Premessa. Nel corso dell’articolo farò del mio meglio per parlare un po’ anche del resto dei Bucks, ma non vi assicuro niente…

I Milwakee Bucks sono l’epitome dello “small market NBA”. La città è letteralmente quello che è (fidatevi, ci sono passato) e da queste parti un titolo cestistico manca dai tempi di Lew Alcindor e Oscar Robertson, che nel 1971 formavano una discreta coppia play-pivot. Di più, nella fredda città del Wisconsin non si vede un secondo turno dei playoff dal 2001, quando il backcourt composto da Ray “He Got Game” Allen, Glenn “Big Dog” Robertson e Sam “I am” Cassel non era solamente titolare di un terzetto di soprannomi da antologia, ma rappresentava anche il telaio una di una macchina da punti con pochi eguali, che si fermò solo a gara 7 della finale di conference di fronte ad uno spiritato Allen Iverson e altri quattro scelti a caso tra il pubblico dei Philadelphia 76ers.

Oggi i Bucks non sono ancora una contender, ma sono finalmente tornati sulla mappa della NBA che conta e le loro magliette (perlomeno una) non sono più soltanto materiale per collezionisti compulsivi. Il record al momento in cui scrivo parla di 8 vinte e 7 perse non è da far stropicciare gli occhi, ma le prospettive future sono decisamente rosee e anche il presente non è da buttar via.

L’arrivo di Eric Bledsoe rappresenta un’interessante aggiunta e tutto sommato il sacrificio è stato limitato (il contratto in scadenza di Monroe, che comunque era gradito il giusto, più la prima scelta lottery-protected del 2018), Thon Maker cresce tecnicamente piano ma il potenziale c’è eccome e per vedere il roster al completo si attende il rientro di Jabari Parker, che al secondo crociato in tre anni si merita l’oscar della sfiga ma che si spera possa tornare verso febbraio per far vedere l’enorme talento di cui dispone. Ah, ci sarebbe Khris Middleton, un secondo violino da 19/5/5 che però gode di un decimo della considerazione che avrebbe se giocasse per i Lakers o per i Knicks, ma questo è un’altro discorso.

Inutile infatti girarci ancora intorno, il presente e il futuro della franchigia hanno un nome, un cognome e un soprannome. Il passaporto è greco, la maglia ha il numero 34 e con gli indizi ho finito, anche perchè se non avete ancora capito che parliamo di Giannis Antetokuonmpo sinceramente non vi voglio nemmeno conoscere.”The Greek Freak” è un personaggio di culto e, incidentalmente, il giocatore preferito di chi vi scrive e non da ieri, quindi perdonatemi se dai prossimi paragrafi dovesse trasparire un filo di eslatazione mistica.

Cercherò comunque di non esagerare e limitarmi agli aspetti tecnici più significativi che lo riguardano, illustrando i tre motivi (più uno) per cui Giannis può secondo me essere considerato, se non il principale candidato MVP di questa stagione come richiesto da sua eminenza Kobe Bryant, perlomeno l’astro nascente più luminoso della nuova generazione di stelle NBA.

L’attacco in transizione, ovvero “Come vado in terzo tempo partendo da centrocampo”

Se Giannis ha cominciato a far rumore in NBA è stato inizialmente per un clamoroso bagaglio fisico-atletico mai visto nemmeno nella Lega più fisico-atletica del mondo. Il ragazzo, perchè a volte ci dimentichiamo di parlare di un giocatore che deve ancora compiere 23 anni, sembra la riedizione 2.0 dell’uomo vitruviano di Leonardo. Anzi, facciamo 3.0 perchè il modello precedente è già negli archivi alla voce James LeBron.

Altezza 211 centimetri per circa 100 chili di peso (che erano circa 20 in meno al suo ingresso nella Lega, segno che Giannis si è dato discretamente da fare in palestra), spalle da Big Jim, apertura alare di uno pterodattilo e due badili al posto delle mani. In una parola? Unicorno, termine coniato dal grande Bill Simmons per definire appunto i giocatori che rappresentino un qualcosa di mai visto su un campo da basket. Già, perchè mai nessuno aveva visto un giocatore così lungo correre il campo con questa rapidità e leggerezza. Secondo Sport Science, Giannis è in grado di attraversare il campo da un canestro all’altro con soli dieci passi, tre in meno del vostro normale giocatore medio della NBA.

Flashback al 2015, perchè certe cose le faceva già allora. Tipo correre i 28 metri con la palla in 4 secondi netti + schiacciata finale alla “Space Jam”.

