettore del ferro (carenza colmata da Jakob Poeltl) e in minima parte ridimensionati dalla buona attitudine del roster. Riassumendo: Privi di un numero cinque di peso e del miglior giocatore, trascinati senza pietà in mesi di aspre polemiche e costretti a investire sul pluri-infortunato Rudy Gay,i texani hanno comunque reso in proporzione più di qualunque altra protagonista ad Ovest.

I problemi tra Leonard e la dirigenza hanno in ogni caso contribuito ad intensificare la crisi primaverile della squadra, la serie di incontri riservati ai soli giocatori per stabilire le responsabilità di Kawhi nei confronti dello spogliatoio hanno lasciato diversi strascichi.

Lo sfogo di Parker (partito per Charlotte)  ha scosso dalle fondamenta il sistema di rapporti interno ed ha inaugurato ufficialmente il reality sulla vita dello strano entourage del giocatore con lo zio/agente a fare la parte del mattatore assoluto. Il simbolo dell’organizzazione si è dimostrato poco propenso a rientrare per aiutare la corsa alla post season e si è convinto a completare la riabilitazione lontano dalla città.

Una spaccatura che con il passare dei mesi è diventata insanabile ed ha poi condotto alla clamoroso scambio con DeMar Derozan. Il californiano è a tutti gli effetti uno degli esterni più talentuosi passati nelle fila degli speroni dai tempi di George Gervin.

Un paragone nemmeno troppo “vintage” se consideriamo la classica allergia al perimetro che il giocatore ha evidenziato nei suoi anni migliori ai Toronto Raptors. Un “ventellista” di livello sopraffino che fa del midrange e del primo passo esplosivo le sue armi migliori ma anche un difensore sotto la media e un tiratore dalla grande distanza complessivamente poco affidabile.

Le alterne fortune nei playoff non hanno certamente migliorato la sua immagine, in buona sostanza i suoi pregi e suoi difetti ricalcano in modo sospetto buona parte del profilo di LaMarcus Aldridge. Una strana coppia chiamata a rinverdire il mito dello sperone e del proverbiale processo di maturazione interno.

Gli Spurs hanno a roster due califfi del gioco dalla media mentre il pianeta della palla a spicchi è inesorabilmente attratto dalla vernice o dal perimetro. Hanno spesso in campo due lunghi puri con attitudini importanti lontano dal ferro.

Se c’è una ulteriore possibilità di rinverdire il concetto che che all’ombra dell’Alamo sono inevitabilmente attratti dalle piste meno battute (il che ha contribuito persino alla ridefinizione del gioco in voga oggi) lucrando importanti vantaggi, questa è una delle occasioni migliori. La maggior parte del volume di gioco da oltre l’arco “rischia” di beneficiare di metri e metri di prezioso spazio che specialisti come Belinelli e Bertans potrebbero sfruttare adeguatamente.

Una nuova sfida, un contesto ideale per solleticare le corde dell’acume cestistico dello staff di casa. Lo spot che sembra meno coperto degli altri è quello in ala piccola: il giocatore di riferimento dovrebbe essere Gay ma dopo la partenza di Anderson per i Grizzlies è dura individuare una gerarchia definita per quanto riguarda i minuti ad uso e consumo della panchina.

Molto probabilmente lo staff degli assistenti guidato da Ettore Messina sarà coinvolto in un minuzioso lavoro di analisi per stabilire gara dopo gara gli incastri migliori per concedere del ristoro a Rudy.

Gli Spurs il prossimo anno possono contare su due componenti del secondo quintetto assoluto della NBA 2018 (accompagnati da Embid, Westbrook e Antetokounmpo), discreti role player e un centro giovane con buoni istinti da plasmare nel migliore dei modi.

Uno scenario interessante che li pone tra le squadre più indecifrabili della seconda fascia ad ovest dietro Warriors e Rockets. Un panorama intrigante che anche nella migliore delle ipotesi è molto distante dai voli pindarici che avrebbero accompagnato Leonard dopo due stagioni da super star assoluta.

