Potremmo esordire raccontandovi del prodigioso talento che ha reso Lonzo Ball uno dei prospetti più ambiti della prossima classe di rookie, oppure potremmo sviscerarne i limiti (veri o presunti), ma quando si parla di Lonzo, c’è un elefante nella stanza, e allora tanto vale partire da questo pachiderma, che risponde al colorito nome di LaVar Ball.

Il padre della stella dei Bruins è assurto all’onore delle cronache per una serie di esternazioni che l’appassionato più distratto avrà derubricato come semplicemente sopra le righe o demenziali, e che invece pertengono a una precisa strategia di marketing che il buon LaVar ha definito e coltivato nell’arco di vent’anni.

A differenza di altri genitori dall’aspetto variopinto, magneticamente attratti da qualunque giornalista nel raggio di chilometri, quest’omone (supera abbondantemente i due metri) con un modestissimo passato nell’NFL (NY Jets e Carolina Panthers) non lascia nulla al caso; ha cresciuto i suoi tre figli con il preciso intento di trasformarli in campioni NBA (non giocatori, campioni!), plasmando l’esistenza della famiglia Ball attorno ad una macchina promozionale per i figli e per il proprio marchio d’abbigliamento, esibito in continuazione in favore di telecamere e social media.

Di matti ed esaltati è pieno il mondo, direte voi, e avreste ragione; ma il signor LaVar si è costruito un’esistenza discretamente agiata nella sua bella casa a Chino Hills, non ha fatto mancare nulla ai tre pargoli (Lonzo è il maggiore, seguono LiAngelo e LaMelo) e l’ha fatto portando alle estreme conseguenze il modello proposto da Richard Williams, che, nella non troppo distante Compton, crebbe le figlie per trasformarle in campionesse di tennis (Serena e Venus).

LaVar è un fanatico del controllo: dice di aver scelto la signora Tina, madre della sua nidiata, in base ad altezza e apertura di braccia, ed è sempre lui a decidere cosa faranno i figli, quanto si alleneranno, come, dove, e con chi. È lui a spararle grosse, imponendo ai figli pressioni immani e uno standard elevatissimo da rispettare, mentre il fallimento non è semplicemente preso in considerazione.

Lonzo Ball è destinato a diventare una scelta top-3 nel draft di giugno (e LaVar si è espresso molto chiaramente sulla destinazione prediletta, ossia i Los Angeles Lakers, che pescano alla due), il massiccio LiAngelo ha già firmato una lettera d’intento per il prossimo anno con UCLA, e LaMelo, che ha solo 15 anni, è dipinto come il più forte dei tre (e a sua volta, è già stato prenotato dai Bruins!).

LaVar Ball non è il tipo d’uomo che si accontenta, o disposto a scendere a compromessi: per gestire al meglio i figli, lui e sua moglie hanno creato un’apposita squadra da iscrivere ai tornei AAU (la Big Ballers VXT, che si ricollega al suo marchio d’abbigliamento), disegnandone il logo e allenandola in prima persona, così da imporre un basket a tutto campo adatto alle caratteristiche del primogenito, Lonzo, supremo contropiedista dalla celestiale visione di gioco.

In vista dello sbarco in NBA di ‘Zo, LaVar Ball ha già creato la Ball Sports Group per gestirne l’immagine con l’agente Harrison Gaines, ha collocato sé e la propria progenie su un piano più alto di gente come Michael Jordan, Steph Curry e LeBron James, aveva sostenuto di attendersi offerte di sponsorizzazione dalle principali firme di calzature sportive che si aggirino attorno al miliardo di dollari, “altrimenti apriremo una società nostra” (al Draft Combine, Lonzo s’è presentato puntualmente con le sue – in tutti i sensi– ZO2, che vengono via per “soli” 495 dollarucci!).

Grazie al successo di Lonzo Ball coi Bruins, il “metodo” è diventato un fenomeno di rilevanza planetaria, e oggi le dichiarazioni eccessive del LaVar, che un tempo riguardavano una cerchia ridotta di persone, sono seguite dagli inevitabili e stucchevoli “dibattiti” televisivi, utili solo ed esclusivamente a far parlare ancora della famiglia Ball, abbigliata, guarda, un po’, col marchio Big Ballers.

