Sono delusissimo, inutile che stia lì a menare il can per l’aia.

Dovevano riscattare la noia mortale di quelli dell’anno scorso, apatici e troppo prevedibili.
Dovevano essere dei playoff all’insegna dell’equilibrio e delle sorprese, invece mi ritrovo qua, nella nuova media room della Oracle Arena (visto l’avvicinarsi dei momenti importanti hanno iniziato a tirare fuori tutto l’arsenale, allestendo la sorella maggiore della sala che nromalmente ci ospita) a fissare uno schermo e mangiare junk food, con Houston sopra di dieci nella decisiva gara 5 contro Utah, Toronto già eliminata, Minnesota che ha fatto appena un cammeo (recitato pure male), Philadelphia che al posto di essere alla ribalta si ritrova con le spalle al muro contro una Boston senza stelle e gli Warriors che, per ora, hanno deriso gli Spurs e passeggiato sui Pelicans di Anthony Davis.

Forse ve lo riesco a spiegare meglio così: avete presente quei film che iniziano con una scena forte in cui muoiono subito un paio di persone, davvero poco importanti per lo svolgersi della vicenda, giusto per far capire che la faccenda è seria?

Ecco, quelli sono stati i Playoff NBA 2018. Dopo un anno mi ritrovo di nuovo a vedere alle porte, come unica soluzione possibile dell’enigma, la finale Cleveland-GS mentre tutte le altre contendenti sono state fatte fuori o stanno perdendo consistenza.

Doveva farci sognare Toronto, poi si sono -e ci siamo tutti- accorti che, se mi passate l’analogia, erano solo una tribù di indios con archi e frecce contro dei conquistadores armati fino ai denti. E come gli indios sono finiti.

E, diciamocelo, a dargli degli indios sono stato gentilissimo perché quella parola presuppone combattenti fieri e coraggiosi; Toronto è stata sbranata dai suoi stessi demoni in 11 bocconi; in 11 tiri sbagliati di fila nel finale di  gara 1.
Si 11, 10+1, di fila, se per caso foste stati distratti la scorsa settimana vi allego il video della parte finale del disastro.

Il resto della serie nemmeno lo racconto perché mi è rimasto un po’ di cuore.
Per citare Julio Velasco, che nei suoi discorsi di psicologia sportiva metteva sempre in contrapposizione gli occhi della tigre e quelli della mucca, vi posto una foto di DeRozan e lascio decidere a voi quale animale si addica di più al giocatore franchigia di Toronto (anche Lowry non è che sia da elogiare, sia chiaro).

Ovviamente la rete ha risposto prontamente alle prestazioni di DeRozan con la consueta sensibilità, soprattuto considerando la sua apertura durante la stagione regolare a parlare dei suoi problemi di depressione e tenuta mentale:

Doveva essere l’anno di OKC, mina vagante, del riscatto di Melo, della consacrazione di Westbrook, della rivincita su Durant e della rinascita in postseason di Paul George. Mi sa di no.
I rumors di oggi dicono che Rus potrebbe essere venduto/scambiato e, per quanto io non sia un suo tifoso, sarebbe probabilmente un errore. Mercato piccolo, giocatore franchigia, buona connessione con la città, porterebbero ad una scelta diversa ma OKC ha bisogno di un cambio di rotta per evitare l’effetto “hamster on a wheel” e continuare a perdere (troppo presto) in postseason in un turbinio di palle perse e tiri insensati.

Prendere un allenatore che lo alleni davvero  e togliergli la ca… maledetta palla dalle mani, specialmente nei playoff, specialmente quando conta?

Anche scaricare in qualche modo Melo (ed il suo contratto oneroso) è un nodo cruciale per i Thunder. Qui sono invece meno “netto” perché un anno fa circa dicevamo cose simili di Oladipo, quindi andiamoci piano prima di seppellire l’ex Knicks, che sicuramente non è più nel suo “prime” ma altrettanto sicuramente non è un giocatore da 3-5 punti a partita.

La rete, come al solito è due passi avanti a tutti:

Dovevamo tutti vedere quanto fosse bello “The Process” e invece dopo aver dominato la serie con Miami si sono ritrovati -per colpa dell’astuzia di Brad Stevens e di un mix di inesperienza, cattive scelte e adjustment sospetti- con le spalle al muro e soprattutto con la grande domanda: ma quanto sarebbe bello se Ben Simmons sapesse tirare?

