Avete presente quando, comodi sul divano, passate due ore godendovi un buon film senza rendervi conto che siano effettivamente trascorsi 120 minuti, rapiti dalla bellezza di ciò che state guardando e ignari del mondo che continua a girarvi attorno?

Lo stesso accade assistendo ad un match dei Golden State Warriors, purtroppo per un periodo di tempo limitato a quattro quarti da 12 minuti ciascuno,in cui ogni secondo è travolgente, magico, evocativo.

Poi, ci sono quei film che alternano scene di azione a momenti di respiro e logica stasi. Ecco, in questo caso vale il paragone con i Rockets di Mike D’Antoni.

Oakland e Houston, Warriors contro Rockets, perchè tutto, ad Ovest, pare ridursi a queste due realtà, tra le più affascinanti della NBA.

Al contrario, la domanda è una sola: riuscirà la franchigia texana a porre fine al cammino dei guerrieri della baia d’oro?

Se la base della NASA ha come ubicazione Houston, la squadra locale non aveva altra scelta se non quella di chiamarsi come quei misteriosi aerei su cui ognuno di noi, da bambino, avrebbe voluto salire, con la speranza di raggiungere la luna. Quest’anno, però, gli aerei di cui sopra, che aerei non sono, hanno seriamente intenzione di salire in orbita, alla scoperta di pianeti inesplorati.

Le fondamenta erano già state poste la passata stagione con l’approdo al Toyota Center di Mike D’Antoni, l’uomo che ha plasmato a sua immagine e somiglianza il nuovo progetto Houston.

La regular season è stata più che positiva, conclusa con il terzo posto nella Western Conference. Superato il primo turno di playoff (sconfitti i Thunder dell’MVP Westbrook), i San Antonio Spurs hanno messo fine alla loro corsa.

In estate, da Los Angeles sponda Clippers, è arrivato Chris Paul, in una trade che ha coinvolto anche Dekker e Beverley e che ha fatto storcere il naso a molti, considerata la presenza ingombrante di James Harden. Torneremo sull’argomento più avanti.

Dopo l’esperimento con i meravigliosi Phoenix Suns di Steve Nash e dei “7 seconds or less”, il coach di origini italiane ha portato all’esasperazione la filosofia del “Runnin’ and Gunnin'”, imprimendola nella testa e nelle mani dei suoi ragazzi.

Tanti possessi, ancor più tiri, una mole di punti impressionante costruita attraverso uno stile di gioco che non ha vie di mezzo: o il ferro o il perimetro.

Mid-range? No grazie. Le uniche eccezioni sono CP3 e l’uomo dalla lunga barba, i quali, qualche volta, esibiscono la licenza poetica per sparare dalla media distanza. Il risultato è che l’ex allenatore di Milano e Benetton sta dando forma, pezzo dopo pezzo, a una macchina da pallacanestro sorprendente, diversa da tutte le altre e che esula dal concetto di basket come lo conosciamo tutti.

Attualmente, i suoi Rockets sono secondi ad ovest, dopo aver abbandonato la testa della classifica al termine di una settimana da incubo, iniziata con le sconfitte contro le due franchigie angelene e conclusa con la caduta alla Chesapeake Energy Arena. Non bisogna, però, farsi ingannare, Houston non è questa.

Maggior numero di triple tentate a serata (43.3), maggior numero di triple messe a referto (15.8), numero uno per punti segnati (115.2) e un plus/minus da invidiare (+8.4). In sostanza, potere all’attacco, il più incisivo e devastante della lega (insieme a quello di GS), logica conseguenza se affidi le chiavi della fase offensiva a James Harden , la punta di diamante di un roster completamente calato nelle vesti del mondo Dantoniano.

Se l’attore principale è il Barba, come detto, Chris Paul è la sua miglior spalla possibile, la seconda donna che ha capito come funziona il gioco e non vuole romperlo. I dubbi erano tanti.

La coesistenza tra i due sembrava impossibile. Mentalità simile, mani d’oro per entrambi, tecnica sopraffina condivisa e grande mania di protagonismo. Beninteso, in accezione non negativa. Parafrasando ciò che avete appena letto, sia James che CP3 adorano tenere la palla in mano e, come è ben noto, la palla è una sola.

Per questo motivo l’ex Clippers ha scelto di fare un passo indietro, permettendo alla guardia californiana di controllare i 2/4 della Spalding arancione a spicchi, accontentandosi dell’1/4 che gli spetta e lasciando agli altri l’ultima fetta, da spartirsi in egual maniera.

A conti fatti, l’equazione funziona, piuttosto bene. L’intesa tra Harden e Paul funziona alla perfezione e, nonostante gli scetticismi della pre-season, con quest’ultimo in campo la squadra gira meglio. Senza il play di Lewisville i Rockets hanno collezionato un record di 11-7, mentre con lui sul parquet lo score è ben più positivo, equivalente ad un inequivocabile 17-2. Meno assist, più difficoltà.

Se alle star conclamate aggiungiamo un cast funzionale all’idea del regista, il prodotto corrisponde ad uno dei migliori in circolazione. Il quintetto titolare, con annesso Ericc Gordon, è tutto in doppia cifra per quanto riguarda i punti segnati.

Ora, però, sorge spontanea una domanda: può Houston surclassare Golden State?
Fornire una risposta è impossibile, sia perchè devono coincidere tanti, troppi fattori, sia perchè non possediamo una sfera magica che riveli il futuro.

Quel che è certo è che i terribili ragazzi di Oakland non sono sazi, anzi. Nell’ultimo mese hanno dominato nonostante l’assenza di Curry, schierando molteplici starting five sperimentali.

Giungendo al nocciolo della questione, il problema di fondo, per gli avversari, è che Golden State può essere battuta solo da Golden State, peccando di sicurezza, presunzione o superficialità, come accaduto nel Giugno 2016. La lezione è stata interiorizzata.

Ogni anno, tra febbraio e marzo, a Hollywood si svolge il gran galà degli Oscar, l’evento più importante della cinematografia mondiale. Tra 6 mesi circa, invece, sapremo con certezza chi avrà trionfato agli Oscar dei playoff. Il musical diretto da Steve Kerr o il western sparatutto di Mike D’Antoni?

Nel frattempo, godiamoci il beneficio del dubbio.

One thought on “Houston Rockets: a caccia dei Warriors

  1. Ho voluto bene a D’antoni nel periodo suns e devo riconoscergli oggi dei meriti difensivi che mai avrei immaginato. Però vedo che quando la palla scotta e gli altri difendono questi non combinano più niente. Ho visto la partita contro Boston e gli ultimi minuti sono stati palla ad Harden che gigioneggia per 20 secondi e poi spara la tripla con mano in faccia. E infatti l’hanno persa facendisi rimontare 26 punti

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