Tra tutte le storie NBA di re-location, cambi di nomi e livree, quella di Charlotte è certamente tra le più belle.

Gli Hornets originali erano stati creati nel 1988, e tra le loro fila hanno militato giocatori come Alonzo Mourning, Glen Rice, Vlade Divac, Anthony Mason; il problema era il proprietario della franchigia, George Shinn, assai mal visto in North Carolina, tanto che decise di spostare la franchigia in Louisiana.

L’NBA tornò in città nel giro di due anni grazie l’ultima espansione voluta da David Stern, portando il numero di franchigie alle 30 attuali.

I Charlotte Bobcats (non potevano chiamarsi Hornets, perché in quel momento logo e nome appartenevano ai New Orleans Hornets) però non erano esattamente all’altezza dei loro antenati.

Diretti inizialmente da Bernie Bickerstaff (il padre del J.B. che allena i Rockets), e di proprietà di Bob Johnson (fondatore di BET, un canale TV abbastanza triste, il cui principale vanto è di proporre solo attori e cantanti neri), i Bobcats erano una mezza barzelletta.

Ceduta la proprietà della squadra a Michael Jordan, raggiunsero per la prima volta i Playoffs, e, tra alti e bassi, iniziò ad intravedersi un progetto, grazie all’assunzione di Rich Cho come GM (il precedenza aveva ricoperto il medesimo incarico a Portland), e di Steve Clifford come allenatore, oltre alla selezione al draft di Michael Kidd-Gilchrist, e di Kemba Walker.

Con una mossa tesa a strizzare l’occhio alla nostalgia, MJ approfittò del cambio di nome di New Orleans (divenuti Pelicans) per restituire a Charlotte gli Hornets (non solo il nome, ma anche la storia passata, come se non ci fosse soluzione di continuità tra i vecchi e i nuovi Calabroni), e da quel momento, la marea è cambiata.

Gli Hornets hanno iniziato il loro 2015-16 senza grande attenzione mediatica; erano una squadra difensivamente forte, ma non valevano altrettanto nell’altra metà campo. In realtà le manovre estive del front office e il lavoro dello staff tecnico hanno permesso di passare nel giro di pochi mesi da un OffRtg di 97.6 all’attuale 104.5, col 35.8% da tre, contro il 31.8% dell’anno scorso.

Vedendoli giocare, è subito chiaro che tutti i giocatori di Charlotte sono “willing passers”, hanno sempre la testa alta, cercano i compagni come prima opzione.

I lunghi, specialmente in post medio, seguono i tagli dei compagni a tal punto, che spesso diventano dei semplici specchietti per le allodole (o “decoy”, come direbbero gli americani) che attirano attenzioni e poi scaricano la palla.

In tutto questo, il merito va equamente diviso tra i giocatori (che scendono in campo con il giusto approccio), il management, e ovviamente lo staff tecnico.

cliff8678Steve Clifford non è l’allenatore più fascinoso del circo NBA, ma d’altronde, era difficile attendersi qualcosa di diverso da uno che è cresciuto alla scuola dei fratelli Van Gundy, dai quali ha imparato a far parlare i fatti, anziché i proclami.

L’uomo da Island Falls, Maine, ha alle spalle una lunghissima gavetta da assistente (aveva allenato solo in Division II), durante la quale ha consolidato la nomea di solido coach difensivo, alla Thibodeau. Quest’anno però, sta facendo vedere anche un bell’attacco, spaziato e veloce, gradevole da vedere.

Merito suo, dicevamo, ma anche del General Manager, Rich Cho, che quest’anno ha aggiustato il tiro, scambiando Noah Vonleh per ottenere Nicolas Batum, rapidamente impostosi come caposaldo della franchigia, oltre ad aver firmato da free agent Jeremy Lin, Tyler Hansbrough e Jeremy Lamb.

Clifford non ama fare la balia ai rookies, e infatti Frank Kaminsky ha visto tanta panchina (oltretutto è chiuso dalla presenza di Spencer Hawes, arrivato subito prima del draft), e si è dimostrato meno pronto di quanto scout e front office avevano sperato vedendolo all’opera con la maglia di Wisconsin.

Certi errori e distrazioni sono l’inevitabile prezzo da pagare, ma già l’anno prossimo, completato il proprio apprendistato, Frank the Tank sarà pronto per un contributo più continuo.

