Al primo atto della sfida tra Rip City e The Big Easy tocca l’onere di chiudere le danze per quanto riguarda la prima notte di playoff. Un abbinamento interessante tra due squadre di difficile lettura; il record totalizzato a fine stagione, forse, non dice tutto sul valore delle protagoniste.

L’analisi della serie

Vogliamo chiamare questa la stagione della consacrazione per Damian Lillard? Secondo i pronostici i Trail Blazers non dovevano trovarsi lì, saldi sulla terza piazza, a bussare alla porta dei Golden State Warriors con qualche partita di vantaggio sul gruppone degli inseguitori. Intrappolati in un limbo che sembrava destinarli alla mediocrità, tra contratti pesanti (Evan Turner, stiamo parlando di te), promesse mai concretizzate (Noah Vonleh, per dirne uno) e scelte al draft di metà primo giro, i Blazers hanno saputo invece rilanciarsi partendo dalle basi: Damian Lillard, CJ McCollum e uno Jusuf Nurkic che ha trovato subito l’intesa coi due. Overperform è ormai parola fissa sul vocabolario di Portland, da un paio d’anni: sarà tempo di dare i giusti meriti a coach Terry Stotts.

In Lousiana la situazione è simile, con Anthony Davis che si è addirittura inserito nella conversazione per l’MVP – lo ricordate quel filotto di partite sui 40 punti, sì? Anche i Pelicans hanno ottenuto uno spot nella griglia playoff in barba ai pronostici, perché dopo l’infortunio di Demarcus Cousins le loro quotazioni erano in picchiata. Proprio l’assenza forzata di Boogie ci ha impedito di constatare l’efficacia di un sistema tattico originale, con due big men moderni a operare in tandem: per quello che abbiamo visto la convivenza funzionava bene, ma il supporting cast non era dei più brillanti. Poco importa, comunque. I Pelicans che affronteranno i Trail Blazers sono una squadra diversa, che nasce e muore intorno a Davis.

 

Lo stato di forma

Mentre le dirette avversarie nella corsa ai playoff lottavano l’una contro l’altra fino agli ultimi scampoli di regular season, le duellanti di questa serie avevano scollinato con un certo anticipo. Ne hanno approfittato per tirare il fiato, e si presentano alla palla a due di sabato notte dopo aver osservato il giusto riposo. Per entrambe il momento caldo della stagione è già passato, ed è coinciso col periodo a cavallo dell’All Star Break. Tra febbraio e marzo, proprio in reazione all’infortunio di Cousins, i Pelicans hanno risalito la classifica mettendo in fila dieci vittorie. Il 18 marzo Portland toccava invece quota 13, coronando una seconda metà di stagione decisamente più convincente della prima.

Da allora, l’organico a disposizione dei coach è rimasto sostanzialmente lo stesso. A parte qualche momento di appannamento, nessuna delle due squadre ha mostrato preoccupanti cali nella qualità del gioco. C’è da credere, però, che Portland arrivi più fresca allo scontro. Lo ha dimostrato con una bella prestazione nella chiusura al Moda Center: vittoria sui tostissimi Jazz e 36 punti per Lillard. I Pelicans godono dello stato di forma di un Davis alla miglior stagione in carriera, ma sentono il peso di cinque mesi giocati in rimonta, con un roster punito dagli infortuni e specialisti costretti a un superlavoro da coach Alvin Gentry.

I protagonisti

Facciamocene una ragione, l’NBA del 2018 è una lega che ruota intorno alle guardie; i Portland Trail Blazers, un po’ per necessità e un po’ per virtù, sono stati tra i primi ad accorgersene e ora vivono di rendita grazie alla produzione di Damian Lillard e CJ McCollum, una combinazione sinistro-destro che terrorizza qualsiasi difesa. Nessuno dei due è un playmaker, nonostante la struttura fisica rimandi proprio allo spot di 1: cercano il canestro prima del passaggio, insomma, ma proprio quest’attitudine gli permette di creare un vantaggio sul difensore. Da lì, un sistema ben organizzato come quello di Terry Stotts genera buoni tiri per gli esterni o per Nurkic nel pitturato, a seconda della reazione della difesa. Quando saltano gli schemi e serve un po’ di hero ball, infine, nessuno dei due si tira indietro. Lillard, in particolare, è a tutti gli effetti il leader della squadra e ha già dimostrato molto in merito alla sua abilità in crunch time. Che risolva almeno una delle partite di questa serie nell’ultimo quarto, è il segreto di Pulcinella.

