2010, 2014, 2018. Puntuale e quadriennale come le Olimpiadi, riecco la free agency di LeBron James con tutto il trambusto mediatico che ne consegue.

Per quanto l’esito sia stato il più prevedibile e per alcuni banale – vittoria di Golden State in finale sui Cavaliers – la stagione 2018 ci ha fornito una visione molto chiara sullo stato delle cose e sui power ranking della lega.

I Warriors rimangono la squadra da battere, a maggior ragione se manterranno inalterato l’organico, imitarne il modello non sembra possibile ma attendiamo alla finestra l’evoluzione dei Celtics, combatterli con strategie studiate appositamente invece è una strada più facilmente percorribile: i Rockets sono arrivati corti di un bicipite femorale di Chris Paul dal superarli in 7 partite. In tale scenario LeBron James è un oggetto di gravità inaudita, e un suo cambio di casacca sposterebbe considerevolmente i piatti della bilancia.

Le scosse di assestamento successive all’impatto rifinirebbero poi i contorni di una lega la cui struttura pare destinata a cambiare.

Mentre si scatena un tempestoso mare di ipotesi, valutiamo una per una le possibili scelte di LeBron in base a quanto suggerito da lui stesso e dalle indiscrezioni degli insider.

CLEVELAND CAVALIERS

Partiamo dalla prospettiva più semplice, ma che perde trazione ogni giorno che passa. LeBron potrebbe esercitare l’opzione da 35.6 milioni per restare a Cleveland ancora un anno, o addirittura siglare un nuovo contratto fino a un massimo di 205 milioni in 5 anni. Qualsiasi altra franchigia non potrà offrirgliene più di 150 in 4 anni, ma con un patrimonio netto intorno ai 400 milioni per la business venture chiamata LeBron James quel dettaglio non dovrebbe fare la differenza.

Parliamo di competitività: qualsiasi team con James a roster è competitivo per definizione, ma Cleveland ha le mani legate – anche per via dei contratti pesanti che LeBron ha voluto per Tristan Thompson e JR Smith – e pochissimi margini di lavoro sul mercato. Il supporting cast, lo abbiamo visto quest’anno, non è adeguato, ma Kyle Korver, Larry Nance e Jordan Clarkson sono sul libro paga anche per la prossima stagione, e i 12 milioni di quest’ultimo sono particolarmente ingombranti.

L’unico asset di rilievo in possesso dei Cavs è la scelta numero 8 al prossimo draft, ma Dan Gilbert se l’è tenuta stretta proprio come “assicurazione” in caso di partenza di James.

Le acque, tra i due, sono tornate ad agitarsi. Gilbert proclama di essere al lavoro per strutturare una squadra capace di vincere senza LeBron, mentre il Re manda frecciatine esprimendo la sua preferenza per giocatori “intelligenti”, capaci di comprendere il gioco.

Avendo già portato il titolo del 2016 a The Land, oltre a quattro Finals consecutive e un’ultima stagione giocata sempre con l’acceleratore schiacciato, stavolta LeBron può lasciare la patria a testa alta.

 

LOS ANGELES LAKERS

L’opzione più esaltante dal punto di vista mediatico, ma anche la più inquietante sotto il profilo cestistico. LeBron James è una macchina da soldi e Los Angeles, dove peraltro vive la famiglia, sarebbe la destinazione perfetta per i suoi interessi affaristici.

Per non parlare del fascino di competere con una casacca storica, un lusso che finora non gli è mai capitato in carriera, e magari la possibilità di ridare lustro al nome dei Lakers dopo gli ultimi anni passati in fondo alla classifica.

Questi gli elementi che suggeriscono un matrimonio LeBron-Lakers da almeno un paio d’anni; per quel che conta, si tratta anche dell’esito più probabile secondo le quote degli scommettitori di Las Vegas.

Veniamo agli aspetti economici. I Lakers si sono costruiti quintali di spazio salariale proprio per meglio inseguire i free agent.

Coi soli 18 milioni di Luol Deng a intasare il salary cap, potrebbero garantirsi i servizi di due All-Star senza problemi. Ma oltre un ipotetico duo James-George, cosa troviamo? Un sophomore, Brandon Ingram, e due rookie, Lonzo Ball e Kyle Kuzma, che seppure promettenti devono ancora giocare una stagione con l’obiettivo playoff in testa; figuriamoci l’idea di vincere il titolo.

Per consolidare il roster tramite trade Magic Johnson e Rob Pelinka hanno poco materiale con cui lavorare, avendone speso molto proprio per liberare spazio salariale, e la guida tecnica di Luke Walton non è delle più solide. Il rischio è che LeBron si ritrovi in una Cleveland 2.0, una tabula rasa dove operare da leader, coach e GM senza però reali prospettive di vittoria – quantomeno nel breve termine.

Se a questo punto della carriera LeBron scegliesse di privilegiare altri aspetti rispetto alla conquista di altri anelli, lo comprenderemmo e ce ne faremmo una ragione: ma da quanto dichiara il diretto interessato, lo vediamo più incline a sfide di altro calibro.