Se Hawes è solo un tiratore, Kaminsky ha infatti molte più doti e talento; oltre al tiro, ha tantissimi centimetri, legge il gioco e sa passare benissimo la palla, tutte qualità che ne fanno un fit perfetto per Charlotte. Con la maglia dei Badgers, Frank era l’epicentro dell’attacco, e questo non è ovviamente più possibile in NBA, ma il vero, grande aggiustamento, dovrà riguardare la metà campo difensiva.

Charlotte però non è più costretta a pensare solo al futuro: con un solido record di 39-30, maturato migliorando di mese in mese (sono 15-4 nelle ultime 19 gare), l’obiettivo è conquistare il seed più alto possibile per i Playoffs, e magari –l’appetito vien mangiando- anche vincere la Southeast Conference.

Hanno appena battuto la concorrente diretta, Miami, recuperando uno svantaggio di 15 punti, ma restano terzi, ad una partita dagli Heat, e a 1.5 da Atlanta, perché subito dopo la vittoria contro i rivali, è arrivata una inattesa sconfitta contro i Nuggets, emblematica del tanto lavoro che c’è ancora da fare (per l’ennesima volta, si sono trovati a rincorrere molto presto), ma Charlotte è nondimeno una formazione costruita con criterio, bilanciata.

Non eccellono in niente (se non la difesa), ma sanno fare bene tutto, corrono, hanno tiro, sanno usare il post medio e il post basso, muovono bene la palla e proteggono il verniciato, portano dei raddoppi efficacissimi lungo i bordi del campo, oltre a giocare bene sulle linee di passaggio, senza esagerare con l’azzardo.

Coach Clifford, che questa difesa l’ha costruita, è estremamente vocale quando la squadra è nella propria metà campo; chiama lo show forte sul pick-and-roll, invita i giocatori ad essere aggressivi. In attacco invece si limita a chiamare gli schemi, e poi lascia fare i giocatori. Il risultato di questo approccio è che gli Hornets giocano l’uno per l’altro su 28 metri, hanno chiaramente piacere a giocare insieme, e sanno cosa stanno facendo.

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Sovraccaricano il lato forte e ribaltano su quello debole per trovare l’uno-contro-uno oppure il tiro, sotto canestro cercano l’hockey-pass, ricorrono a situazioni di “drag” (pick-and-roll in contropiede) e provano sempre a entrare nell’attacco senza perdere secondi preziosi; insomma, sanno quali sono i loro punti di forza, e cercano di sfruttarli senza forzare troppo.

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Con un mix di lunghi dagli ottimi fondamentali (Big Al è un’enciclopedia di post basso, Zeller è il classico giocatore bianco tutto tecnica, un po’ legnoso, ma affidabile), un’ala elegante e dal gran tiro come Marvin Williams, Charlotte è in grado di essere pericolosa dal gomito, in post basso, e anche dietro la linea del tiro da tre (Williams ha il 41% sul catch-and-shoot da tre, situazione nella quel riceve dopo aver fintato il blocco per poi aprirsi dietro l’arco).

Sul perimetro le guardie sono giocatori intercambiabili e ben assortiti; Courtney Lee e Kemba Walker difendono egregiamente, non vantano grande taglia ma in compenso sono capaci di giocare benissimo assieme e di alternarsi con e senza palla.

Kemba-Walker-e1455979588759Nelle 15 gare giocate in maglia Hornets, Lee sta tirando con il 41.9% da tre, ma a meritare la menzione d’onore è ovviamente Kemba Walker, autore di una stagione stellare.

Snobbato nelle selezioni per l’All Star Game, il campione NCAA 2011 questo mese sta viaggiando a 25.2 punti, 6.4 assist e 5.5. rimbalzi, con il 47% dal campo e il 41% da tre (forse memore dei suoi exploit marzolini con la maglia di UConn), cifre che stanno trascinando Charlotte in quest’esaltante finale di Regular Season.

Kemba “usa” solo il 26.5% dei possessi degli Hornets, ma quando ha la palla, è sempre pericoloso. È cresciuto esponenzialmente nel tiro dalla lunga distanza (centrerà qualcosa la presenza di un grande coach di tiro come Adam Filippi?), è sempre aggressivo e se trova una linea di penetrazione attacca il ferro (tira 5.5. liberi ad allacciata, massimo in carriera per distacco).