Una situazione quasi paradisiaca in ogni caso, considerando la clamorosa querelle con il giocatore che si è trascinata per mesi interminabili. E’ logico attendersi dei passi in avanti da parte dei giocatori più giovani e progressi in termini di resa difensiva di squadra visto che la cessione di Green ha lasciato orfano il gruppo del migliore specialista in materia.

Siamo di fronte a uno storico punto di svolta? Per la prima volta dalla fine degli anni novanta la squadra non è in grado di schierare storici hall of famer o prospetti di primissima classe, fatta eccezione per l’ammirevole Manu Ginobili che in ogni caso non ha ancora ufficialmente dichiarato le sue intenzioni.

Ha un talento medio interessante grazie alla combo Derozan-Aldridge ma si trova di fronte ad un importante rompicapo tattico per facilitare e far rendere al meglio la coppia di riferimento che tende a sovrapporsi tecnicamente e non a completarsi.

L’agguerrita e rinvigorita concorrenza ad ovest non lascia del tutto tranquilli i texani che dovranno i fare i conti con la fame di riscatto dei Lakers e la voglia di emergere di movimenti giovani come quelli dei Nuggets, dei Mavs, dei Jazz, dei Pelicans e dei “classici” Blazers. Persino dai Suns e dai Kings arriva qualche segnale di ripresa.

La strutturazione attuale è poi in grado di garantire una stabilità a buoni livelli per diversi anni?

È una domanda difficile ma è anche vero che all’ombra delle varie superstar che si sono alternate, i texani hanno praticamente ricostruito o sviluppato interi comparti di gioco rinnovandosi costantemente. Una rivoluzione atipica che ha comunque garantito uno dei migliori programmi di sviluppo interno.

Gli Spurs sono probabilmente destinati a rimanere nella borghesia del gioco per l’intero ciclo di Popovich (che forse scollinerà il 2020) ma la sfida consiste nel gettare le basi per un futuro convincente a medio/lungo termine anche con del materiale umano molto più ’convenzionale rispetto all’era Tim Duncan.

Niccolò

“We wish him well, but at this time, it’s time to move on.”

Quando nell’estate del 2016 Tim Duncan si è ritirato, la sabbia nella clessidra dei San Antonio Spurs ha iniziato a scorrere al contrario.

È finita un’epoca. È finita la magia. Tim Duncan è il giocatore più forte della storia della franchigia, anzi: Tim Duncan è i San Antonio Spurs. Sicuramente il suo ritiro rappresenta una fine. Ma non la fine. Federico Fellini sosteneva che l’unico vero realista è il visionario, e se hai costruito praticamente dal niente una delle organizzazioni più efficienti, competenti, d’avanguardia e vincenti della storia dello sport professionistico americano vuole dire che di immaginazione ne devi aver avuta molta. Con le idee chiare, molto chiare.

Gli Spurs erano tutt’altro che impreparati al ritiro del caraibico. Diciannove stagioni insegnano tanto, se si sa analizzarle al suo interno. Ovviamente la transizione doveva essere guidata da Kawhi Leonard, l’erede al trono.

Ancora più ovviamente nella prima stagione post-Duncan sono arrivate 61 vittorie in regular season e la finale di conference. Era tutto lineare, tutto calcolato. Tutto ammantato da una sorta di misticità intoccabile che rendeva San Antonio una franchigia speciale.

Non è stato così. I perché e i per come, adesso, se li porta via il vento, come le chiacchiere.

È tempo di andare avanti, come ha detto più volte Popovich ai media dopo la trade. Kawhi non c’è più, quella concezione degli Spurs, di fatto, non c’è più e forse per la prima volta in più di vent’anni la franchigia texana appare per quella che è: uno small-town market che deve lottare per la propria sopravvivenza al tavolo delle vere Contender. La mistica che conoscevamo (ammesso fosse mai esistita) è svanita, col senno di poi, ma questo permette e permetterà negli anni di pensare al domani. Perché adesso sì che è davvero finita un’epoca. Nel bene o nel male.

