Soft. Questo l’aggettivo che Steve Kerr e Steph Curry hanno scelto per descrivere l’approccio dei Warriors a gara 3. Ma come sempre, nello sport come nella vita, il difficile è tracciare una linea tra i meriti dell’uno e i demeriti dell’altro. 

La reazione dei Cavs è stata vigorosa, di quelle che non lasciano adito a repliche, seppure con una partita di ritardo. Un gancio alla tempia; Golden State si è fatta trovare con la guardia abbassata.

La squadra ha la tendenza a ammorbidirsi dopo le vittorie, lo stesso Kerr l’ha ammesso in conferenza stampa ricordando i precedenti con Rockets, Blazers e Thunder. L’avevamo notato anche su queste pagine, sorprendendoli a specchiarsi nella loro bellezza all’esordio delle finali di Conference. 

La stessa, innocente supponenza di Steph Curry che alla domanda “cosa avete imparato dalla rimonta sui Thunder” sgranava gli occhi e rispondeva: “actually, nothing”. Sono cose che capitano quando vinci senza sforzo, fatichi a trovare avversari all’altezza e l’appagamento incombe – ogni riferimento al supereroe malinconico di One-Punch Man è puramente voluto. 

Insoddisfatti della resistenza offerta dai Cavs, dopo gara 2 si erano attardati a attaccare briga coi grandi del passato; non contento del paragone coi Bulls e delle risposte piccate di Jordan e Pippen, stavolta Klay Thompson ha stuzzicato i Lakers dello Showtime guadagnandosi la replica di Magic Johnson. O forse si erano distratti a intrattenere Neymar, ospite di lusso negli spogliatoi della Oracle Arena.

Fatto sta che il colpo di coda dei Cavs è arrivato e li ha travolti con più veemenza delle aspettative. Si è tanto parlato dell’assenza di Kevin Love, impegnato col protocollo di rito per i postumi di una commozione cerebrale. 

Difficile quantificare quanto il suo mancato apporto in attacco sia compensato dalla difesa, obiettivamente migliore senza lui in campo; quel che è certo è che Tyronn Lue è stato costretto a mischiare le carte, a mostrare che non è solo un fantoccio manovrato dalle dita di coach James. 

Quando lo stesso LeBron nel prepartita ricordava ai media di avere un allenatore e che si sarebbe attenuto alle sue indicazioni, molti sovra-analizzavano e interpretavano: mette le mani avanti, sale sulla scialuppa come il peggior Schettino. Invece il messaggio non si prestava a letture tra le righe; era semplice fiducia. 

Richard Jefferson è l’uomo giusto per far quadrare il quintetto; King James prende in consegna Green per poi cambiare su Curry, occupandosi personalmente di entrambi i terminali del pick ‘n roll più temuto della lega; Tristan Thompson allontana Andrew Bogut dal ferro, poi conquista il tabellone manu militari – tra tutte le statistiche in risalita che vi raccontiamo qui, spiccano i suoi 7 rimbalzi offensivi sull’abnorme cifra di 17 opportunità guadagnate, ovvero: metodi alternativi per arginare il contropiede. Questi gli aggiustamenti di coach Lue, che Steve Kerr ha riconosciuto e apprezzato.

A proposito di statistiche, quelle dei Warriors sono meno confortanti. L’offensive rating scende in picchiata a 92.4, la percentuale effettiva dal campo non supera il 50%, perdono 18 palloni che generano 34 punti, concedono 54 punti nel pitturato, 23 su second chance e 15 in contropiede. 

Harrison Barnes fa il suo dovere nell’inedito ruolo di bocca da fuoco, ma i suoi 18 punti pesano poco, sono quelli che Cleveland accoglie volentieri. 

Continua a preoccupare il rendimento degli Splash Brothers; totalizzano un complessivo 10/26 dal campo con 4/16 dall’arco, ma i meriti dei Cavs sono evidenti. La difesa mostra miglioramenti, complice il jolly Jefferson e un Tristan Thompson più concentrato. Vediamo qualche esempio nel dettaglio.