Walker e Nicolas Batum sono l’asse attorno al quale ruota l’intera squadra. L’ala francese prelevata da Portland in estate (in cambio di Noah Vonleh) ha trovato quello spazio che ai Blazers non poteva avere, complice la presenza di Aldridge e Lillard. Rich Cho e il suo assistente Chad Buchanan, che avevano già lavorato con lui, l’hanno voluto ed eletto giocatore-collante della squadra, un fantastico swingman che fa un po’ tutto e lo fa benissimo, in attacco e in difesa.

Gli Hornets però non sono solo quintetto: alle spalle degli starters (Cody Zeller, Williams, Batum, Lee e Walker) la Swarm Force One propone spesso una sfida improba per le second-unit avversarie; Al Jefferson, reduce da una stagione martoriata dagli infortuni, è un cliente scomodo per qualsiasi lungo, mentre Lamb e Jeremy Lin contribuiscono a mantenere alto il livello qualitativo sul perimetro.

Big Al non è al meglio, e Clifford lo sta centellinando in uscita dalla panchina per permettergli di essere efficiente e di fronteggiare avversari più stanchi o riserve, contro i quali il suo arsenale di movimenti si sta rivelando letale come sempre.

Jeremy Lin, che ai Lakers difendeva con la verve di una statua di sale, adesso se non altro da l’impressione di sapere cosa fare, e pazienza se non sarà mai un defensive-stopper; se prende decisioni logiche non danneggia il sistema, e poi sa farsi perdonare con l’attacco, dove le sue doti (di passatore, atleta e tiratore) ben si sposano sia con Courtney Lee che con Kemba.

In tutto questo, passa quasi in secondo piano un’assenza teoricamente gravissima, come quella di Michael Kidd-Gilchrist, sceso in campo in appena 7 partite prima di infortunarsi nuovamente alla spalla e finire sotto i ferri. Il ventiduenne proveniente da Kentucky sarebbe l’autentico cardine della squadra (l’anno scorso, con lui in campo Charlotte era 28-29, senza, 5-20), e questo non fa che evidenziare i passi da gigante mossi dagli Hornets.

Anziché smobilitare e tankare, come preconizzava qualche inguaribile pessimista, Charlotte è cresciuta in modo quasi esponenziale, ricostruendo il rapporto con un pubblico da sempre molto appassionato (più di college basketball che di NBA, a dire il vero, ma il North Carolina è nondimeno terra di pallacanestro) e lavorando sulla tecnica individuale dei giocatori, oltre che intervenendo con delle mosse intelligenti sul mercato.

Comunque vadano a finire questi Playoffs, in quel di Charlotte la prossima estate sarà caldissima, e non solo per motivi climatici; diventeranno free agent Al Jefferson, Nicolas Batum, Marvin Williams, Courtney Lee, e probabilmente anche Jeremy Lin attiverà la clausola che gli consentirà di uscire dal suo attuale contratto e monetizzare l’ottima stagione.

La franchigia di Jordan avrà soldi per ri-firmarli tutti, ma è chiaro che le tentazioni non mancheranno e Batum avrà tantissimo mercato, perché rappresenta la perfetta incarnazione della combo-forward che va per la maggiore (quando migliorerebbero, con lui, squadre come Clippers e OKC?).

Per assurdo, proprio a causa di questo grande 2015-16, gli Hornets rischiano di trovarsi a dover ricostruire in estate, ma anche questo offre la misura del successo della squadra, e con un salary cap destinato ad impennarsi, può darsi che anche quest’eventualità si trasformi in un’opportunità da cogliere!

One thought on “Contro ogni pronostico: i Charlotte Hornets di Kemba Walker

  1. Un buon articolo, indubbiamente.
    So cosa significa mettere insieme lavori di questo tipo anche a livello di tempo, oltretutto supportato anche da statistiche.
    Analisi perfetta su F. Kaminsky, che con i SAS finalmente ha mostrato anche difesa, devo solo “correggere che se Lin non sarà mai uno stopper difensivo è solo per questione di cm.
    Avendole viste tutte, in difesa come aggressività ha fatto anche troppo.
    P.S. Io ai playoffs ci credevo.
    Non è ancora finita, ma dopo la vittoria su San Antonio siamo sulla buona strada nonostante le tante trasferte finali.

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