Draft

Basandosi su quanto scrivono i dizionari, la traduzione della parola più amata di fine stagione equivale a “schizzo, abbozzo”. La prima stesura di un romanzo, i risultati iniziali di un sondaggio, di un’indagine di mercato, di un progetto.

Apparentemente, il significato del termine draft poco si addice a ciò che rappresenta dall’altra parte dell’oceano. Solo apparentemente, però.

Il draft, altro non è che l’atto da cui prende vita il sogno, con cui si gettano le basi per il futuro, mediante il quale si tenta di costruire un ponte tra un presente arido e deludente e un avvenire florido e vincente. Un abbozzo, per l’appunto.

Il 23 giugno scorso, con le finals appena terminate, al Barclays Center di Brooklyn, New York, andava in scena quello che per molti è stato uno dei draft più ricchi di talento a cui si sia mai potuto assistere. Ora, quasi sei mesi dopo, i risultati iniziano ad intravedersi, stagliandosi sullo sfondo e dandoci qualche indicazione importante.

Si può davvero parlare di classe baciata da una dose di genio spropositata? Oppure le alte aspettative sono state deluse, almeno fino adesso?

“With the first pick of the 2017 NBA draft, the Philadelphia 76ers select…”

Quante volte abbiamo sentito e sentiremo questa frase, seppur con un anno diverso e una squadra che non sempre corrisponderà a quella del Processo? In quante occasioni ci ha destato forti emozioni, speranzosi di essere presenti nel momento in cui si affacciava al pianeta NBA la prossima stella della pallacanestro? Innumerevoli.

Lo scorso anno, mentre la stagione volgeva inesorabilmente al termine, ognuno sognava con immensa trepidazione lo show che avrebbe avuto luogo nell’arena dei cugini dei Knicks. Non si parlava, quasi, d’altro. Nessun evento, eccetto l’ultimo capitolo della trilogia Warriors vs Cavaliers, pareva in grado di offuscare la luce sprigionata dall’imminente draft.

Merito, principalmente, di un uomo. Sapete bene a chi si fa riferimento. Lavar Ball, al secolo il migliore e peggiore sponsor per un figlio. Tra dichiarazioni eccentriche e frasi pronunciate senza particolare vergogna, il padre di Lonzo è stato capace di far fruttare intorno alla manifestazione un hype senza precedenti, giovando allo spettacolo ma, al contempo, mettendo un carico di pressione eccessivo sulle spalle del suo primogenito.

L’ex UCLA è stato il prospetto di cui più si è parlato, per i motivi appena descritti e per quanto fatto vedere con i Bruins. Accanto a lui, un ragazzo di Washington State, Markelle Fultz, atteso al varco come la futura superstar della lega. Fultz e Ball, rispettivamente prima e seconda scelta assolute, Markelle ai 76ers, Lonzo ai Lakers.

Superficiale dire quanto ci si aspettasse dalle due giovani promesse. Forse troppo. Fultz, al momento, non ha potuto dimostrare un granchè, non per colpa sua. Come di consuetudine, nella città dell’amore fraterno continua ad essere in vigore la misteriosa legge che vuole infortunati i rookies appena approdati al Wells Fargo Center. Prima di lui, Embiid (2014) e Simmons (2016). Finirà?

Dall’altra parte degli Stati Uniti, c’è chi sta meglio. Benchè leggermente al di sotto delle aspettative, il rendimento di Ball è stato, fin qui, in linea con il potenziale di una squadra ricca di talento, ma che richiede un’ulteriore fase di sgrezzamento.

La franchigia angelena sta viaggiando a corrente alternata, intervallando serate all’insegna della freschezza propria di un gruppo giovane, ad altre caratterizzate dall’inesperienza. Il play californiano, in ogni caso, sta mettendo a referto numeri importanti, muovendosi vicino alla tripla doppia di media ( 10/7/7).

Tra le matricole su cui erano state poste parecchie speranze troviamo Josh Jackson e De’Aaron Fox, pescati alla numero 4 e alla 5.

Jackson, è stato catapultato in una realtà che ormai da anni ha deciso di puntare sui giovani, sperando in una crescita che possa far fruttare i risultati auspicati. I Phoenix Suns, però, non hanno ancora trovato la retta via. L’unico volto che scalda i cuori dei tifosi dell’Arizona è Devin Booker, un fuoriclasse con la magia che scorre tra le mani.

L’ex Jayhawks proverà ad affiancarlo nella difficile impresa di risollevare le sorti di una franchigia che dai tempi di Steve Nash pare essersi smarrita. Dati alla mano, Jackson non sta sconvolgendo né in negativo né in positivo, portando alla causa Suns 9.9 punti, 3.5 rimbalzi e 1.2 assist a serata.

