La questione del fallo sistematico, conosciuto anche come “Hack-a-player”, è uno di quegli argomenti che bene o male non passano mai di moda, perché é una situazione che per un motivo o per l’altro torna sempre a far parlare di sé esperti e appassionati.

Si tratta infatti dell’ormai piuttosto diffusa tattica di commettere uno (anzi, ben più di uno) fallo intenzionale su un pessimo tiratore di liberi della squadra avversaria, anche se lontano in quel momento dalla palla e dal gioco, per costringerlo ad andare in lunetta e aver così la possibilità di recuperare velocemente la palla. Il tutto è giustificato dal limitato rischio di vedere la squadra avversaria mettere punti a referto grazie alle cattive percentuali del giocatore in questione.

In particolare l’argomento è tornato piuttosto di attualità dopo che il Commissioner della NBA Adam Silver ha ammesso, nel corso della tradizionale conferenza stampa dell’All Star Weekend, che la Lega sta finalmente pensando di prendere provvedimenti per modificare il regolamento, anche se il tutto è rimandato alla prossima offseason.

Questo perché dopo oltre una decade, la pratica che ha conosciuto il suo massimo “splendore” grazie ben noti problemi con i tiri liberi del futuro Hall of Famer Shaquille O’Neal, negli ultimi anni sta trovando una sempre più diffusa applicazione, vuoi perché in questo periodo storico i cattivi tiratori dalla lunetta sembrano essere aumentati di numero e vuoi perché gli analisti stanno sempre di più esplorando l’efficienza in termini statistici di questa strategia. Il Commissioner ha detto che secondo i calcoli della NBA il fallo sistematico è stato usato in questa parte di stagione oltre il quintuplo di quanto fatto nello stesso periodo dell’anno passato, e questi sono numeri che non possono passare inosservati.

Dal punto di vista dello spettacolo è palese che questa situazione rappresenti un punto critico. Tanto per fare un esempio, durante la serie di primo turno tra Clippers e Spurs dei playoff  della passata stagione, nove tra i giocatori in campo sono rimasti a guardare il decimo, DeAndre Jordan, che tirava ventotto liberi nel solo primo tempo.  In un’altra occasione, nel corso della partita Detroit-Houston di qualche settimana fa, Andre Drummond ha tirato un totale di trentasei tiri liberi in un’unica partita, sbagliandone la quota record di ventitré.

E’ abbastanza semplice intuire come quelli citati non siano degli esempi di quel genere di entertainment che fa impazzire gli spettatori, altrettanto lo è immaginare che dalle parti dell’Olympic Tower questa sia una questione di discreta rilevanza.

D’altra parte, come ha detto Popovich “E’ una cosa che odio, ma finché continuerà ad essere permessa io continuerò ad utilizzarla. Se un giocatore o una squadra ha una debolezza, per gli avversari è intellettualmente corretto sfruttarla anche se non è il massimo per il gioco nel suo complesso”.

Coach Rivers invece ha dichiarato che secondo lui questa pratica va contro lo spirito del gioco e che spingerebbe con uguale insistenza per una revisione regolamentare anche se lui non fosse direttamente coinvolto come allenatore dei Clippers e di DeAndre Jordan (e qui però il suo naso ha inspiegabilmente cominciato a crescere).

Cosa ne pensano i giocatori? In realtà la maggior parte di loro crede che tutto andrebbe lasciato così com’è. In fondo i tiri liberi fanno parte del gioco allo stesso modo degli altri fondamentali, ma nessuno richiede di cambiare le regole per favorire, ad esempio, i giocatori più piccoli durante le fasi di rimbalzo.

Lo stesso Adam Silver ammette che, a prescindere dall’intrattenimento puro e semplice, il basket NBA è prima di tutto uno sport e come tale ha le sue regole che vanno rispettate, anche perché questo aspetto riguarda in fin dei conti non più di una decina di giocatori in tutta la Lega e le partite realmente danneggiate da questa strategia non sono poi moltissime.

La questione ovviamente non è impedire che vengano commessi dei falli sui cattivi tiratori di liberi: se Dwight Howard subisce un fallo mentre sta cercando di schiacciare questa è semplicemente un’azione di gioco. La storia è però diversa se Howard vene rincorso per il campo quando si trova a 20 metri dal canestro per poterlo mandare in lunetta con un fallo intenzionale.

Se vogliamo fare il paragone con altri sport, la questione è simile alla pratica in uso nel mondo del baseball di concedere intenzionalmente la prima base ai battitori ritenuti molto pericolosi. Anche qui si potrebbe obiettare che la pratica non sia molto “sportiva” ma il fine come sempre giustifica i mezzi e tale strategia è ampiamente diffusa in tutta la MLB da moltissimi anni.

