VOTI OTTENUTI: 914,973

ALL STAR GAME DISPUTATI: 1

STATISTICHE STAGIONALI: 10.5 punti, 7.4 assist, 8.4 rimbalzi, col 43.7% dal campo e 1.5 stoppate

Draymond Green non è un giocatore dall’apporto empiricamente misurabile in cifre, che pure ci raccontano di un’ala dal contributo completo e consistente, su due lati del campo. Con quella faccia un po’ così, con intensità e intelligenza cestistica ambedue oltre la media, Draymond è un giocatore che fa la differenza, sempre.

Ventisette anni da compiere tra meno di un mese, Green, alla sua seconda apparizione consecutiva nella Gara delle Stelle, non è quel che si definisce un predestinato, uno di quei giocatori, cioé, per i quali la chiamata all’ASG è automatica (e scontata) conseguenza del proprio inebriante talento.

Draymond rischiò di finire addirittura undrafted, e sarebbe certamente successo se anche i Dubs avessero dato retta a coach Tom Izzo, suo allenatore a Michigan State, che sconsigliava di sceglierlo a chiunque avesse voglia di starlo a sentire, facendolo precipitare fino alla 35esima chiamata!

Dopo due stagioni d’apprendistato in uscita dalla panchina, l’arrivo di Steve Kerr sul pino e il contestuale infortuno occorso a David Lee (nei piani originari di Golden State, sarebbe stato l’ala forte titolare) gli spalancarono le porte dello starting-five, nelle vesti di stretch-four.

Da quel giorno, l’ala di Saginaw non ha mai più lasciato il quintetto di G-State, diventandone uomo-barometro e collante tattico, grazie all’abilità di marcare indifferentemente esterni e lunghi.

Golden State vive delle prodezze balistiche degli Splash Brothers (ora anche di Durant), certo, ma a renderli letali è l’equilibrio che solo Green porta in dote, assieme ad una buona dose di sfacciata cocciutaggine, che gli ha consentito d’issarsi tra i grandi dell’NBA.

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