Passata l’orgia emotiva del Super Bowl, che vi abbiamo raccontato con estrema dovizia di particolari nel corso della passata settimana, l’attenzione del mondo sportivo americano torna a concentrarsi sul basket. Per la verità, anche nell’episodio precedente di 7for7 il buon Andrea aveva avuto l’imbarazzo della scelta nel selezionare gli episodi più interessanti da inserire nel suo racconto. Certo è che, con la trade deadline alle porte e gli scontri al vertice tra le superpotenze delle due conference, questi ultimi sette giorni si preannunciavano estremamente interessanti. E così è stato.

LUNEDÌ 05 FEBBRAIO – 50.000 MINUTES AND COUNTING (+EPIC FAIL)

dirk nowitzki

D’altra parte è comprensibile, è un giocatore appena arrivato quindi ci sta non avere ancora imparato come si chiama…

Con tutto il rispetto per le squadre di vertice, l’inizio della settimana non può che appartenere a Dirk Nowitzki. Anzi, NOWITKZI come è stato ribattezzato da un solerte addetto al marketing dei Dallas Mavericks, immagino prontamente defenestrato da Mark Cuban il giorno seguente. Pensavo che queste cose potessero succedere solo ai New York Knicks ma evidentemente mi sbagliavo.

Comunque lo vogliate chiamare, durante la partita contro i Clippers WunderDirk ha tagliato il traguardo dei 50.000 minuti in NBA, sesto giocatore della storia a riuscirci. Kareem Abdul Jabbar (57.446), Karl Malone (54.852), Kevin Garnett (50.418), Jason Kidd (50.111) e Elvin Hayes (50.000) i nomi di chi ci è riuscito prima di lui, che chiuderà con ogni probabilità la carriera al terzo posto assoluto di questa particolare classifica.

Che dire? Sinceramente da tifoso dei Mavs sono sempre in difficoltà quando devo parlare di Nowitzki, principalmente perchè ho già il magone al pensiero che tra non molto questo straordinario giocatore dovrà appendere le scarpe al chiodo per tornare nella sua amata Würzburg. Quindi se permettete preferirei fermarmi qui, altrimenti rischio di inondare il pc con una valle di lacrime, mandando a donne di facili costumi le probabilità di completare questo pezzo.

 

MARTEDÌ 06 FEBBRAIO – MAN DOWN & MAN FLYING

Due momenti, uno triste e l’altro esaltante, all’interno della stessa partita

La notte tra martedì e mercoledì presentava in programma due match estremamente interessanti. Ad Est c’era lo scontro tra le due squadre al vertice, Boston e Toronto, con il match che è stato vinto dai Raptors, ultimamente molto “in palla” e addirittura in caccia della testa di serie numero 1 della Conference. Ad Ovest invece la partita della Oracle Arena ha visto i Thunder corsari in casa di Golden State, grazie ad un’accoppiata George/Westbrook da 72 punti in due e ad una difesa dei Warriors ultimamente un po’ in difficoltà.

Ma vogliamo dare spazio ad un match non esattamente di cartello come quello tra Milwakee Bucks e New York Knicks, perchè lì sono successe due cose piuttosto rilevanti. La prima è purtroppo l’infortunio occorso a Kristaps Porzingis, che ha subito la rottura del crociato del ginocchio sinistro ricadendo da una schiacciata. Stagione finita per l’ala lettone, che stava disputando la migliore stagione della sua carriera, e speranze di playoff (poche per la verità) dei Knicks che vanno definitivamente a farsi benedire.

Fortunatamente, il secondo episodio per cui questa partita verrà ricordata è stato molto più positivo, visto che abbiamo assistito alla probabilissima Dunk of the Year nel momento in cui Giannis Antetokounmpo ha deciso di decollare sopra la testa di Tim Hardaway Jr. (che sulla carta d’identità alla voce altezza avrebbe scritto 1.98cm, quindi non certo un nanerottolo) per andare ad inchiodare al ferro l’alley-oop servitogli dal compagno Kris Middleton. Quando scrivo “sopra la testa”, come potete vedere dalla gif postata sopra, per una volta la locuzione non è intesa in senso figurato.