I Celtics sono riusciti a trasformarlo, con un game-plan difensivo che non richiede la conoscenze della meccanica quantistica, in “just another guy”. Vedremo che succederà nel prossimo capitolo della serie, ma l’idea che Phila possa vincere con Ben Simmons “off the ball” suona quanto meno bizzarra.

Dovevamo vedere una grande Utah. E l’abbiamo vista, non fraintendetemi. L’unica serie degna di nota è stata proprio OKC-Jazz. Bel gruppo, buon gioco, un talento che nonostante qualche up&down (assolutamente concesso ad un rookie) sta giocando out of his mind, un super allenatore ma… ma nella serie con Houston si sono visti tutti i limiti del roster di Utah che offensivamente oltre al duo Mitchell-Ingles (colpa anche dell’infortunio di Rubio) ha poco da mettere sul tavolo.

Per ultimi gli Warriors, visto che sono qua, principalmente perché sono qua.
Logori, infortunati, sull’orlo della crisi di nervi e saturi di falli tecnici, avevano detto gli esperti per mesi.
Poi arrivano i momenti che contano, registrano due cose, di numero, e di nuovo sei li a chiederti:

“Ma questi chi ca**o li batte?”

La prima serie contro San Antonio l’avrebbe dovuta interrompere un arbitro, come nella box, per manifesta superiorità/inferiorità subito dopo gara 1. Così non è stato: 4-1, gentleman sweep, dicono in questa parte del mondo, e tutti a casa.

Poi arrivano i Pelicans, apparsi in stato di grazia contro Portland, e la domanda era: ma come diavolo faranno senza Curry?

Il risultato?

Gara 1: Senza il 30: Vittoria a mani basse.
Gara 2: Cruise control. Un po’ di Steph (che è rientrato dall’infortunio al ginocchio sparandosi un modesto 28ello in 27′ con oltre il 50% dal campo). Fattore campo mantenuto e 2-0 per i californiani.
Gara 3: GS non pervenuta, forse per noia.
Gara 4: Ci ha pensato l’altro; quello che ha il passaporto americano, ma l’origine sicuramente aliena, che risponde al nome di Kevin Durant. Prestazione onnipotente al limite dell’opera d’arte, mentre lo marcava un certo Anthony Davis.

 

Quindi siamo di nuovo qua, altra gara 5 in casa, altra formalità, probabilmente.

Da un giro di ricognizione sul campo Steph sembra “abbastanza” caldo.

Sarebbero caldi anche i piatti offerti oggi per la cena nella media room (pulled pork e brisket, se non sapete cosa sono, fa lo stesso. Credetemi) ma sulla qualità del cibo made in USA, in generale e più in particolare qui alla Oracle Arena, mi sono già espresso in passato: sempre più spesso ho la sensazione che certe cose dovrebbero uscire, e non entrare, dal corpo.

 

  • Live Game
    GS riparte con gli Hamptons 5 (nickname abbastanza indecente, guadagnato dai 4 Warriors storici, quando due estati fa hanno preso l’aereo per andare negli Hamptons e convincere KD ad unirsi a loro), ovvero con: Curry-Thompson-Durant-Green-Iguodala, la migliore lineup che possano schierare.

  • Sarebbero tecnicamente “piccoli”, ma poi a leggere le stature e considerando che Draymond Green marca con cognizione di causa anche i 4-5 (la stampa americana, difensivamente lo chiama “vicious”, aggettivo che non voglio tradurre perché suona troppo bene così) diciamo che più che “piccoli” si potrebbe fare un parallelo spicciolo e definirli dei “normodotati” per la media africana. Chi vuole capire capisca.

    Avvio abbastanza teso: siamo a 8.59 sul cronomentro, 4-2 il punteggio (!) e già due time out chiamati (uno per parte). Tutti e due i coach vogliono tenere il guinzaglio cortissimo sulla gara e sui giocatori.