Per New Orleans c’è un nome solo da chiamare all’appello: Anthony Davis. Accantonati gli scherzi del primo aprile sulla rasatura del monociglio, è tempo di fare sul serio. Ogni elemento di scena sembra in posizione perché Davis interpreti la prima serie playoff da protagonista, mettendo la firma su un paio di marquee victories e magari anche sul passaggio del turno. Sembra un paradosso che ciò debba accadere proprio in contumacia Demarcus Cousins, con l’infortunio di Boogie che ha fatto definitivamente crollare il già instabile progetto tattico di coach Gentry – e con gli spettri della free agency che già aleggiano sul futuro di Cousins nella Big Easy.

 

Le possibili sorprese

Jusuf Nurkic avrà l’ingrato compito di difendere su Anthony Davis per almeno quattro partite. Il bosniaco non ha la velocità di piedi per seguirlo sul perimetro, dove The Brow si è evoluto in un tiratore più che affidabile, e rischia di rimanare un passo indietro anche nei famigerati tagli a canestro che spesso si concludono con un alley oop ad altissima quota. Se consideriamo il fatturato di Davis come una tassa inevitabile, è altrettanto vero che Nurkic può far saltare il banco dall’altra parte del confronto. Davis non è un peso massimo, anzi, ha caviglie ballerine. Nurkic è invece uno specialista del gioco fisico che si esalta, col caratteraccio che si ritrova, proprio quando la competizione si fa più dura. Portare a spasso Davis per il pitturato, contenendolo a rimbalzo e spostandolo con le cattive maniere, sembra la ricetta giusta per farlo stancare – più Nurkic riesce a restare sul parquet, più Stotts potrà sfruttarlo come equilibratore in attacco senza abusare del quintetto piccolo. Occhio anche a Shabazz Napier, autentica rivelazione dell’anno: è la prima guardia in uscita dalla panchina, ottimo per far rifiatare Lillard e McCollum.

New Orleans dispone di un pacchetto di mestieranti, spesso ridotti a mero sfondo delle imprese di Davis: nel sottoinsieme di sette partite, basterebbe una prestazione sopra le righe di uno di loro per fare la differenza. Il candidato più probabile è Jrue Holiday, altalenante nel rendimento ma dotato di sicuro talento. La mina vagante però è Rajon Rondo. Già l’anno scorso, coi mediocri Bulls, sfoderò un paio di prove d’orgoglio che misero a dura prova i Celtics nel primo turno a est. Quest’anno ha ingranato molto tardi e parte dalla panchina, però ha sviluppato un’ottima connessione con Davis. In difesa può dire la sua, se motivato, e a differenza di alcuni compagni vanta esperienza di playoff. Non ci stupiremmo di vederlo impegnato per più di trenta minuti sul parquet, sempre coinvolto nell’azione offensiva.

 

Il pronostico

Ci sono temi tattici interessanti, come la contrapposizione tra la pallacanestro ipermoderna dei Blazers e quella ancora più originale dei Pelicans, tutta fondata su un lungo che però gioca come una guardia. L’impressione è che il colpo decisivo lo infliggeranno i singoli, e Portland ha sicuramente più frecce in faretra; quelle che bastano per fiaccare una New Orleans provata da una stagione tutta in salita. Al resto ci penserà coach Terry Stotts, particolarmente brillante negli ultimi mesi e abilissimo nell’integrare dei giocatori di ruolo nel proprio roster. Il collega Alvin Gentry non è stato altrettanto bravo, in un simile compito. 4-2 Portland

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