E quindi diamoci dentro. Per vari motivi quella intrapresa dagli Spurs è una ricostruzione a metà. Definiamola all’asterisco: un po’ perché fa sempre piacere ripensare ai bei tempi che furono (ciao Phil!), un po’ perché come molti hanno scritto un bell’asterisco è da ascrivere alle decisioni del front office.

La trade-Leonard per esempio. Un bell’asterisco, gli Spurs ci escono perdenti. E ci mancherebbe: sfido io a trovare una squadra che abbia ceduto (dovuto cedere?) uno dei primi (se sano) tre giocatori della lega riuscendo anche a vincere lo scambio. Pazienza. Più interessante invece vedere le cose che questa trade ci dice. Innanzitutto che gli Spurs sono ben contenti di portarsi a casa un All-Star in cambio. Un All-Star con l’asterisco!

Come suggerisce (giustamente) anche Zach Lowe, una volta perso Leonard, gli Spurs avrebbero dovuto abbracciare la modalità rebuiliding in pieno. Ed è vero. Ma è anche vero che Popovich ha quasi 70 anni, e che di dover spendere le ultime stagioni della sua gestione in panchina tra i bassifondi dalla Western Conference non era uno scenario percorribile.

Poco male. DeMar DeRozan dovrebbe garantire quantomeno una rilevanza sufficiente per potersela giocare in regular season, rendendo stimolanti le prossime due stagioni, qualificazione ai playoff o meno. Poeltl invece va a sommarsi ai giovani su cui lavorare: Murray, White, Forbes, Bertans e il nuovo arrivato Lonnie Walker.

I ritorni di Gay e Belinelli (e forse anche di Manu) garantiranno quel giusto mix in grado di stimolare Pop, permettendogli di schierare formazioni competitive e al tempo stesso modellare la giovane argilla a disposizione. Si poteva ottenere di più?

Difficile da dire, soprattutto per quelle che sono state le offerte concrete. Quello che si può assumere senza timore di smentita è che la costruzione del roster di quest’estate rispecchia perfettamente la linea temporale del fine carriera di Gregg Popovich allenatore.

Con l’impegno con Team USA per le Olimpiadi 2020 è facile pensare che il patriarca nero-argento voglia continuare almeno per altre due stagioni, per poi lasciare il timone alla vera ricostruzione della franchigia.

L’ossatura del roster quindi sarà questa, e nel “nuovo” piano visionario-realistico ci sarebbe l’intenzione di lasciare delle fondamenta solide, possibilità economiche, magari qualche gemma già matura e una squadra sempre competitiva, e soprattutto sempre ai playoff dal 1999.

La scelta presa da Toronto è poca roba ad essere sinceri, ma arricchisce un pacchetto di pick già buono vista la grande fiducia che gli Spurs da sempre riversano nel Draft. In più nell’estate del 2020 lo spazio salariale ammonterà a più di 50 milioni. Una ricostruzione all’asterisco, ma realista.  

Adesso arriva la parte più difficile. Come restare competitivi? Il roster attuale non è di prima fascia per quanto riguarda il talento puro ma è comunque molto più solido di quanti hanno scritto o detto. LaMarcus Aldridge e DeRozan sono comunque due All-Star*. Sebbene le loro shot chart siano molto simili entrambi hanno nelle corde il tiro più ricercato dall’attacco degli Spurs, quello dal mid-range. Il rischio di trasformarsi nella squadra meno cool e/o sexy della NBA è probabile, ma se Popovich dovesse trovare la giusta alchimia si tratta sempre di due giocatori da ben oltre i 20 punti di media a stagione, cosa che dovrebbe garantire un numero sufficiente di vittorie.

