Non è assolutamente un esercizio di facile riuscita l’appropriarsi di un minimo spazio in un’estate dove il monopolio assoluto è costituito dalla Decision 3.0, la situazione offre un compensibile livello di magnitudine d’eccezione, e tutto sembra chiaramente passare in secondo piano.

Siamo nell’era dei superteam (oggi ancor più di ieri, vero DeMarcus?) per cui la franca realtà parla delle solite due o tre squadre già inseribili nella prossima edizione delle Finals facendo slittare in terzo piano tutto ciò che accade attorno, ma la situazione comprende pure un ragionamento di cultura più classica, che richiama la franchigia professionistica americana media ad un nuovo poggio delle proprie fondamenta, cercando di tendere in maniera appropriata l’elastico per un nuovo slancio verso l’alto nel tentativo di toccare il massimo picco possibile prima che la finestra si chiuda per cause anagrafiche, o dettate dalla free agency.

Si tratta di un ciclo del tutto naturale, che vede terminare un’epoca per favorire immediatamente l’alba di quella successiva, una fase che gli Atlanta Hawks stanno vivendo sulla loro pelle esattamente in questi giorni. La franchigia georgiana ha recentemente abbassato la saracinesca su una mini-epoca di inatteso successo, passando dall’essere nota per la sistematica incapacità di riempire adeguatamente i seggiolini del proprio impianto di gioco a toccare il vertice delle 60 vittorie stagionali, per poi raggiungere il vertice della finale di Conference, centrando contemporaneamente due obiettivi storicamente mai raggiunti nell’esistenza della franchigia durante la permanenza in Georgia.

Oggi tutto questo è già passato. Mike Budenholzer, che aveva plasmato l’etica lavorativa e la cultura di spogliatoio cercando di inseguire i successi goduti da assistente in quel di San Antonio, gli improbabili All-Star di una squadra composta da nomi di non primissimo profilo facendo prevalere la chimica su tutto il resto, i Jeff Teague, gli Al Horford, i Kyle Korver, i Paul Millsap. Se ci voltiamo indietro solo per un istante sembra di inanellare discorsi fatti giusto ieri sera, ed invece da quelle prospettive di successo sono già trascorse ere geologiche, tant’è che con il licenziamento di Budenholzer, oggi a capo della panchina dei Milwaukee Bucks, ogni discorso va necessariamente azzerato e ripreso con differenti presupposti.

Biglietto d’ingresso dunque validato per coach Lloyd Pierce, per la prima volta a rivestire il ruolo di head coach ma forte delle esperienze da assistente a Golden State, Cleveland, Memphis ma soprattutto Philadelphia, città nella quale si dice abbia contribuito significativamente nel far mantenere all’ambiente una mentalità vincente nonostante le lunghe sofferenze portate da The Process, fino alla fioritura della stagione appena trascorsa. L’assunzione di Pierce è l’anno zero di un percorso che ha già toccato l’importante tappe del Draft, evento che ha confermato come le tendenze dettate da chi vince i titoli determinino le strategie delle concorrenti, passando dal modello San Antonio di Budenholzer all’ideazione di un roster i cui punti chiave si spera possano ricordare anche solo lontanamente – sarebbe già un ottimo risultato – le operazioni costruttive da cui nacquero i Warriors del primo titolo, puntando proprio sulla qualità delle scelte collegiali.

Si parlerà dunque per anni della decisione che potrebbe definire in un modo od in quello opposto la carriera del general manager Travis Schlenk – proveniente appunto dal front office di Golden State – che ha accettato il rischio di lasciare Luka Doncic ai Mavericks ricevendo in cambio i servigi di Trae Young ed un altro pezzo di futuro, rappresentato da una scelta di primo giro già utilizzabile nel 2019 qualora uscisse dalla protezione delle prime cinque. Le caratteristiche fisico-tecniche del talento proveniente da Oklahoma sono state frettolosamente paragonate a quelle di Steph Curry per tutto l’arco del suo primo ed unico anno collegiale, a seguito di una fragorosa imposizione nel panorama nazionale e del conseguente dominio statistico imposto al resto della concorrenza, con primati stagionali registrati in punti ed assist sia per medie che per cifre assolute (27.8 + 8.7, cifre impressionanti per il sistema di gioco collegiale).

Nonostante ciò, proiettare Young a livello Nba non è affatto scontato come sembra, perché se il range di tiro sostanzialmente illimitato e la capacità di penetrare fino al ferro possono certamente innescare dei discorsi fin troppo facili a livello di similitudine, non ne vanno ignorati i limiti fisici, l’alto tasso di turnover e la selezione di tiro non sempre brillante, anche se le ultime due voci potranno senz’altro vedere dei progressi se non altro perché al ragazzo non verrà più chiesto di rappresentare inizio e fine dell’azione offensiva, diminuendone stanchezza fisica e stress mentale a vantaggio della lucidità.

Young, oltre a confermare l’indubbio talento lottando contro uomini e non più ragazzini, dovrà conquistare il cuore della comunità degli Hawks, che a seguito della selezione non ha mancato di rumoreggiare evidenziando un pizzico di disappunto per la direzione intrapresa e la rinuncia ad un giocatore di caratteristiche uniche e pedigree vincente, una scommessa più sicura, e che non vuole vivere nel timore che Doncic possa mutarsi in un nuovo caso-Nowitzki.

