Gara 4 doveva essere la partita della verità per gli Houston Rockets, l’occasione per riaprire definitivamente una serie che dopo i primi due episodi sembrava già pronta per essere archiviata sotto la voce “passeggiata”, e che Gara 3, vinta in casa, poteva aver riaperto.

È stato un match onestamente bruttino, spezzettato dai vari hack foul (su McAdoo, Ezeli e Howard), arbitrato maluccio da Zarba e soci, ma nel quale Houston ha iniziato con il piglio giusto, approfittando della titubanza di Steph Curry (per lui, 2-9 e 1-7 da tre), chiaramente lontano dalla miglior condizione, e da un approccio approssimativo di tutta Golden State, che ha cercato intensità anche in fondo alla panchina, dando minuti presto sia all’ottimo Ian Clark (che ha risposto presente) che a J.M. McAdoo.

Pari a fine primo quarto, e di nuovo a fine primo tempo, grazie a una prodezza balistica di James Harden, sembrava che Houston potesse, in effetti, pareggiare la serie, cavalcando il proprio strano (ma in questo caso efficace) ritmo sincopato, i tiri liberi e gli assist del Barba, e la conferma, dopo Gara 3, del buon momento di Dwight Howard (18 punti e 15 rimbalzi).

In più, sul finire del secondo quarto, Curry è scivolato su una pozza umida che un istante prima aveva fatto cadere anche Donatas Motiejunas; risultato: Curry ha iper-esteso il ginocchio, e, dopo aver tentato di rientrare provando la tenuta della giuntura durante l’intervallo, i Warriors hanno preferito non rischiarlo.

Sembrava che tutto si stesse mettendo sui binari giusti per i Rockets, che, certo, avevano perso in precedenza Pat Beverley (per il riacutizzarsi di un problema al ginocchio che lo infastidisce dal pre-partita di Gara 3), ma avevano 24 minuti, senza il pericolo pubblico n.1 (e con Bogut con 5 falli), per cercare il 2-2 davanti al pubblico del Toyota Center.

In realtà, Houston è uscita dallo spogliatoio completamente piatta, mentre i Warriors, complice la scelta di usare per più minuti Speights, hanno finalmente trovato il ritmo che gli era mancato nel primo tempo (complici anche i tanti viaggi in lunetta da una parte e dall’altra, che inevitabilmente tolgono la possibilità di cercare il fast-break). 

Risultato? I Rockets sono andati giù al primo pugno, e non si sono più rialzati, subendo un 41-20 (nel solo terzo quarto!) del tutto inspiegabile dal punto di vista tattico.

Certo, Capela è stato fatto a pezzi da Mo Speights (che, con un Andre Iguodala da 22 punti, si conferma parte vera di una squadra autentica, e non solo un giocatore di rotazione, o un “situazionista”) e sono piovute triple da ogni dove (21-40 alla fine, ed è record NBA per i Playoffs), ma questo non spiega per quale motivo Houston si sia sostanzialmente arresa senza lottare, smettendo completamente di fare close-out, subendo canestri imbarazzanti senza dare l’impressione di volersi battere e accettando la disfatta.

Se il giocatore che vende più cara la pelle è il buon Donatas Motiejunas (serio professionista, bravo ragazzo, ma non esattamente un feroce agonista), è chiaro che c’è un problema, e se Bickerstaff era in bilico già prima che la serie iniziasse (ci dicono le nostre fonti), ora è chiaramente con un piede già oltre l’uscio, ma non basterà cambiare il terzo allenatore in altrettante stagioni per invertire la tendenza.

Anziché lottare attraverso un inizio di secondo tempo, tutti i Rockets, Harden in primis, hanno tolto le mani dal manubrio, dimostrando un’arrendevolezza sconcertante. 

L’immagine del Barba, panchinato a metà quarto periodo, è la fotografia di un giocatore che si è limitato a sparacchiare tiri opinabili, anziché lottare attraverso le avversità. Il numero 13 biancorosso chiude con 18 punti, 10 assist, 7 rimbalzi e altrettante rubate, ma quando la squadra aveva bisogno di lui (non per forza con i punti, ma anche con qualche giocata intensa) ha marcato visita.

Quando avremmo dovuto alzare l’intensità, ci siamo arresi” ha dichiarato uno scoraggiato J.B. Bickerstaff; “Quando il loro leader si è infortunato, si vedeva nei loro occhi la determinazione, e quando avremmo dovuto pareggiare la loro intensità, semplicemente non lo abbiamo fatto”.

Con il Toyota Center già semideserto a metà quarto periodo, i Warriors hanno dato minuti ai panchinari all’interno di un maxi-garbage-time difficilmente pronosticabile quando Curry lasciava il campo dolorante, una ventina di minuti prima. Klay Thompson ha risposto alla grande, con 4 delle sue 7 triple nel decisivo terzo quarto, mentre Draymond Green (18 punti, 8 rimbalzi, 6 assist e 4 rubate) si è riscattato dalla negativa Gara 3.

Gara 5, in programma mercoledì, ad Oakland, difficilmente vedrà Curry in campo, anche perché la priorità di Steve Kerr e Luke Walton è quella di preservarlo in vista del proseguio dei Playoffs, posto che battere questa Houston, in casa, non pare onestamente un’impresa proibitiva. 

La preoccupazione è naturalmente tutta rivolta al recupero del fenomeno di Akron, che ora assomma due infortuni nello spazio di una settimana, ed era sembrato parecchio esitante, oltre che privo di ritmo.

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