L’arrivo di DeRozan soprattutto apre scenari che potrebbero rivelarsi interessanti. È vero, i difetti sono molti: difensore meno di mediocre, attaccante spesso mono-tematico, pessimo tiratore perimetrale. Con quel 0/9 contro i Cavs nei playoff della passata stagione come pietra miliare del suo fallimento del basket moderno. Ma sono anche vere altre cose.

La prima è che un creatore dal palleggio della qualità di DeRozan gli Spurs non ce l’avevano a roster (non considerando Kawhi nell’ultimo anno). Nella sua ultima stagione ai Raptors ha fatto registrare il career-high per assist a partita (5.2), figli di una migliore distribuzione su cento possessi (18.2 contro i 14.6 della stagione 2015-16) e soprattutto di una maggiore capacità di sfruttare l’esplosività del suo primo passo per muovere la difese e trovare i compagni liberi.

La sua capacità di creare dal palleggio sarà fondamentale per l’attacco, spesso inconcludente nella passata stagione. Per non parlare della sua capacità di subire falli e andare in lunetta. Lo scorso anno il migliore era stato Aldridge, con 5.3 tiri liberi tentati a partita; DeRozan viaggia da più stagioni tra i sette e gli otto tentavi dalla linea della carità a sera, convertendoli con oltre l’80%.

Inoltre l’abilità di Popovich di mettere i suoi giocatori nelle migliori situazioni per rendersi pericolosi farà il resto. La sua insicurezza da oltre l’arco potrebbe essere un problema per una squadra che già un anno fa aveva nel tiro da tre un suo tallone d’Achille.

Gli Spurs hanno chiuso la stagione al ventiseiesimo posto in questa particolare classifica (35.2%), ma i 3.6 tentativi a sera (quasi il doppio rispetto ad un anno prima) manifestano l’apertura mentale da parte di DeRozan di continuare a lavorare su questo fondamentale — e con Chip Engelland a disposizione magari qualcosa potrebbe anche cambiare davvero. Ovviamente non sarà mai un tiratore perimetrale affidabile, ma R.C Buford e Popovich sperano che il ritorno di Belinelli, sommati a Mills, Forbes, Bertans e White possa bastare per mantenere un’accettabile pericolosità perimetrale.

Sostituire Green con DeRozan nello scacchiere iniziale dovrebbe garantire maggiore solidità offensiva, ma al tempo stesso indebolire l’ossatura difensiva. Niente che un mago della specialità come Popovich non possa aggiustare, nel tempo, ma almeno inizialmente è facile immaginare che gli avversari lo punteranno con insistenza. Soprattutto in una conference dove praticamente ogni notte ti ritrovi accoppiato con giocatori che rappresentano l’eccellenza nel ruolo.

Gli Spurs potrebbero provare a gettarlo in mare senza salvagente, cosa che aveva ipotizzato anche il coaching staff dei Raptors per questa stagione. Le sue dimensioni fisiche potrebbero renderlo un difensore discreto, ma a 29 anni per certe cose i margini di miglioramento non sempre sono ampi.

Un’altra cosa interessante sarà vedere se Popovich avrà imparato dai suoi errori con Aldridge, col quale sono serviti due anni per capire come utilizzarlo nel migliore dei modi. Pop si è detto entusiasta di poter allenare DeRozan (una persona che rispetta molto anche al di fuori del campo, un aspetto tutt’altro che marginale per l’organizzazione) e nel suo talento offensivo risiedono molte delle speranze per il futuro prossimo della franchigia.

L’arrivo di Jacob Poeltl invece permette di guardare sia all’oggi che al domani. Nelle prime due stagioni in Canada ha dimostrato di essere un giocatore intelligente e capace di apprendere in fretta. Il suo QI cestistico deve aver fatto gola al front-office, da sempre attratto dai centri bianchi non-americani capaci di comprendere il gioco ad alto livello. I suoi numeri nella second unit dei Raptors dello scorso anno sono impressionanti, ma bisognerà vedere quanto inflazionati dai compagni.