Esiste anche un hashtag apposito, #LaVarBallSays, digitando il quale scoprirete le “perle” del decano della famiglia Ball. Più si parla di lui, più cresce il suo core-business, e cioè una specie di scuola basket per giovani campioni, Big Ballers Training, nota nei circuiti della Southern California.

Tanto è sopra le righe il genitore, tanto i tre figli di LaVar sono educati e pacati nei modi. Somigliano forse più alla madre, la silente (ma presentissima) Tina Slatinksy, ed è inevitabile chiedersi cosa passi per la testa di questi adolescenti sovraesposti –anche grazie alle bordate paterne– al giudizio di massa dei social-media, che aspettano solo un piccolo passo falso per trasformarli nei bersagli delle peggiori contumelie.

Le moderne franchigie NBA cercano di prestare la massima attenzione alla componente psicologica dei giocatori che scelgono –com’è normale, visto che parliamo di investimenti del valore di qualche decina di milione di dollari: scegliere un ragazzo instabile, o che soffre la pressione, o ancora, poco interessato alla pallacanestro, può rivelarsi esiziale per tante carriere legate alla sua, a partire da quella del GM, giù-giù fino agli allenatori e gli scout.

Come sarà valutata allora l’intrusività di LaVar Ball, uno che certamente non smetterà di parlare solo perché il figlio avrà “fatto il roster”, e che, nella sua mania auto-promozionale potrà inimicarsi allenatori, avversari e compagni, oltre a generare frizioni con la NBA stessa?

UCLA e coach Steve Alford hanno sposato il brand della famiglia Ball, ricavandone una stagione di successi. Difficilmente funzionerà allo stesso modo nel professionismo, dove il cinismo di LaVar rischia di fare grossi danni. Ball senior antagonizza tutto quel che si frappone tra i suoi figli e le sue idee, com’è già successo, in piccolo, a Chino Hills High School, dove, di fatto, si accinge ad allontanare l’allenatore (tale Stephan Gillings), reo di non avergli aperto la porta dello spogliatoio dopo una partita.

In NBA però, il suo martellamento costante e la sua mancanza di rispetto per ogni figura professionale potrebbe essere fonte di gravi tensioni, perché le 30 franchigie sono da sempre abituate a gestire ego ingombranti e parentadi altrettanto invasivi, ma non in pubblico, e non al prezzo d’essere messe alla berlina. Per giunta, dubitiamo che Nike, Under Armour, Adidas e affini facciano il tifo per lui…

Esistono franchigie propense a cedere, come Cleveland, che ha sempre accordato a LBJ un trattamento speciale e voce in capitolo dove normalmente non gli competerebbe, e altre, come San Antonio e Miami, più rigide e meno inclini a infrangere certe linee di demarcazione (come sanno Dewayne Dedmon e Stephen Jackson).

Cosa succederà quando LaVar deciderà che l’allenatore è un incapace che non usa il figlio nel modo giusto, e lo ripeterà a chiunque lo stia a sentire? Lonzo si emanciperà dal padre, o faranno fronte comune, finendo per deragliare tutti insieme appassionatamente, come degli Stephon Marbury o dei Latrell Sprewell qualsiasi?

‘Zo Ball è chiaramente un prospetto affascinante, uno studente modello e un ragazzo serissimo, ma l’eredità paterna rischia di pesare non poco sul destino di questo giovanissimo giocatore classe ‘97.

Al tennista Andre Agassi ci vollero anni per emanciparsi (e mai davvero fino in fondo) dall’influenza paterna e dell’Accademia del tirannico Nick Bollettieri, tanto ossessiva da averlo spinto a odiare se stesso e lo sport nel quale pur eccelleva. Kobe Bryant è stato usato dal padre Joe per andare a caccia di panchine da allenatore, e anche per questo, i rapporti interni alla famiglia Bryant si raffreddarono assai.

Lonzo (ma anche ‘Melo e LiAngelo) sembrano teleguidati dal padre: gli è stato messo in mano un pallone e hanno fatto tutto quel che serviva per diventare campioni, e in questo senso, tanto di cappello a LaVar: Lonzo è un giocatore di basket nel senso più alto del termine, capisce il Gioco e lo interpreta ad altissimo livello, a differenza di tanti atleti dal decantato upside che però si rivelano puntualmente incapaci di letture qualitative.

