L’ultima infuocata settimana dei Chicago Bulls è stata all’insegna del caos, tra sconfitte brucianti, panchine punitive e scambi di accuse.

La sconfitta del 26 Gennaio contro gli Hawks, in volata e dopo aver sperperato 10 punti di vantaggio negli ultimi 3 minuti, ha contribuito a scoperchiare il vaso di Pandora portando a galla tumultuosi rapporti personali (quasi) logori.

“Ho 35 anni, ho vinto tre anelli: questa cosa non dovrebbe toccarmi più di quanto lo faccia con loro. Dovrebbero voler cambiare le cose più di me. Venerdì torneremo ancora una volta in campo, con la speranza di conquistare un successo. Qualora questo non accadesse, ci ritroveremo per l’ennesima volta a portare avanti questa situazione nel corso della stagione. Le cose invece devono cambiare. Dobbiamo sentirci feriti da sconfitte come questa. Ma non credo che tutti lo siano. Devono guardarsi allo specchio e chiedersi quanto ci tengono, domandandosi se sono disposti a fare di tutto per i compagni e per loro stessi. La mia risposta è no, non lo stanno facendo”.

Parole e musica di Dwayne Wade, confermate e sottoscritte da Jimmy Butler che ha anche aggiunto qualche apprezzamento tecnico: “Voglio scendere in campo al fianco di ragazzi che ci tengono, che giocano duro, che vogliono fare le cose per il bene della franchigia, disposti a qualsiasi cosa pur di portare a casa la vittoria. È giusto che nel momento in cui hai un tiro aperto devi prenderlo, ma nei momenti decisivi bisogna dare la palla ai giocatori migliori in campo: penso che per prendere dei tiri del genere, è meglio averne realizzati prima tanti altri e aver lavorato tanto in palestra per riuscirci. E io non credo di aver visto abbastanza impegno”.

Divampata la polemica, Rajon Rondo non si è di certo tirato indietro, puntando il dito contro i due leader della squadra con un post su instagram.

“I miei veterani non sarebbero andati dai media, ma dalla squadra. I miei veterani non sceglievano dove e quando si sarebbero impegnati sul serio, ma ci davano dentro ogni volta che entravano in campo, che fosse per l’allenamento o per la partita. Non si prendevano giorni liberi e non si interessavano delle loro statistiche. I miei veterani giocavano per la squadra: quando perdevamo non ci accusavano, ma si prendevano le loro responsabilità e andavano in palestra. Mostravano ai più giovani cosa volesse dire lavorare. Anche a Boston, quando avevamo il miglior record della lega, se perdevamo non volava una mosca nello spogliatoio. Ci mostravano la serietà del gioco. I miei veterani non avevano alcuna influenza sul coaching staff: non potevano cambiare il piano partita perché non andava bene per loro. Ho giocato per uno dei più grandi allenatori, e lui responsabilizzava tutti. Per vincere bisogna essere tutti assieme dal primo all’ultimo: quando isoli tutti, non si può vincere in maniera continua. Io posso essere molte cose, ma non sono un cattivo compagno. Il mio obiettivo è di tramandare ciò che ho imparato. I giovani lavorano. Si presentano e si impegnano. Non meritano di essere criticati. Se c’è qualcosa di discutibile, è la leadership”.

In un’ottica di spogliatoio, i concetti espressi sono quasi ineccepibili anche se Rondo non è certo la persona più adatta a dare lezioni di comportamento, come testimoniano inequivocabilmente sia la sua carriera che la stessa foto postata dal prodotto di Kentucky: non è casuale che nella foto ci siano Pierce e Garnett ma non Allen, membro permanente di quella leadership decantata dal play ma con cui ha avuto più di una divergenza.

Gli altri membri della squadra si sono espressi a suon di like a favore di Rajon, ma in realtà la situazione non è affatto semplice.

Ancora non è chiara l’evoluzione dei prossimi eventi dal momento che l’unica soluzione ora percorribile dal team sarebbe quella di cedere Rondo e sperare che Hoiberg riesca in qualche modo a ricucire i rapporti.

Dal canto suo il coach ha deciso di far giocare i due ribelli in uscita dalla panchina la partita successiva, dicendosi “curioso di vedere le reazioni”: non sarà stato eccessivamente sorpreso, se è vero che Chicago ha perso contro Miami, Butler ha segnato solo un canestro su 13 tentativi e Wade ha fatto più tiri che punti (15 con 17 tiri).

Il curioso triangolo Rondo-Wade-Butler però non deve distogliere l’attenzione dal vero problema dei Chicago Bulls: la leadership è un problema per una buona squadra che vuole fare il salto di qualità e questi Bulls non sono una buona squadra.

Ad oggi la squadra è ottava ed è solo una partita al di sotto del 50%, manca ancora molto e una striscia positiva potrebbe anche portarla ai playoff in sicurezza: scenario poco probabile per chi ha un net rating negativo (-0,7) e, alla fine di un nefasto primo mese dell’anno, è 21° per efficienza offensiva e 13° per efficienza difensiva.

Il problema principale è rappresentato dai numeri insostenibili prodotti dalla fase offensiva: fare canestro è un’impresa e il pessimo 43,4% complessivo dal campo è meglio solamente dei Grizzlies.

Il tiro da tre poi, pietra miliare della pallacanestro moderna, è una vera e propria nemesi per Butler e compagni, (stra)ultimi sia per percentuale (31,5%) che per canestri segnati a partita (6,5). Wade, Rondo e Butler non saranno mai dei tiratori efficienti e Grant e Carter-Williams non riescono ad accendere la luce da dietro l’arco.

Mirotic sta rendendo ben al di sotto delle aspettative e gli altri giovani, Portis, Zipser e Valentine, non riescono ancora a salire di colpi per poter spostare gli equilibri.

In altre parole, i problemi di rapporti e di leadership all’interno dello spogliatoio non sono la causa dei dolori dei Bulls, ma solo uno dei sintomi più evidenti della crisi attuale.

Il campo è il vero tendine d’Achille di Chicago e in particolare la palude dell’attacco creata da un roster male assemblato, senza tiratori e senza specialisti in una NBA ossessionata dai tiratori e dagli specialisti.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.