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Qui il close out di James è ottimo, al termine di una solida rotazione

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Thompson fa altrettanto; se in palla, può avere il ruolo di Steven Adams nei Thunder. Stanotte si è prodotto in asfissianti ball denial sull’omonimo e raddoppi lontano dalla palla – sì, siamo arrivati a questo – su Steph

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Una lettura dei blocchi intelligente permette a Smith e  Jefferson di costringere Klay a un pessimo tiro

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Qui Irving perde un po’ la bussola, ma ci interessa altro. Anziché forzare il cambio Smith insegue Klay e Tristan Thompson ha la posizione giusta per raddoppiare. In gara 1 e 2, questo taglio era una scampagnata verso il ferro

I problemi di comunicazione sui cambi e sui tagli senza palla dei Warriors sono lontani dall’essere risolti, non si diventa ottimi difensori di squadra in una notte e Irving bisticcia coi propri tempi di reazione finendo spesso per perdere l’uomo. Lue insabbia la questione portando più pressione sul portatore di palla, close outs più tempestivi e negazione del contropiede. L’atteggiamento sui blocchi è meno rigido, LeBron ha luce verde per guidare i compagni. I risultati si lasciano guardare.

Da dove riparte Golden State? Elementare, Watson: da Steph e Klay. Impensabile scrollarsi di dosso la ritrovata combattività dei Cavs con loro due a mezzo a servizio.

 Curry ha avuto una di quelle serate storte in cui gli acciacchi paiono limitarlo più del dovuto. Thompson ha stretto i denti dopo essersi stampato su un blocco del redivivo Timofey Mozgov, ha giocato una partita agguerrita ma con le frecce spuntate. “Kind of dirty”, ha etichettato l’intervento del russo ponderando bene le parole, ma c’è da credere che non accuserà a lungo la contusione alla coscia. È una specie di Terminator, dopotutto; lo dice il suo stesso GM Bob Myers. 

Per far evadere gli Splash Bros dalla gabbia serve tutta l’abilità in cabina di regia di Draymond Green. Se James continuerà a contrastarlo con l’efficacia di gara 3, Kerr dovrà rivolgersi alle arti di Andre Iguodala, il vassallo più affidabile a cui un Re può inviare il suo sigillo. 

Il suo ruolo nella death lineup sarà cruciale, ha la capacità di far collassare la difesa dei Cavs negli spazi che inevitabilmente gli concederà, e non c’è ragione che Kerr insista con Bogut ora che il collega Lue ha puntato tutte le sue chips su Tristan Thompson e sfrutterà l’eventuale rientro di Kevin Love in un ruolo di rincalzo. 

Lo scorso anno le Finals svoltarono in gara 4. Cleveland finì la benzina nel serbatoio, certo, ma i Warriors gli dettero una bella spinta in direzione del precipizio imponendo lo small ball fin dalla palla a due. Staremo a vedere. Intanto l’immagine simbolo di gara 3 è il ritrovato hustle dei Cavaliers, persino a gioco fermo.

BONUS TRACK: l’anno della prima apparizione alle Finals di quest’uomo i Coldplay erano ancora quelli di Troubles, The Rock elettrizzava i ring di wrestling invece dei cinema e l’Italia calcistica perdeva ai mondiali con la Corea del Sud. Livello nostalgia: Jefferson Airplane.

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3 thoughts on “I Warriors dopo Gara 3: Cleveland hustle

  1. Mamma, butta la pasta. Gli arbitri hanno avuto mandato di lasciar picchiare, cosa che avrebbe dovuto favorire la squadra più grossa (Cleveland) e cosa ti combinano gli amici di LeBBron? 15/26 ai tiri liberi. Sommato al fatto che finalmente Golden State di becca da 3 (più grazie a buchi difensivi dei Cavs che alla solitamente ottima circolazione di palla), è andata bene perdere di 10. Panchina dei Warriors sontuosa: Livingston come play è 10 volte meglio di Curry.
    MVP della serie, nonostante i bassi, Green: se gira lui sono imbattibili.

  2. Si, arbitri davvero un troppo ciechi. Mazzate e atterramenti che sembrava football, avranno confuso sport.

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