Se fino a poco tempo fa queste giocate rappresentavano gemme rare, ormai sono diventate la normalità. Antetokounmpo in transizione non si ferma, a prescindere da quanti e quali uomini si possano mettere a protezione del canestro. Su questo aspetto non si negozia, ma fino a poco tempo fa il greco era limitato da un gioco a metà campo non altrettanto solido ed efficace.

Le penetrazioni al ferro, ovvero “Chissenefrega del tiro da tre”

Il tallone d’Achille di Giannis è sempre stato infatti il tiro da fuori. In realtà lo sarebbe tuttora, peccato che questo non gli impedisca minimamente di dominare. In barba a qualunque assioma di un basket moderno che è sempre più improntato sulle spaziature e sul tiro da tre punti, Antetokounmpo sopperisce alle sue deficienze balistiche con una padronanza di corpo e palla che per un giocatore di queste dimensioni è semplicemente irreale. Se i giocatori gli concedono qualche metro per rimanere a protezione dell’area, lui risponde con un primo passo fulminante per lunghezza e rapidità che gli permette di guadagnare comunque un vantaggio sul difensore. In caso di necessità, può inoltre contare su due mosse speciali da utilizzare come finisher sui malcapitati avversari: la virata e l’eurostep.

Io uno così lungo virare così velocemente non l’ho mai visto, ma magari è colpa mia che ho la memoria corta…

L’eurostep in questo modo lo fanno Harden, Ginobili e Wade. Più Giannis, che però avrebbe un fisico leggermente diverso ma evidentemente nessuno glielo ha mai detto.

Così come per Ben Simmons, che ad oggi deve ancora mettere il primo canestro da tre punti della sua carriera, la mancanza di un tiro affidabile dall’arco non sembra essere un limite alla sua crescita, perchè se da fuori al momento siamo 8 su 27 occorre ricordare che al ferro il greco converte in punti oltre il 75% delle volte (sic). I suoi problemi al tiro sono in parte strutturali (spalle molto larghe, braccia molto lunghe, mani troppo grandi) e in parte dovuti alla pratica, quindi è probabile che in parte possa migliorare ma certamente non sarà mai il nuovo Ray Allen. Anche perchè se dovesse aggiungere anche quello, meglio chiudere e andare tutti a casa.

Il gioco in post, ovvero “Piccoli o lunghi faccio sempre quello che mi pare”

Il vero, decisivo passo in avanti verso l’onnipotenza cestistica Giannis l’ha fatto in post basso. La crescita di tonnellaggio citata sopra gli permette ora di avere una base stabile con cui conquistare una posizione più profonda in vernice. Da lì in poi sono dolori, perchè se marcato da un giocatore più piccolo (ossia in pratica quasi tutti) la lunghezza delle sue leve gli permette di concludere a centro area o verso il fondo riducendo al minimo le possibilità di essere stoppato, mentre se marcato da un lungo più pesante può girarsi e batterlo in rapidità. L’unica speranza è l’aiuto di un altro difensore, ma anche lì non ci sono garanzie perchè Giannis ha imparato a passare la palla con grande rapidità e trovare l’uomo sul perimetro ai compagni appostati dietro l’arco (i Bucks sono settimi per percentuale di squadra da tre con il 38,1%). Insomma, una roba da far venire il mal di testa.

Il povero Crowder, noto come difensore di alto livello, non ha una singola chance di contenere Giannis in post basso. Giro sul perno, estensione piena del braccio e tanti cari saluti ad amici e parenti.

Per gli amanti delle statistiche, Antetokounmpo va in post basso nel 16,5% delle volte e produce 0,96 punti per possesso, un’efficienza simile a quella di giocatori tipo Embiid, Cousins o Aldridge che però non mi risulta siano altrettanto rapidi nel coast-to-coast.

Bonus track: De-fense, ovvero “Ai play rubo palla dal palleggio, i centri li stoppo al ferro”

Di grandi attaccanti nella NBA ce ne sono diversi, anche se al momento il solo Harden fa meglio dei 30,1 punti che Giannis mette a tabellone ad ogni allacciata di scarpe. Ma di grandi attaccanti in grado di essere allo stesso momento l’MVP difensivo dell’intera lega mi dispiace ma c’è soltanto lui. No, nemmeno LeBron è a questi livelli, perchè la rapidità di piedi e le braccia sconfinate del greco sono una combo in grado di cancellare le speranze di grandi e piccini con la stessa disarmante facilità.