12767317_10156555894055721_476680397_nDa parte dei tifosi provare empatia per le difficoltà tecniche di atleti che guadagnano svariate milioni di dollari all’anno è sinceramente difficile. L’alibi delle mani troppo grandi per “impugnare” bene la palla è valida fino ad un certo punto, perché ad esempio Kawhi Leonard pur disponendo di due mani che sembrano badili tira stabilmente oltre l’80% ai liberi.

L’opinione più diffusa è che i cattivi tiratori dovrebbero semplicemente allenarsi di più in questo fondamentale. Spesso però il problema non è tanto a livello pratico (molti dicono che in allenamento i vari Jordan, Drummond, Howard e compagnia tirino tutti con percentuali abbondantemente dignitose) quanto di pressione psicologica durante le gare. I giocatori sanno che vanno mandati in lunetta perché considerati deboli in quel fondamentale e questo peggiora la loro insicurezza.

Una soluzione per loro potrebbe essere cambiare tecnica e tirare a due mani dal basso, come faceva negli anni 60-70 il buon Rick Barry con percentuali vicine al 90%, ma in un NBA moderna fatta di superuomini sembra che nessuno abbia il coraggio o la lungimiranza per prendere in considerazione tale “umiliazione”, anche se questo potrebbe fare la differenza tra vincere o non vincere un titolo NBA e anche se giĂ  parecchi anni fa il grande Red Auerbach ricordava che l’unica cosa importante da fare quando si deve tirare un libero sia fare canestro.

 

Vi posso infatti svelare un segreto: negli ultimi dieci anni di NBA (ma anche prima è successo davvero raramente) nessuna squadra ha mai vinto il titolo tirando globalmente i liberi sotto il 75%. Quindi, tanto per non fare nomi, se volete puntare il vostro dollaro sulla futura squadra  campione NBA 2015-16 personalmente escluderei Houston (70%) i Clippers (69%) e i Pistons (64%). Però  fate voi…

Previsioni megalomani a parte, la mia parte nerd però mi spinge ad andare un po’ oltre con l’analisi, tralasciando la questione morale per concentrarmi su quella puramente matematica: il fallo sistematico funziona davvero oppure no?

Un’analisi elementare porterebbe a pensare che se una qualunque squadra statisticamente realizzasse una media di  1,00 punti per singolo possesso (la media attuale nell NBA è leggermente più alta ma in questo caso il valore scelto rende più semplice i calcoli), fare fallo su un qualsiasi giocatore che tiri sotto il 50% ai liberi rappresenterebbe matematicamente una scelta vantaggiosa.

Un attimo, perché la percentuale secca non è l’unico fattore da considerare. Anche se un giocatore non è in grado di segnare una quota accettabile dei suoi tiri liberi, c’è un fattore che spesso tende ad essere dimenticato: la possibilità di rimbalzo offensivo.

Ora, la media NBA di rimbalzi offensivi dopo un tiro libero è circa del 13%. Quindi al calcolo precedente andrebbe aggiunto questo dato, perché circa una volta su otto stiamo concedendo all’avversario due possessi invece di uno.

Se si considera però che spesso il cattivo tiratore di liberi è un centro, quindi uno dei migliori rimbalzisti offensivi della squadra, dovremmo presumere che nel caso sia proprio il centro ad andare in lunetta tale percentuale sia destinata a scendere, giusto?

Sbagliato. E non di poco. Nella seguente tabella potete vedere una lista di alcuni dei peggiori tiratori di liberi della NBA degli ultimi anni (sotto il 55% di media in carriera). Nell’ultima colonna è indicata la percentuale di rimbalzi offensivi catturata dai compagni dopo un loro errore dalla linea della carità.

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Come spiegare questi risultati? Principalmente con due fattori. Il primo è che spesso questi tiratori sbagliano il libero non di poco, con la palla che colpendo il ferro tende a rimbalzare più lontano e quindi a favorire i rimbalzisti offensivi a scapito di quelli difensivi. Il secondo è che i compagni del tiratore si aspettano che questi possa sbagliare con più frequenza e sono quindi più pronti ad andare a rimbalzo d’attacco.

Entrambi i punti hanno la loro controprova se andiamo a  fare l’analisi inversa, ossia andando a valutare le percentuali di rimbalzi offensivi quando in lunetta ci vanno i grandissimi tiratori (oltre l’88% di media in carriera).

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In questo caso, anche se la squadra al tiro aveva la possibilità di schierare entrambi i suoi lunghi a rimbalzo d’attacco la percentuale di carambole catturate è decisamente inferiore alla media standard. Questo per i motivi opposti, ossia rimbalzi sul ferro più corti e minore impegno dei compagni per l’eccessiva fiducia riposta nelle capacità del tiratore.