 

HOUSTON ROCKETS

Un’ipotesi sconquassante per gli equilibri della lega, al punto che Charles Barkley afferma che smetterebbe di seguire l’NBA qualora si verificasse, ma merita di essere presa in considerazione se non altro perché permetterebbe a James di competere per la vittoria, stavolta in veste di favorito, da subito e per almeno un paio di stagioni.

Intendiamoci, se James si trasferisce a Houston è per giocare con James Harden, Chris Paul e Clint Capela, ma gli ultimi due sono in scadenza. Iscriverli tutti quanti nel libro paga senza sfondare il salary cap richiederebbe un incastro degno del campione del mondo di Tetris, ma se c’è qualcuno in grado di far quadrare i conti – e rifilare qualche cattiva trade a una franchigia, nel frattempo – questo è Daryl Morey.

Se Paul e James, che sono ottimi amici e leader del sindacato dei giocatori, optassero per una riduzione dello stipendio come si apprestano a fare i Warriors, tutto sarebbe più semplice, ma LeBron non ha mai fatto mistero di pretendere il massimo e anche Chris Paul, recentemente, ha sottinteso di non voler scendere a compromessi.

Tra le strade percorribili, sviscerate qui con dovizia di dettagli, l’unica realistica prevede che LeBron eserciti l’opzione con Cleveland per poi venire immediatamente scambiato: la stessa mossa operata l’anno scorso tra Paul e i Clippers.

Nel mentre i Rockets dovrebbero pareggiare le offerte per Capela e liberare spazio smobilitando i pezzi meno pregiati del roster: Ryan Anderson coi suoi pesantissimi 20 milioni, ad esempio, e PJ Tucker.

Per far quadrare i conti servirebbe l’appoggio di una terza squadra, perché Cleveland difficilmente si accontenterà di quanto può offrire Houston. LeBron per ora non ha seminato indizi su quanto lo stuzzichi l’idea Houston (tralasciando una becera voce secondo cui non gli piaccia la città) per cui siamo in un puro periodo ipotetico, ma facciamo insieme questo esercizio.

Prendiamo i Rockets 2018, col loro attacco fatto di 1vs1 e scarichi improntato su quintetti “fluidi”, e incolliamo James al posto di Ariza. Ecco un terzo trattatore di palla e passatore sublime per alternarsi con Paul e Harden negli isolamenti, ecco un “falso lungo” da schierare da 5 nei quintetti piccoli (ruolo svuolto da PJ Tucker contro i Warriors), ecco un altro tiratore sugli scarichi – perché James ha imparato a fare pure quello, ecco un difensore d’èlite che può tornare a eccellere con meno responsabilità offensive sulle spalle. Questo, insieme a tutti i vantaggi del giocare in un sistema ben collaudato: il modus operandi di Mike D’Antoni non è esente da critiche, ma di sicuro ha principi ben delineati.

 

PHILADELPHIA 76ERS

La seconda destinazione più pubblicizzata dopo Los Angeles, con la stessa città di Philadelphia che da mesi invita LeBron a suon di cartelloni e Joel Embiid che ha avviato il recruiting in pompa magna tramite i social network. Nel corso della stagione LeBron si è già sbilanciato su quanto apprezzi il progetto dei Sixers, e in particolare ha eletto Ben Simmons a “principe”, suo degno erede – ma il fatto che i due condividano il medesimo agente, il tentacolare Rich Paul, qualcosa vorrà pur dire.

Anche qui, come nel caso dei Lakers, ci sarebbe il fascino di chiudere la carriera con una franchigia storica che non vince da troppo tempo, ma le prospettive cestistiche sono ben più allettanti di quelle che James incontrerebbe in California.

I Sixers devono salutare i cecchini Reddick e Belinelli, ma hanno spazio salariale a sufficienza per offrire il massimo a LeBron senza snaturare la squadra, grazie a un buon gruppo che sta rendendo più di quanto presuppongano certi contratti vantaggiosi (Robert Covington, Dario Saric, TJ McConnell).

Anzi, imbastendo qualche trade di alto profilo Philadelphia può addirittura invogliare James con un altro All-Star, magari Kawhi Leonard. Il nucleo è giovane, ma Ben Simmons e Joel Embiid sono – allo stato attuale delle cose – su un altro pianeta rispetto a Ball e Kuzma, in più il gioco di Brett Brown ha solidi principi con un roster coperto in ogni reparto.

Tutti i pezzi sembrano combaciare nella soluzione perfetta: una franchigia di prestigio, situazione contrattuale flessibile, ottimi presupposti in campo con la possibilità di vincere subito e migliorare ulteriormente nel futuro: LeBron che si avvia a fine carriera mentre Simmons ed Embiid crescono.

C’è però un dubbio da non trascurare. Ben Simmons è la fotocopia di LeBron. Se il secondo può fare da mentore al primo, la loro convivenza in campo funzionerebbe davvero? Tra i due LeBron è il più adatto a giocare off-ball, dato che a differenza di Simmons sa tirare da media e lunga distanza, ma si accontentererebbe di lasciare all’australiano ogni mansione di playmaking?

