I Golden State Warriors dell’anno di grazia 2016 sono un demone dalle molte facce. Credi di averli finalmente capiti, di averli colti in fallo, e loro ti ribaltano la frittata sotto al naso.

Dopo una gara 1 stonata agli uomini di Steve Kerr è sufficiente accordare gli strumenti per tornare a esprimere la pallacanestro da bava alla bocca delle 73 vittorie stagionali.

Recuperare il ritmo perduto non è impresa facile, i Thunder si oppongono con la consueta ostinazione, ma i Warriors hanno preso in prestito un mantra dalle antiche arti belliche cinesi: “conoscere l’altro e se stessi, cento battaglie senza rischi”.

Certe volte s’invaghiscono del loro stesso riflesso, come accaduto in gara 1, ma una squadra vincente ha un’altissima percezione dei propri pregi e delle proprie potenzialità. Un’autocoscienza che permette a Golden State di inserire il pilota automatico, e con pazienza, andare alla ricerca delle chiavi per aprire quelle serrature finora rimaste chiuse.

Come in un gioco di ruolo, Oklahoma City è il minaccioso guardiano e ogni soluzione tattica di Billy Donovan è una missione da superare nel cammino per la redenzione.

Prima di intraprendere il rito, in ogni storia che si rispetti serve un’abluzione, un bagno d’umiltà. Se Steph Curry è inseguito da Adams fin sul perimetro e marcato stretto da Westbrook, l’MVP non s’intestardisce in iniziative personali.

Coinvolge i compagni e si affida a Draymond Green come perno dell’attacco; lui, Klay Thompson, Andre Iguodala e Harrison Barnes attaccano con rinnovata risolutezza gli spazi liberati da Curry.

Se Donovan insiste col quintetto lungo e Enes Kanter a fare il terrorista a rimbalzo, Steve Kerr applaude il collega e scende a compromessi; tanti minuti a Festus Ezeli, Marrese Speights e persino un’apparizione per Anderson Varejao.

Conosce le sue truppe e sa che non hanno paura di sporcarsi le mani quando necessario. Non esagera col quintetto piccolo e non ripropone la death lineup, non è più convinto di poterla portare a casa rinunciando alla lotta a rimbalzo. Pesca tra i personaggi meno raccomandabili della propria panchina e, soprattutto, sprona i suoi a giocare col sangue agli occhi.

Il risultato è impressionante. Golden State non solo regge il confronto sotto canestro ma lo vince per 45 a 35. Quando hai giocatori versatili, intelligenti e pronti a obbedire tutto riesce più facile.

Thompson e Iguodala padroneggiano l’arte del play big e stavolta non si tirano indietro. Fanno massa nel pitturato, spingono via i lunghi avversari anche a rimbalzo offensivo (10 all’intervallo) e forzano il contropiede.

I Thunder sono attenti, spesso lo fermano sul nascere, ma più corrono in transizione e più i Warriors ritrovano familiarità col loro ritmo. I primi due quarti sono spigolosi, col punteggio in equilibrio e tante palle perse da entrambe le parti.

Russell Westbrook litiga col pallone e con gli arbitri, Draymond Green ce l’ha con qualsiasi bipede che passi sul parquet e i grigi fanno finta di non vedere le sue abbaiate nelle orecchie degli avversari. È pallacanestro da playoff, dopotutto.

Durant s’incendia con un secondo quarto da 16 punti ma Golden State chiude con un 8-0 di pura cattiveria. È l’inizio della fine per i Thunder che rientreranno dagli spogliatoi con più dubbi che certezze.

Il cattivo umore di Westbrook è contagioso, e se è vero che gli autentici leader si vedono quando le cose vanno male, lui non fa nulla per identificarsi nella descrizione.

Innervositi e distratti, le maglie della difesa sul perimetro infine si aprono; tanto basta a Steph Curry per segnare 15 punti consecutivi e consegnare la partita al più classico dei garbage time.

L’attacco di Golden State, quando gira a dovere, è un’idra a più teste. Ti affanni per tenerle tutte a bada, ma alla fine le triple di Steph affondano il morso velenoso.

La reazione dei Warriors è stata da campioni di razza e ha spazzato via buona parte delle perplessità sul loro conto. Più che gli aggiustamenti operati da Steve Kerr, saggio nell’adattarsi alla stazza degli uomini dell’Oklahoma, ha impressionato la capacità della squadra di riunire corpi e menti in un sol uomo a sfruttare con precisione chirurgica i propri punti forti.

Hanno superato gli avversari in ogni aspetto dell’incontro, un dato incoraggiante, ma rimangono alcuni problemi insoluti.

Al di là dell’occasionale raddoppio Kevin Durant gode di libertà d’azione. Batte in altezza o in agilità il diretto difensore e fargli prendere fiducia può essere letale in vista degli scontri da giocarsi alla Chesapeake Energy Arena.

Se c’è un pregio che Billy Donovan ha infuso ai suoi Thunder è la chiarezza d’idee in un attacco già semplice. Ognuno ha un compito; c’è chi lo svolge a meraviglia come Steven Adams o Andre Roberson, motivato dal coach a tirare e attaccare il canestro con buoni risultati, e chi sembra ancora fuori luogo come un trascurato Serge Ibaka, ma se la macchina va fuori giri è solo perché costretta, nel bene o nel male, a dipendere dalle lune di Westbrook.

Su di lui la difesa fa un buon lavoro, Draymond Green gli toglie la luce dal canestro con la consueta tempestività, ma Oklahoma City non può permettersi più di un paio di partite sottotono dalla sua guardia tuttofare – 12 assist stanotte, ma solo 1 rimbalzo.

La serie, ad ogni modo, ha preso fuoco. Merito anche delle esternazioni poco felici del rugbista mancato Steven Adams; un bravo ragazzone ma un po’ ingenuo, più affine alle problematiche razziali della natia Nuova Zelanda rispetto a quelle degli Stati Uniti a giudicare dall’epiteto “quick little monkeys” riservato alle guardie di Golden State.

Ma al di là delle immancabili manfrine mediatiche è sul parquet che il gioco si è fatto duro, e i Thunder non vedono l’ora di aggiungere all’equazione il calore del pubblico di casa.

3 thoughts on “Warriors in fuga per la vittoria: 1-1

  1. Un post molto pro-Warriors. Cos’è mancato ai Thunder per replicare gara 1?
    Grazie!

  2. Grazie! Scusa per la risposta tardiva. Anche alla luce di gara 3, direi che la differenza tra le prime due partite è stata tutta nell’intensità. Quando i Thunder viaggiano a pieni giri finora sono stati superiori. Tutto sta nel vedere chi riesce meglio a reggere questo ritmo.

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