 

MERCOLEDÌ 07 FEBBRAIO – LEBRON WON’T GO DOWN WITHOUT A FIGHT

Stoppata da una parte, canestro dall’altra. James batte Butler due a zero

I Cleveland Cavaliers sono in crisi? Decisamente, se è vero che all’alba di mercoledì avevano perso 13 delle ultime 20 partite e che le voci di spogliatoio facevano trapelare numerose notizie di screzi tra i giocatori. Ma LeBron, che nei giorni precedenti aveva confermato che non avrebbe rinunciato alla sua no-trade-clause (chiudendo così la porta ad ogni sua possibile, per quanto improbabile, cessione), non ha certo deciso di alzare bandiera bianca. In nessun caso James andrà al tappeto senza combattere e l’ha dimostrato una volta di più nella partita di mercoledì notte contro i Timberwolves.

In una Quicken Loans arena che qualche giorno prima aveva addirittura fischiato la prestazione dei suoi beniamini nella disfatta contro i Rockets, LeBron ha realizzato una tripla doppia da 37 punti, 10 rimbalzi e 15 assist, ma soprattutto ha deciso a modo suo la gara negli ultimi secondi dell’overtime. Prima con una monster block in aiuto ai danni di Jimmy Butler, poi con un canestro in fade away dall’altra parte sulla rimessa a tutto campo di Jeff Green. Finale 140-138 per i Cavs, che il giorno dopo erano attesi al tavolo delle trattative prima della chiusura degli scambi e che non hanno certo mancato l’appuntamento.

 

GIOVEDÌ 08 FEBBRAIO – DEADLINE REVOLUTION IN CLEVELAND

In pratica da un giorno all’altro metà degli armadietti nello spogliatoio dei Cavs sono stati svuotati

Chi prevedeva (ad esempio il sottoscritto) una trade deadline sottotono e povera di scambi ha dovuto decisamente ricredersi. O meglio, praticamente fino a due ore dalla scadenza non si era mosso ancora niente ma ad un certo punto si è scatenato il putiferio: i Cavs hanno premuto il bottone rosso e hanno scambiato praticamente mezza franchigia, nel tentativo di invertire una tendenza al ribasso che nelle ultime settimane aveva raggiunto livelli preoccupanti di gioco e risultati.

La prima e più “pesante” mossa è stata la cessione di Isaiah Thomas. L’esperienza del folletto ex-Celtics in quel di Cleveland è stata molto più corta e soprattutto molto, molto più deludente del previsto. Il giocatore non si è mai integrato nei meccanismi offensivi della squadra e in difesa era una passività che i già fragili equilibri dei Cavs non erano in grado di sopportare. Sicuramente le colpe non sono tutte sue: le condizioni fisiche non sono ancora ottimali ed entrare in corsa durante il campionato non è facile, ma certamente i 14,7 punti (oltre a 2,1 rimbalzi e 4,5 assist) con il 36% complessivo dal campo, il 25% da tre punti e un -15 di NetRating con lui sul parquet, non raccontano di un contributo pari a quello che la dirigenza di Cleveland aveva sperato.

Thomas si trasferisce quindi a Los Angeles dopo sole 15 partite in maglia Cavs, assieme a Channing Frye e alla prima scelta 2018 (top-3 protected, anche se sembra decisamente superfluo) dei Cavs, mentre in Ohio arrivano Jordan Clarkson e Larry Nance Jr. Le successive trade della serata hanno visto completarsi lo scenario riassunto nella foto che vedete sopra, per l’analisi più approfondita di questi e degli altri scambi avvenuti ieri vi rimando all’ottimo articolo del mio partner in crime Andrea Cassini.

 

VENERDÌ 09 FEBBRAIO – IT’S LILLARD TIME

Ogni tanto Damian Lillard ci ricorda perchè gli dia tanto fastidio non essere considerato un All Star a tutti gli effetti

Che Lillard sappia fare canestro non è certo una novità, visto che stiamo parlando di un giocatore da oltre 22 punti di media in carriera che in questa stagione sta viaggiando a 25,5 punti ad allacciata di scarpe. Ma alcune volte la sua mano è talmente calda da prendere letteralmente fuoco, anche se forse mai così tanto come nella partita di venerdì notte contro i Kings.

Per l’occasione infatti Lillard ha realizzato un cinquantello tondo tondo (quarta volta in carriera che raggiunge o supera questo fatturato), ma la cosa ancor più degna di nota è che per farlo ha avuto bisogno soltanto di 29 minuti, rimanendo seduto in panchina per l’intero quarto quarto quando ormai la partita era ormai virtualmente terminata. 16 su 26 dal campo, 8 su 13 da tre punti e 10 su 10 ai liberi il dettaglio della sua performance balistica, con il povero DeAron Fox che al ritorno a casa ha avuto bisogno di una dose industriale di Moment per riuscire a farsi passare il mal di testa.