Anche per quanto riguarda la protezione del ferro i numeri sono eccellenti, grazie all’uso sapiente che fa del suo corpo, anche se per diventare un rim-protector d’élite ci vorrà tempo e lavoro.

Poeltl come detto va a sommarsi agli altri giovani da tenere d’occhio. Dopo aver visto Murray conquistarsi i gradi di point-guard titolare nella scorsa stagione è chiaro che gli occhi sono puntati su di lui adesso. Il suo gioco è molto atipico, così come le sue dimensioni fisiche, cosa che gli ha permesso di centrare il secondo quintetto difensivo NBA già nella sua seconda stagione.

Gli Spurs non hanno mai avuto una point-guard così forte fisicamente, dettagli che risalta soprattutto nella sua capacità nell’andare a rimbalzo, e questo potrebbe rappresentare un altro elemento di novità in vista della nuova stagione.

Popovich vorrà mettergli la palla in mano il più possibile, visti soprattutto i suoi problemi a giocare off-the-ball e la mancanza di un tiro affidabile al di fuori dei 5 metri, e la possibilità di spingere la transizione già da rimbalzo difensivo catturato potrebbe sveltire le operazioni, portando gli Spurs ad alzare il ritmo di tanto in tanto per rubare qualche canestro in contropiede.

Le sue dimensioni fisiche lo rendono un difensore eccellente, nonostante sia ancora leggerino fisicamente, permettendogli sia di lavorare sulle linee di passaggio che di francobollarsi a giocatori più lunghi di lui.

Queste qualità però potrebbero venire utilizzante anche nella metà campo offensiva, dove si aspettano i maggiori miglioramenti. Seguire la sua evoluzione sarà una delle cose più interessanti da osservare, non solo della stagione Spurs ma della NBA 2018-19 in generale. E — ma questa è un’opinione molto personale — continuo a vederci tratti di un Russell Westbrook leggermente atipico nella sua curva di sviluppo. Visionario.

Altri due nomi prima di chiudere. L’aver preso Lonnie Walker con la scelta numero 18 potrebbe essere una fortuna per San Antonio, assicurandosi una guardia tosta su entrambe le metà campo con tanto talento grezzo da poter affinare e sfumare nel corso dei prossimi due anni.

Una sana dose di Austin (Toros) Spurs in questa stagione non gliela leverà nessuno, ma è possibile ritrovarselo in campo al piano di sopra, nonostante la grande quantità di guardie a roster. Un back-court Murray-Walker, almeno in teoria, si completa benissimo difensivamente e garantisce fisicità e modernità nel ruolo. Dopo vent’anni, il futuro sta iniziando anche qua (e ne approfitto per salutare Tony Parker! Buona fortuna!).

L’altro nome è quello di Derrick White, che nelle tre partite di Summer League giocate nello Utah ha impressionando (e son considerazioni sempre da prendere con le molle) per capacità di controllare mentalmente e tecnicamente il contesto attorno a lui.

La sua pulizia tecnica è stata una doccia rigenerante in questo luglio, così come la compattezza del suo jumper. Se avesse 5 centimetri e 5 chili in più sarebbe uno dei prospetti più interessanti nel ruolo di shooting-guard della NBA di domani. Ma non si può avere tutto. La sua intelligenza cestistica gli permetterà di guadagnarsi minuti sul campo, così come la sua pericolosità e precisione perimetrale.

Lui, Forbes e Bertans (la cui conferma dimostra quanto di buono fatto vedere nella passata stagione, e il cui minutaggio spero cresca ulteriormente; forse la miglior power-forward a roster quest’anno) dovranno fungere da contraltare alle carenze di Aldridge e DeRozan.

Bilanciare la solidità dell’oggi con la spavalderia del domani; garantire quella traccia di continuità che permetterà agli Spurs di rigenerarsi per l’ennesima volta. Per la prima volta da due decenni la Spurs Culture ha subito uno scossone: non c’è occasione migliore per rinnovare e rinvigorire la fede nel futuro del monolite nero-argento. E W Tim Duncan!!

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