    Il primo quarto finisce con i padroni di casa in vantaggio, ma non di molto.
    Sul tabellone c’è scritto 26-31 di cui 14 li ha messi da solo Klay Thompson con un “discreto” 6-9.
    Bella la vita per i californiani eh? Durant è freddino (1-5) Curry ha preso solo tre tiri (per ora più in versione playmaker che tiratore) e Green è 1-3 (anche se fondamentale sull’altro lato per lavorare ai fianchi Anthony Davis) però hai “anche” quell’altro lì a darti una mano.
    Lusso smisurato.

    Casa Pelicans: Rondo e Holiday “parzialmente” battezzati perché Davis richiede un raddoppio sistematico dopo, o addirittura prima, il primo palleggio. Per gli amanti delle statistiche, GS è sopra di 6 con una percentuale dal campo paragonabile a quella dei Pelicans (44% contro il 41%) ed il 20% da tre (2-10) mentre i Pelicas dopo 12 minuti di gioco, dalla lunga distanza sono a 6 su 9 (66.7%).
    Chi continua a pensare che questa squadra sia unicamente basata sul tiro da tre o non guarda le gare o è semplicemente un folle.


    e sono 17 con 7-11 dal campo.

  • La faccenda Anthony Davis: La strategia che gli Warriors hanno impostato su AD non è complicatissima, ma non per questo meno efficace: hanno deciso di lasciarlo in single coverage nel perimetro e appena fuori dal pitturato con una prima marcatura che riguarda Green, Durant, Looney (e sporadicamente Iguodala) e raddoppiarlo con un “piccolo” immediatamente appena riesce a prendere posizione o porta a spasso il Green o Looney. Al momento ha funzionato nella serie e funziona anche oggi (3 su 9 con 11 punti) tanto fenomeni del genere li puoi solo limitare, fermarli del tutto è impossibile.

Chi mi mancava nella grossa lista del disappunto?
Ah beh, quella facile: Minnesota. Un’altra delle squadre che doveva rivoltare le nostre credenze cestistiche, salvo poi uscire in modo anonimo gettando un po’ di ombre sulla tenacità e sugli attributi di Towns e soprattutto sulla coaching philosophy di Tom Thibodeau.

Quindi cosa ci rimane? Le due finali di conference, considerazione ovvia, ma vediamo i due possibili scenari partendo dalla Eastern Conference:

1 – The classic choice – Cleveland-Boston: Ad oggi, la peggiore; sebbene nessuna delle due possibili avversarie di Cleveland sembra averne abbastanza per togliere lo scettro al re, questa sarebbe sicuramente la serie meno appetibile. Può andarti bene quando giochi contro una squadra inesperta come i 76ers, ma in una finale contro Lebron, nonostante a me piacciano tantissimo Tatum, Bronw e Rozier, semplicemente sei short, ti manca lo star-power, come fosse un videogioco.

2 – The soup of the day – Cleveland-76ers: doveva essere la serie migliore che la eastern conference poteva offrire, ma i recenti problemi con Boston e la messa in luce di tutte le criticità di Philadelphia hanno tolto molto fascino a questo possibile accoppiamento che però rimane quello che mi piacerebbe vedere di più, onestamente.

  • Live Game
    Secondo quarto all’insegna di Curry (5-6 dal campo per 11 totali) e qualche sprazzo di Durant. Quando l’attacco si ferma un po’ ci pensa KD a farli uscire di prigione senza passare dal via.
    A meno di 5 minuti dal riposo grosso Golden State è in vantaggio ma i Pelicans sembrano ancora dentro la partita: sono sotto di 8, ma rispondono colpo su colpo ogni volta che la temperatura della Oracle sale pericolosamente. Specialmente Davis, che ora sta proprio giocando da stella, sta trovando più ricezioni dinamiche e la sua vita (almeno sul lato offensivo) sembra più semplice: 7-13 per 16 punti e tutta la voglia del mondo di non chiudere la stagione oggi.

    Half-time. Finisce 59-56 per i padroni di casa ma io non capisco se sia New Orleans molto concentrata o se sono gli Warriors che stanno giocando al gatto col topo. Specialmente Curry e Durant hanno alternato numeri circensi a cagate pazzesche, come direbbe il ragionier Fantozzi.

 

  • Terzo quarto, 10.51: time out Pelicans. Dopo nemmeno due minuti di gioco. Ve lo devo anche spiegare?