E proprio Milwaukee, la colpevole della rinuncia ai diritti del Tedescone, pare abbia giocato un ruolo interessante nella seconda selezione del primo giro targato Hawks, dato che Schlenk pareva tentato nel saltare dinanzi a dei Bucks apparentemente interessati a Kevin Huerter, un’ala dotata di un tiro eccellente e di conseguenza altro pezzo-chiave per il futuro successo da oltre l’arco. Comprensibile quindi il sospiro di sollievo collettivamente esalato nella War Room di Atlanta alla chiamata di Donte DiVincenzo, che ha scacciato il possibile esborso di scelte future per procedere ai gradini necessari agli intenti e via alla soddisfazione per essere rimasti comodamente al proprio posto vedendosi recapitare un prospetto di ottima statura – 2 metri – in rapporto alle abilità di ricezione e tiro e creazione dello stesso partendo dal dribbling, abbinando a ciò un tocco sensibile, di quelli che schiaffeggiano la retina senza minimamente preoccuparsi dell’esistenza del ferro, facendo immaginare uno splash che ricorda l’altro prototipo rincorso da Schlenk, Klay Thompson.

L’identikit del tiratore da Maryland corrisponde certamente a quanto premesso da coach Pierce in sede di presentazione, ovvero la ricerca di elementi versatili, in grado di tirare a seguito dello scarico ma anche in movimento, fornendo una chiave di lettura direttamente correlata alle aree di miglioramento insite in Young, il quale potrà sfruttare le sue doti di penetratore per accentrare la difesa su di sé e contare sulla propria capacità di assistman proprio per raggiungere compagni come Huerter e far fruttare al meglio gli appostamenti sul perimetro, inglobando nel ragionamento la necessità della star di Oklahoma nel far progredire le proprie decisioni sul campo, che diviene quindi una premessa essenziale. La statura di cui sopra è inoltre destinata a giocare un ruolo importante in difesa, settore dove Huerter ha pienamente convinto in fase collegiale, data l’accertata propensione a contestare sia i tiri dal perimetro mettendo la mano in faccia all’avversario che in fase di difesa nel medio raggio, dove il movimento di piedi è risultato piuttosto efficiente.

Schlenk ha infine rinforzato la protezione del canestro tenendo l’occhio fermo sulle multiple capacità dei suoi futuri giocatori, quindi la possibilità di Omari Spellman nel poter difendere con energia e disporre nel contempo di una buonissima precisione nel tiro da tre sono caratteristiche che hanno votato certamente a favore del soggetto in fase gestionale della trentesima chiamata assoluta. Anche nel caso dell’ex-Villanova l’inserimento professionistico dovrà essere corrisposto da una serie di miglioramenti fisici e tecnici, l’obiettivo primario – svelato proprio dal soggetto – sarà il cesellare un corpo certamente mobile se rapportato ai 115 chilogrammi ma che necessita di uno snellimento generale e di una diminuzione dall’attuale 13% di grasso corporeo.

Per quanto il management giuri ai media di non essersi esplicitamente riferito ai Warriors, tentativo di celare una realtà fin troppo intuibile, la fervente attività di Spellman in più settori non può che portare ad un ritratto che parla di un buonissimo stoppatore, di una spiccata propensione per il rimbalzo offensivo, di un giocatore capace di segnare in post grazie al tocco soffice, di un’ala grande che può attirare il marcatore fuori dall’area data la potenziale pericolosità portata dal 43% con cui ha centrato il canestro con le triple, ricavandone un profilo del tutto simile a quello di Draymond Green.

L’organizzazione ha quindi lavorato per la nascita di un ciclo che oggi non vedrà risultati significativi nell’immediato, l’ossatura è pur sempre quella di una squadra da 24 vittorie nella Eastern Conference, ma con sicure prospettive future. La ricostruzione passerà anche dalle tre le selezioni di primo giro 2019 di cui gli Hawks disporranno (oltre alla scelta di Dallas sarà disponibile quella di Cleveland, ottenuta nel quadro della trade di Korver, una top-10 protected), nonché dalle due seconde scelte future (2019 e 2023) ottenute scambiando i diritti di Devonte’ Graham con gli Hornets, arricchendo le munizioni a favore della franchigia per acquisire ulteriore talento giovane o allestendo qualche trade interessante fruendo di tali risorse.

A proposito di scambi, la presenza di Young e le recenti vicissitudini giudiziarie di Dennis Schroder potrebbero tradursi in una preparazione dei bagagli da parte di quest’ultimo, sgravando la squadra del peso di un contratto originariamente firmato per quattro anni e 70 milioni complessivi e valevole per altri tre anni, ma soprattutto allontanando un mal di testa che ha dimostrato immaturità dentro e fuori dal campo, una potenziale transazione da massimizzarsi prima che cali il valore dell’ipotetica merce di ritorno, finché talento ed età possono ancora giocare a favore del ventiquattrenne da Braunschweig.

Schlenk ha già precisato che non ci sarà alcuna free agency aggressiva, un po’ per la franca consapevolezza di non poter attrarre chissà quale superstar, in parte perché il frontcourt è solidificato dalle conferme di Muscala e Dedmon, che hanno esercitato le rispettive opzioni di rinnovo annuale.

Tutto è dunque pronto affinché i nuovi Hawks spicchino il volo verso lidi differenti da quelli frequentati nella stagione passata, puntando tutto sulla crescita casalinga dei propri innesti, ma anche con la coscienza di dover affrontare una pressione mediatica terrificante, con la gigantesca ombra di Doncic sempre lì, pendente, in attesa di elaborare giudizi definitivi.

 

 

 

 

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