 

SAN ANTONIO SPURS

Gli Spurs si sono aggiunti di recente alla lista quando Marc Stein, uno più affidabile del salumiere sotto casa, ha parlato di un tête-à-tête tra Popovich e James da consumarsi davanti a svariati bicchieri di vino.

La città di San Antonio non dispone di grosse attrattive per un free agent, a meno che uno si accontenti dell’Alamo, del rodeo e di una sweet chin music di Shawn Michaels, e con l’eccezione di Lamarcus Aldridge non ha mai portato avanti strategie di reclutamento aggressive, preferendo costruirsi i talenti in casa. Però, se il miglior giocatore del globo terracqueo sta considerando di portare i suoi talenti in Texas, un comitato di accoglienza coi fiocchi glielo organizzi comunque.

Dal punto di vista salariale gli Spurs sono tenuti sotto scacco da Rudy Gay e Danny Green, entrambi titolari di player option, e devono diradare la nebbia sul mistero Kawhi Leonard. Chiaramente stiamo parlando di uno scenario dove l’ex MVP delle Finals è fisicamente abile, arruolato e contento di giocare con gli Spurs, altrimenti il castello di carte crolla al primo piano.

Con 78 milioni liberi (posto che Green e Gay non rinnovino), San Antonio può firmare James e ritoccare il roster con gli avanzi, nonostante il contratto pesante che li lega a Pau Gasol per altri due anni. Pensate a cosa ha fatto James in carriera quando ha avuto un allenatore valido (Erik Spoelstra) e pensate a cosa potrebbe combinare agli ordini di uno eccellente come Popovich. Quanta benzina sia rimasta agli appannati Spurs del dopo-Duncan, però, resta tutto da vedere.

 

BOSTON CELTICS

Per quanto Danny Ainge gestisca le finanze con diligenza, i Celtics non avrebbero ovviamente lo spazio salariale per firmare James nudo e crudo (Irving, Hayward e Horford guadagnano già dai 20 ai trenta milioni annui) e si renderebbe necessaria una trade per realizzare questo scenario, simile all’opt-in & trade ipotizzato per Houston.

Uno scenario, peraltro, da prendere con una grossa manciata di sale perché a proporlo è stato il vulcanico Stephen A. Smith di ESPN (qualcuno l’ha definito “un caps lock vivente”, ma gli va dato il merito di aver azzeccato l’originale Decision in favore di Miami).

La possibilità, tuttavia, è talmente avvincente da entrare di forza nella conversazione, nonostante sia remota, e da qualche giorno chi si occupa di NBA ha speso almeno un paio di chiacchiere sull’argomento. Boston ha costruito il suo personalissimo process per vincere a lungo termine, con scelte al draft e qualche free agent di secondo piano, ma come accaduto con Kyrie Irving Ainge potrebbe trovarsi a premere il dito sul grilletto per assicurarsi un giocatore trascendente come LeBron in un discount deal.

Stiamo parlando di qualche scelta al draft (Boston ne ha ancora parecchie, compresa quella 2019 dei Kings), un giovane (obbligatoriamente Brown, perché Tatum è intoccabile) e un big. Magari lo stesso Kyrie Irving, in una bizzarra successione di eventi, che è in scadenza nel 2019 e potrebbe sentirsi spiacevolmente braccato dall’ombra di James.

Un simile pacchetto toglierebbe ai Cavs l’amaro dalla bocca, mentre LeBron sposerebbe un progetto vincente in un’altra città di grande tradizione cestistica; giocare per un coach come Brad Stevens sarebbe la ciliegina sulla torta.

 

LE ALTRE

Verosimilmente, ogni franchigia con qualche soldo da parte comporrà almeno una volta il numero dell’agente Rich Paul nelle prossime settimane, ma oltre a quelle citate non ci sono molte altre destinazioni che James dovrebbe prendere in esame.

C’è sempre la questione Warriors a tenere banco, estrema e fantascientifica, ma al pubblico piace discuterne da quando è emersa, qualche mese fa. Un giornalista ha avuto l’ardire di interpellare Draymond Green sulla faccenda e si è sentito rispondere, in sostanza: se arriva lui, vado via io.

E non potrebbe essere altrimenti, visto il monte ingaggi dei Warriors destinato a gonfiarsi fino ai limiti estremi della luxury tax. Per accomodare James, Golden State dovrebbe operare un cambio della guardia oppure instaurare una sorta di regime socialista dove tutti guadagnano gli stessi milioncini.

Stephen A. Smith, nella sua lista, ha incluso anche Miami. Lo spazio salariale c’è, il roster attrezzato un po’ meno – ma è pur sempre meglio di quello dei Lakers. In Florida James ritroverebbe coach Spoesltra, un’organizzazione di successo e un ambiente fertile per le sue attività commerciali, ma dovremmo fantasticare su un accordo sottobanco simile a quello del 2010 per riunirsi con altre due superstar.

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