    Il terzo quarto di solito è il momento in cu gli Warriors ti lasciano lì, e filano dritti a prendersi la gara. Rientro deciso, tripletta di canestri Green-Curry-Durant, tre a caso, e siamo a +9.

    Anche su Davis stanno mordendo un po’ di più (i contatti iniziali con Green sono ai limiti della molestia sessuale) ed il battesimo di Rondo funziona come non mai.

    Di “playoff Rondo” per ora non ne abbiamo visto tantissimo.

    L’ex Celtics è 3-7 dal campo e 1-2 da tre in 18 minuti trascorsi non in modo ispirato e con moltissimo spazio per tirare. Solitamente quello spazio lo si definisce usando i metri, al più i cm quando le difese ruotano bene, con Rondo sarebbe più opportuno usare i metri quadri: tira con un trilocale di spazio tutte le volte.

    Altro allungo Warriors, che vogliono stracciare la gara, altri due di KD, altri due nella casella assist per Curry, altri incubi stanotte per Mirotic che non lo starebbe neppure marcando male ma… quello è KD.
    Il time-out non ferma l’emorragia: 74 – 58 per i padroni di casa su una tripla di Curry che poi arringa la folla ciancicando un po’ il solito paradenti in modo francamente evitabile.

    Si mette male per i Pelicans.

  • Altra folata di vento e siamo a +24.

    Come, onestamente, non lo so. Il tabellone dice 84-60 ed Alvin Gentry è costretto all’ennesimo time-out ma oramai non c’è più nessuna emorragia da bloccare. Il corpo giace defunto lì, davanti ai 20000 della Oracle.

    Sono gli stessi Pelicans che qualche chances dovevano avercela.
    Sono gli stessi Pelicans che fino a qualche minuto fa sembravano in partita: tutto inutile, oggi è “Dubs Nation“.

    Il terzo quarto si chiude a + 20 e con i bollenti spiriti di Davis (ne ha fatti comunque 30) e Holiday tenuti intorno o sotto il 50% dal campo; un affare se sei gli Warriors e la cosa che ti riesce meglio di tutte -oltre ad annientare qualsiasi squadra di pallacanestro del mondo- è alzare le mani dal manubrio per noia, appena la partita ti sembra chiusa.

    Ovviamente non succede sempre, di sicuro non è successo oggi.

    Quarto quarto senza troppe emozioni con Golden State che setta la velocità di crociera fra +10 e +15 di vantaggio e così si conclude un’altra serie dei Playoff 2018.

Finisce qua per i Pelicans e guardandoli l’unica speranza che segretamente continuo ad alimentare è che AD vada via, animando il mercato estivo e scegliendo una franchigia che giochi veramente per il piatto grosso nei prossimi anni e che ovviamente non possono essere i Pelicans. Let’s keep it simple.

La giostra dei playoff invece continua per i Warriors e finalmente abbiamo lo scontro tanto atteso contro i Rockets di CP3, Harden e D’Antoni.
Per la prima volta dopo tanto tanto tempo Golden State non avrà il fattore campo e questo qualcosa vorrà pure dire, come diceva Toronto.

Scherzi a parte, Houston è una sfidante legittima per i campioni in carica; è apparsa per grandi tratti la squadra più in forma della lega ed ha vinto la scommessa CP3 + Harden, scommessa che molti (includendo il sottoscritto) reputavano perdente, o almeno azzardata.
In questi Playoff i Rockets non hanno ancora brillato offensivamente, ma hanno colpito per la concentrazione, per la solidità difensiva e soprattuto per il fatto che quando Harden becca le sue slump offensive, hanno Chris Paul che gli toglie le castagne dal fuoco (come oggi in gara 5 contro Utah).

Scenario 1 dei 10000 possibili: Houston Tiene il fattore campo in gara 1 e 2 e ci ritroviamo qui a Oakland, tutti insieme, per la serie più bella di tutte.

Scenario 2 dei 10000 possibili: Golden State arriva con gli Hamptons 5 in gara 1, gli da 20/30 punti ed il mio pessimismo per questi playoff continua a dilagare mentre aspetto, di nuovo, la finale contro Cleveland.

A presto!

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