A condividere uno status simile è Fox, accasato ai Kings di Sacramento. La meno nota delle squadre californiane NBA è un calderone in cui coesistono molteplici voti, vecchi e nuovi, europei e americani. Un palcoscenico senza troppe pretese in cui la guardia proveniente da Kentucky avrà modo di crescere, dimostrando ogni centimetro del talento che madre natura gli ha fornito. Nel frattempo viaggia a 10.4, 2.7 e 4.3 di media.

A metà tra coloro che non stanno facendo terra bruciata al debutto nonostante i clamori della pre-season e coloro che dominano, troviamo un gruppo di rookie entrato nella lega in punta di piedi, senza fare rumore, lontano dai riflettori principali, ma che ora, un passo alla volta, sta conquistando l’attenzione del mondo cestistico.

Frank Ntilikina è arrivato a New York un po’ a sorpresa, suscitando non molto entusiasmo. Un classe ’98 francese la cui unica esperienza da professionista lo ha visto protagonista sul parquet del Rhenus Sport, Strasburgo. Fisico non imponente, esplosività non eccelsa, tecnica da affinare. Insomma, un giocatore tutto da formare. Eppure, in questi mesi iniziali di regular season è riuscito a ritagliarsi il suo spazio, lasciando intravedere sprazzi di un avvenire interessante. Ricordate la reazione del pubblico quando fu annunciato il nome di Porzingis? Tempo al tempo…

A Toronto, invece, hanno puntato su OG Anunoby, svezzato dagli Hoosiers nella terra della pallacanestro, l’Indiana. Mezzi atletici spaventosi ( 203 cm di altezza, 107 kg di peso e 229 cm di apertura alare, più di Antetokounmpo!), buona padronanza dei fondamenti, ottimo tiro in sospensione, seppur da migliorare, grande presenza sia davanti che dietro. In futuro avà diritto alla sua fetta di NBA

Due ragazzi che stanno vivendo una situazione simile a quella di Fox e Jackson sono John Collins e Dennis Smith Jr. Atlanta e Dallas, due mondi in piena fase di costruzione. Collins, insieme a Schroder, è certamente una delle uniche note positive della stagione degli Hawks, solo motivo di fiducia nel futuro.

Lo stesso discorso vale per Smith JR. , ormai proprietario delle chiavi dell’attacco dei Mavericks. Con Novitzki al canto del cigno e con un roster che non spicca per nomi altisonanti, eccezion fatta per Wunder Dirk, il play cresciuto a Raleigh con la maglia di NC State, può diventare il simbolo di una città che ha voglia di tornare in alto. I numeri collezionati fin qui sono notevoli : 14.7 punti, 4 rimbalzi e 4.6 assist.

Infine Jordan Bell, colpo messo a segno dalla dirigenza Warriors alla numero 35. Quando giochi con KD, Klay, Draymond e Stephen la vita deve essere meravigliosa, specialmente se il tuo sporco lavoro lo fai, piuttosto bene.

Adesso, la meglio gioventù.

In ordine di annata è corretto iniziare da Ben Simmons. Draftato nel 2016, la sua prima stagione in the league, di fatto, non è mai cominciata, a causa dei soliti motivi che riguardano Philadelphia. Tassello fondamentale nei meccanismi del processo, il nativo di Melbourne ha già preso le luci dela ribalta. Play, guardia o ala non importa, quel che conta è il suo talento inquantificabile.

Veloce, atletico, fisicamente imponente, alto, esplosivo, intelligente e chi più ne ha più ne metta. Sa fare tutto, o quasi. Uno dei pochi aspetti del suo gioco che è chiamato a migliorare è il tiro in sospensione dalla media e lunga distanza, quest’ultimo praticamente inesistente. Nel caso in cui dovesse riuscirsi, entrerebbe a far parte della cerchia dei giocatori più completi della lega. Un po’ di dati: 16.4 punti, 8.1 rimbalzi, 7.4 assist.

Nella città dei grandi laghi, dal 23 giugno scorso, vive un ragazzo nato a Vantaa. Dove si trova, però, Vantaa? Senza uno smartphone sottomano sarebbe impresa titanica un po’ per tutti giungere alla conclusione che sia una città della Finlandia meridionale.

Lauri Markkanen, il protagonista di questo paragrafo, sarebbe dovuto finire ai Timberwolves, i quali avevano deciso di chiamarlo alla 7, salvo poi inserirlo in una trade che ha coinvolto Butler, approdato a Minnie in cambio del gigante finlandese. Non semplice come palcoscenico quello calcato da chi, a quelle latitudini, ha scritto la Storia con la s maiuscola.

L’ala grande ex Wildcats non ha avuto timori reverenziali, anzi, con the city of wind è stato amore a prima vista. Squadra giovane, nuova e in fase di assemblaggio, i Bulls hanno avuto modo di togliersi qualche piccola soddisfazione, con Markkanen a dettare pallacanestro. Numbers don’t lie: 15.4, 7.6, 1.4.