MVP della serata però è stato indiscutibilmente Dave Jorger, allenatore di Sacramento, che nella conferenza stampa post partita ha dichiarato: “I thought we did a super job on him in the fourth quarter, where we held him scoreless.” 92 minuti di applausi…

 

SABATO 10 FEBBRAIO – BELINELLI GOES TO PHILA

belinelli

Il Beli ormai ha talmente tante canotte NBA diverse da aver probabilmente bisogno di un armadio più grande

Golden State Warriors, Toronto Raptors, New Orleans Hornets, Chicago Bulls, San Antonio Spurs, Sacramento Kings, Charlotte Hornets, Atlanta Hawks, Philadelphia 76ers. Questo l’elenco delle squadre in cui ha militato Marco Belinelli, autentico journeyman della NBA. Nove squadre diverse in undici stagioni, per un curriculum che inizia a diventare piuttosto lungo da redigere e che può essere letto da diversi punti di vista.

Se è vero infatti che il Beli non sia mai stato un giocatore sufficientemente “di peso” da entrare nei programmi a lungo termine di alcuna franchigia, è pur vero però che al momento del buyout ricevuto da parte degli Hawks siano state tantissime le squadre a farsi avanti per accaparrarsi i servigi di un tiratore con oltre il 37% in stagione da tre punti (unito al 92% ai liberi), che negli ultimi anni ha dimostrato miglioramenti sensibili anche dal punto di vista difensivo.

La scelta di Belinelli è ricaduta sui Philadelphia 76ers, dove troverà una squadra di indiscutibile talento anche se con poche possibilità di mettersi al dito un altro anello, possibilità che a Boston, Toronto, Golden State o OklahomaCity sarebbero state certamente più alte. Inoltre, la presenza di JJ Redick forse non gli riserverà tantissimi minuti, ma evidentemente Marco avrà fatto i suoi conti. Oppure semplicemente aveva voglia di vedere una nuova città…

 

DOMENICA 11 FEBBRAIO – THE TRUTH WILL LIVE FOREVER

“Thank you Paul Pierce”

Forse Paul Pierce non sarà nella top 5 dei giocatori più forti della storia dei Boston Celtics (personalmente credo di poter mettere davanti a lui Bird, Russell, Havliceck, Cousy, e McHale) ma di sicuro è stato uno dei primissimi in termini di affetto da parte dei tifosi. Pierce ha contribuito ad aggiungere “solo” un banner all’affollato soffitto del TD Garden, ma ha sempre saputo toccare il cuore del pubblico come pochi prima di lui, e la cerimonia di ritiro della sua maglia avvenuta domenica sera è stata particolarmente toccante. Poco importa che i “nuovi Cavs” abbiano scelto proprio questa occasione per venire a Boston e ricordare a tutti che sulla strada per la finale NBA saranno ancora loro l’ostacolo più grande: questa era la notte di Double-P.

Le undici coltellate nella rissa del 2000 dalla quale si salvò per miracolo, il trash talk con Al Harrington nei playoff del 2003, i 41 punti in gara 7 delle semifinali di confercence del 2008 contro LeBron, il Wheelchair Game in gara 1 della finale NBA contro i Lakers, il bacio al logo dei Celtics con la maglia dei Clippers. Per tutto questo e per molto altro Paul Pierce, per citare le parole di Shaq, “is the motherfu**ing Truth” e da oggi lo sarà per sempre.

Nota a margine: a Boston hanno ritirato talmente tanti numeri che tra qualche anno dare una canottiera a tutti i giocatori a roster potrebbe cominciare ad essere un problema…

 

Per questa settimana è tutto, appuntamento tra sette giorni con Andrea e il suo recap della settimana dell’All Star Game. Jorghes out

2 thoughts on “7for7 La settimana in NBA (Ep. 6)

  1. Mi piace quques rubrica, continuate così!

    Ps: quella sugli spurs che si faceva l’anno scorso invece?

  2. Ciao Enzo, grazie dei complimenti! La rubrica sugli Spurs purtroppo al momento è sospesa, non ci sono rimasti abbastanza fan degli Speroni in redazione :D Mai dire mai, comunque

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