L’altro lato della medaglia è che nessuno sa se questi ragazzi saranno capaci di auto-motivarsi quando avranno i milioni in banca e saranno (si spera) lontani dall’influenza paterna; insomma, hanno davvero scelto di dedicarsi anima e corpo al basket, o sono semplicemente finiti nello stesso gorgo dal quale sono emersi Tiger Woods, Serena Williams, Michael Jackson e che invece ha inghiottito tantissimi talenti (sportivi e non) bruciati da genitori troppo smaniosi di vivere la propria rivalsa sul mondo attraverso il successo dei figli?

Nella Pac-12 di Markelle Fultz e durante il torneo NCAA (chiusosi con l’eliminazione per mano di Kentucky), il nostro Zo ha raggranellato buone cifre (14.6 punti di media, 6 rimbalzi e 7.6 assist, mentre UCLA ha chiuso con 31-5) ma esposto un fisico ancora troppo esile, oltre ad una meccanica di tiro brutta da vedere –il che è secondario, come dimostrano le carriere di Kevin Martin e di Shawn Marion– ma soprattutto poco efficiente, se diamo peso al suo 67.3% ai liberi, e poco rapido, il che peserà contro i rapidi close-out NBA.

Fa da controcanto la strepitosa visione di gioco e una facilità di passaggio impressionante (con una o due mani, dal palleggio o meno, non fa differenza), unita ad una naturale propensione per il gioco di squadra e una certa allergia per i palleggi inutili che ne faranno il beniamino di allenatori e telecronisti.

L’impatto di Ball non è solo quello raccontato dai numeri, men che meno da quelli individuali: Con lui, una UCLA ai margini del college basketball che conta è diventata improvvisamente una corazzata vincente e divertente, anche grazie agli intangibles portati in dote da un ragazzo che passa la palla volentieri e con grande costrutto tecnico, oltre a saper tagliare benissimo dal lato debole.

In ottica-NBA, Lonzo Ball è sin d’ora un facilitatore di primo livello, capace di lanciare il contropiede dei compagni con passaggi millimetrici e geniali, o di condurlo in prima persona. Non è, come detto, una sentenza al tiro, ma neppure un giocatore troppo battezzabile, anche perché ha visione di gioco e proprietà di fondamentali tali da battere comunque l’uomo e rendersi pericoloso grazie al suo step-back –meno in entrata, dove fatica a finire nel traffico.

Detto della non debordante fisicità e delle doti balistiche, occorre spendere più di una parola per descriverne l’impatto difensivo, che non è –usiamo un eufemismo– quello del tignoso mastino. Lonzo è un difensore da zona-press, perché ha l’intelligenza per le letture e la rapidità necessaria per questo tipo di meccanismo, ma come marcatore individuale è destinato ad andare sotto con molte guardie più potenti e veloci di lui, e lo abbiamo visto con De’Aaron Fox, che l’ha fatto a pezzi, segnandogli 39 punti in faccia.

Oggi però l’NBA si sta orientando verso uno stile sempre più corale, meno improntato cioè agli uno-contro-uno, e in questo senso, Ball è doppiamente figlio della sua epoca: offensivamente, è un cestista capace di elevare istantaneamente il rendimento della squadra senza accentrare, mentre in difesa, è in grado di camuffarsi all’interno dei meccanismi di aiuto e recupero che vanno per la maggiore.

Non può bastare per raggiungere i piani alti di questa lega (dove contano i dettagli, e le debolezze sono esposte impietosamente), ma si tratta di qualità che gli consentiranno di scendere subito in campo da un livello piuttosto progredito rispetto ad altri ragazzi di talento (come Andrew Wiggins o Brandon Ingram), e quindi potrà rendersi utile anche in squadre non necessariamente orientate al tanking più becero.

Zo è un talento naturale e compatibile con altri grandi giocatori; per questo riteniamo potrà giocare con un centro come Joel Embiid o affianco a play come Isaiah Thomas o ancora, a guardie come Devin Booker (posto che la destinazione più probabile sembra Los Angeles). Va detto però che LaVar è riuscito a imporre un certo tipo di basket (veloce e improntato alla transizione) sia a Chino Hills High che a UCLA (il 30% dei suoi possessi è stato in situazione di transizione), e che Lonzo non è testato in un sistema di gioco diverso da questo. Solo il tempo ci dirà se il fun-and-gun è un modo per nasconderne i difetti, o viceversa, di uno stratagemma per esaltarne i pregi.