Inizialmente ci siamo soffermati sulle posizioni più alte del draft, menzionando Fultz e Ball, ma lasciando in disparte il terzo dell’appello: Jayson Tatum. Dopo l’infortunio di Hayward, a Boston ci si stava rassegnando ad una stagione transitoria, buona ma non ottima, propedeutica all’inserimento e al miglioramento dei tanti giovani presenti nel roster.

Sappiamo tutti che le cose non sono andate così. I Celtics sono primi a est, nel bel mezzo di un progetto di cui Tatum è una pedina indispensabile. Di fatto, il ruolo lasciato vacante dall’ex Jazz è stato preso proprio dal classe ’98, meritevole di essersi immediatamente calato nelle vesti dell’universo di Brad Stevens. Le doti tecniche sono di primissima fascia.

Arriva al ferro con facilità, si muove su entrambi i lati del campo, tira sia da dentro sia da oltre il perimetro. Di Jayson Tatum, nonostante tutto, ciò che colpisce è l’intelligenza con cui gestisce la partita, dote che gli permette di giocqre con lucidità, senza volere strafare, mettendo forzatamente in mostra un talento che è in grado di esibire nei momenti cruciali, quando conta davvero.

Dulcis in fundo, due ragazzi dei quali poco si sapeva. Uno proveniente dall’università dello Utah, l’altro dai Cardinals di Louisville. Kyle Kuzma e Donovan Mitchell fino a 6 mesi fa rappresentavano il classico esempio di chi atterra sul pianeta NBA da semi underdog, pronto a giocarsi le proprie carte pur di rimanerci il più a lungo possibile. Oggi,sono i rookie che più hanno meravigliato, sconvolgendo un’intera lega e rubando il cuore di tutti gli appassionati della pallacanestro.

Quando la chiamata giunge da Los Angeles il messaggio è forte e chiaro, soprattutto se il prefisso equivale a quello della sponda gialloviola della città, quella Lakers. Allo Staples Center lo sanno, i lavori in corso dureranno per un periodo di tempo non breve. I carpentieri, però, sono di ottimo livello, conditio sine qua non per un futuro roseo.

Dopo Ingram, KCP, Lonzo e Randle, ecco l’ala grande di Flint, Michigan, il miglior spot per quella che una volta era la casa di Kobe Bryant. Metà regular season è scivolata via dolcemente, e per quanto lo score di squadra sia negativo (18-29), buona parte dei meriti per le tante, incoraggianti prestazioni dei Lakers va attribuita a Kuzma che con 16.7 punti, 6 rimbalzi e 2 assist di media a partita sta facendo valere il prezzo del biglietto.

Potenzialmente è devastante, sia in attacco che in difesa, sia da dentro che da fuori. Le peculiarità tecniche sono simili a quelle di Tatum, con la sola differenza che a sostenerlo ci sono chili e centimetri in più. Per non dimenticarsene, Kuzma è salito sul palco del Barclays Center per ventisettesimo…

A Salt Lake City non hanno fatto calcoli, non era necessario. Dopo un’estate anonima, movimentata solo dall’addio di Hayward e dalla consapevolezza di non poter integrare nel gruppo a disposizione di coach Snyder una superstar, si è puntato sul draft, nonostante una posizione di reclutamento media.

Alla 13 si scommette su Donovan Mitchell. Scommessa vinta. I Jazz hanno trovato un nuovo leader, la figura che mancava per incendiare ulteriormente gli animi di un pubblico caldissimo, il più rumoroso del panorama cestistico americano.

La ricostruzione parte da lui, perchè di altro è presto parlare. E’ vero, la scorsa stagione solo Golden State ha decretato la fine del cammino di Utah verso le finali di conference, tuttavia è altrettanto vero che dare continuità a quanto fatto vedere nel recente passato appare difficile.

Per questo motivo Donovan Mitchell sarà l’attrazione principale, l’uomo destinato a diventare il simbolo di uno stato intero. Il ragazzo originario del Connecticut è un ibrido a metà tra l’atletismo e lo strapotere fisico di Westbrook e la tecnica sopraffina di Curry, doti che gli consentono di fare qualsiasi cosa.

Saltare a rimbalzo, schiacciare, stoppare, tirare da ben oltre i 7,25 metri, servire palle pregiate ai compagni, segnare 41 punti in un singolo match con sei triple. Ah, Mitchell è più “basso” di Kyrie, Steph e Russell. Fino adesso, 19.1, 3.4, 3.4 a serata.

Se il buongiorno si vede dal mattino, il basket ha fatto tombola, trovando una generazione di fenomeni da accudire e far crescere nel miglior modo possibile. Ci aspetta un domani folgorante.

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