Hop-Hop-Gadget-Braccia e palla rubata da dietro a CJ McCullom. Del terzo tempo in contropiede da centrocampo abbiamo già parlato, vero?

Possesso successivo. Quello è Nurkic, il centro degli avversari, che va al ferro per l’appoggio che può chiudere la partit… ah, no.

Ho titolato questo articolo “La rivoluzione di Giannis Antetokounmpo” perchè vederlo in azione mi ricorda moltissimo un altro giocatore, Kevin Garnett, che al tempo fu proprio ribattezzato “The Revolution”. Ho avuto il privilegio di poter ammirare il bigliettone in maglia Celtics nell’anno del titolo 2008 e ricordo bene che rimasi colpito da quanto Garnett fosse rapido (oltre che feroce) pur essendo così lungo. Giannis mi fa la stessa impressione, lanciato in campo aperto o mentre fa la guardia del suo canestro sembra davvero una pantera: nera, bellissima e letale.

Ok, avevo promesso che non avrei parlato solo di Giannis…

… ma parlare dei Bucks senza perdersi nelle meraviglie di Antetokounmpo è troppo difficile, perlomeno per me. La prossima volta giuro che scriverò approfonditamente di quanto Middleton sia uno dei giocatori più sottovalutati della NBA, di come il ritorno di Jabari Parker potrebbe essere il tassello che permetterà ai Bucks di fare il definitivo salto di qualità, di perchè Jason Kidd sia criticato per la mancata esplosione di questo roster, di come l’arrivo di Eric Bledsoe possa essere importante per il gioco di Milwakee e di quanto i vari Henson, Snell, Maker, Brogdon e Dellavedova portino alla causa sera dopo sera senza essere particolarmente celebrati.

O meglio, giuro di provarci di nuovo. Perchè con Giannis non si sa mai…

5 thoughts on “La rivoluzione tecnica di Giannis Antetokounmpo

  1. Per ora è solo un Westbrook più alto. Saprà trovare il suo Durant o proseguirà la carriera ammassando statistiche utili solo allo stipendio?

  2. Ė ovvio che al momento può solo mettere su statistiche…ma stiamo parlando di un ragazzo che gioca a pallacanestro dall’età di 18 anni…sta crescendo e crescerà ancora…ma nessuno in questa lega è riuscito a vincere un anello senza un supporting cast adeguato…vedi i vari lebron, kobe, jordan etc., il ragazzo si farà e ci stupirà ancora più di quello che sta già facendo…

    • Sarà, ma l’ho già sentita, ‘sta storia. Alla sua età Westbrook giocava (male, ma è ovvio) una finale NBA. Tim Duncan, un altro che fino ai 16 anni non sapeva come usare una palla arancione, aveva già vinto un titolo e MVP delle finali.
      Io prima di parlare di fenomeni aspetterei almeno una serie di playoff vinta. Tolti Jordan che è di un altro pianeta e James che è il giocatore più “pesante” degli ultimi 10 anni (e all’età di Giannis di serie playoff ne aveva vinte una mezza dozzina)… forse con Bryant si può fare il paragone, in effetti. Quindi Antetokoumpo ai Lakers e via.

  3. 😂😂…come dicevo prima giannino si farà…e
    Lo spero per noi perché èuno spettacolo vederlo giocare…ma come si suol dire…solo il tempo potra darci le risposte…

  4. Per ora è paragonabile al Garnett di Minnesota, quello dei primi anni (fine ’90 e accavallo 2000). Come KG è entrato nella lega a 19 anni, è presto diventato il fulcro della sua squadra (a proposito di small market… se non altro nella terra dei laghi i più vecchi avevano visto o sentito parlare dei Lakers…) e ammassa delle cifre similari. Insomma, Garnett per Buffa era un velociraptor e qui siamo di fronte ad uno…pterodattilo, tant’è. Continuo però a pensare che per diventare quel tipo di talento (diciamo il KG che ha portato Minnie alla Finale di Conference 2004) non gli servono solo un Cassell e uno Sprewell al fianco, ma deve anche lavorare su un tiro costante dalla media (diciamo quello dal gomito di Kevin?) che ne farebbero un’arma irreale come era Garnett e potrebbero portarlo nell’olimpo NBA. Considerando che Milwaukee gioca ad Est, non è una chimera. A patto di selezionare meglio (o con più fortuna…) al draft e/o acquisendo giocatori nel back-court che facciamo davvero la differenza. Bell’articolo, complimenti.

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