Ribadendo una volta di più l’assunto, Ball è un cestista puro, uno che non farà mai numeri da circo fini a sé stessi e tantomeno riempirà l’highlight reel di SportsCenter con qualche tonitruante schiacciata; in compenso, questo ragazzo segaligno vince partite e macina gioco, contribuendo ad esaltare i pregi dei compagni, e innescando quel circuito virtuoso che scatta quando il miglior giocatore del roster è il primo a non dar peso alle cifre.

Silenzioso come Kawhi Leonard, con quegli occhi di ghiaccio che ti trapassano, Lonzo è una scommessa sicura, resa incerta dalla presenza di quel padre-padrone. Fino ad ora, Zo è rimasto silente e ha lasciato parlare il Gioco e, in subordine, il genitore. Per quanto potrà reggere questo fragile equilibrio?

4 thoughts on “Road to the NBA: Lonzo Ball

  1. Per me non vale la seconda chiamata dei lakers, punto.
    Come hai ben analizzato, Ball è stato testato solo in quel tipo di contesto e gioco, è quasi senza tiro per gli standard NBA vista la meccanica e la lentezza del gesto tecnico ed in difesa deve trovare il contesto giusto, come hai detto anche tu, per non fare troppi danni (se subisce 39 punti contro un coetaneo come fox, quanti ne subirà contro un westbrook o un harden? 100?).
    A me ricorda a tratti rubio ed a tratti rondo.

    Pronostico draft
    Forse, e dico forse, i lakers potrebbero anche decidere di passare oltre visto che è un grande punto interrogativo e hanno già Russell nel ruolo e che malaccio non è.
    Molto probabilmente lo prenderà Philadelphia visto che non hanno un play in squadra e che con embiid e simmons sani non gli verrà richiesto di essere il primo violino della squadra.
    Se passano la mano anche loro, potrebbe scendere parecchio in basso, potrebbe crearsi la situazione tipica del drafte cioè le altre squadre potrebbero chiedersi: perché lakers e phila non l’hanno scelto? Sanno qualcosa che non sappiamo? Ma forse questo è troppo fantabasket ahahahaha

  2. A me sembra un “facilitatore” d’alto livello, più che una star classica da NBA, uno cioè che si prende la squadra in spalla e la porta al traguardo; non è necessariamente un male, al giorno d’oggi, in cui conta forse più saper fare tutto che segnare valanghe di punti come ai tempi di MJ o Karl Malone.

    La discriminante principale è psicologica, e quella non la possiamo (ovviamente) conoscere noi, e forse nemmeno i club, visto che, mi diceva uno scout bravino, un paio d’anni fa, che non si conosce davvero un giocatore finché non lo si testa nel proprio spogliatoio.
    Se testa e cuore di Lonzo Ball sono al posto giusto, sul resto si può lavorare: si tratta di chiudersi in palestra e lavorare (sulla meccanica di tiro e sul fisico).

    Chiudo con una nota su D’Angelo Russell; due anni fa, nel suo provino privato a Los Angeles, entusiasmò i presenti (mi è stato detto da un giornalista che era in loco), incluso Byron Scott. Ecco, non è andata proprio come si pensava, e la mia impressione è che non sia necessariamente un cattivo ragazzo, quanto uno che si fa portare alla situazione. Può essere un “pezzo” in una versione vincente dei Lakers, ma mai l’uomo chiave, a mio fallibilissimo avviso.

    Grazie per aver commentato, fa sempre molto piacere avere un feedback!

  3. Per un sistema-Agassi e uno-sorelle Williams che funziona(ha dato dei risultati)bisogna vedere quanti falliscono. La vicenda familiare-sportiva pare interessante, vediamo come si evolve. Ad una rapida occhiata l’ingombrante presenza del padre, il rischio di vedersi in casa uno che stressa la stampa ogni giorno potrebbe far cadere verso il basso le quotazioni-draft di Lonzo perchè una franchigia NBA odia queste cose, ma vero è che il ragazzo sembra buono e di sicuro qualcuno ci punterà.

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