Volete una statistica impressionante? In tutta la carriera di Steve Nash, i compagni hanno catturato un totale di cinque, dicasi CINQUE rimbalzi d’attacco dopo un suo errore ai liberi.

I dati che riportati non sono onnicomprensivi ma spiegano comunque molto bene un certo tipo di tendenza che dovrebbe mettere in guardia dal giudicare il fallo sistematico con troppa leggerezza e basandosi solo sul calcolo della semplice percentuale ai liberi.

La strategia è quindi da scartare a priori? Fermi tutti, perché entrano ulteriori fattori (non credevate mica che sarebbe stato così semplice, vero?).

Uno particolarmente interessante riguarda le conseguenze psicologiche. Nel corso della stagione 2014-2015, dopo un due-su-due ai tiri liberi la squadra in difesa nel possesso successivo ha concesso una media di 0.878 punti per singolo possesso. Dopo uno zero-su-due il dato sale a 0.935 punti. Come mai? Probabilmente perché segnare i liberi incrementa, oltre il punteggio sul tabellone, la fiducia e le energie psicologiche della squadra da spendere nella successiva fase difensiva, mentre sbagliarli abbatte il morale non solo del singolo giocatore ma anche dell’intero gruppo.

Il discorso è potenzialmente infinito, ci sarebbero molti altri aspetti da considerare ma il tutto diventerebbe ancora più complicato. Non è mia presunzione dirvi qui (né in un altro momento) se la strategia del fallo sistematico sia totalmente da buttare o se sia invece da abbracciare in modo viscerale. Tantomeno sono in grado di dire quale sia la percentuale esatta sotto la quale conviene fare fallo: ci sono decine di analisti della NBA che lavorano su queste cose e ancora nessuno di loro ha fornito pubblicamente un dato certo. Il mio intento era semplicemente quello di portare attenzione su alcuni aspetti di questo dibattito che sono spesso sottovalutati.

Tornando all’inizio del discorso, all’NBA intesa come azienda che vende il suo intrattenimento tutti questi calcoli interessano fino ad un certo punto. Il suo obiettivo è quello di fornire un prodotto il più godibile possibile e non c’è dubbio che la questione del fallo sistematico sia uno degli aspetti per cui verranno introdotti degli aggiustamenti al fine di garantire la qualità dello spettacolo.

Cosa succederebbe infatti se in un ipotetico scontro di playoff Clippers – Rockets i due allenatori decidessero di mandare reciprocamente in lunetta i due “mattonatori” Jordan & Howard per tutta la gara? Probabilmente avremmo una partita di quattro ore e molti spettatori prenderebbero il telecomando per cambiare canale.

Questo è proprio uno di quelli scenari che all’Olympic Tower vogliono sicuramente evitare, ma quali sono in sostanza il possibili interventi per modificare il regolamento? Negli anni ne sono stati suggeriti svariati, proviamo a stilare un piccolo elenco:

  1. Ripristinare una vecchia regola denominata “three shots to make two”, ossia dopo un fallo si tirano un massimo di tre tiri liberi a meno che il giocatore non abbia segnato i primi due.
  2. Introdurre un super-bonus che garantisca ulteriori tiri liberi in caso di raggiungimento di un determinato numero di falli in un singolo quarto (come succede nell’NCAA con il bonus dell’1+1 e il bonus dei 2 tiri)
  3. Dare la possibilitĂ  di scegliere al coach avversario se mandare il giocatore in lunetta oppure riprendere con una rimessa laterale
  4. Mandare a tirare il giocatore in possesso di palla nel momento del fallo intenzionale al posto del giocatore che ha materialmente subito il fallo
  5. Estendere semplicemente (agli ultimi cinque minuti o addirittura all’intera partita) l’attuale limite degli ultimi due minuti di ogni quarto in cui è negata la possibilità del fallo sistematico, pena i due tiri liberi e il possesso che rimane agli avversari.

Ciascuna di queste soluzioni presenta però uno o più svantaggi e nessuna sembra poter risolvere in toto il problema. Ma se le soluzioni sopra proposte vi sembrano fantasiose sappiate che anche gli allenatori ultimamente stanno dando fondo alla loro inventiva per trovare modi originali di sfruttare le pieghe del regolamento.

Qui vediamo Danny Green fare fallo su Clint Capela ancora prima che questi abbia rimesso la palla in campo.

Qui invece Matthew DellaVedova si arrampica sulle spalle di Andre Iguodala a rimbalzo.

E per finire, Chris Paul si inventa un modo curioso per impedire l’ennesimo fallo sul buon DeAndre.

Qualunque sarĂ  la soluzione scelta dalla NBA, la regola avrĂ  comunque bisogno della votazione favorevole da parte dei due terzi dei proprietari per poter essere approvata. Se i voti di Rockets, Clippers e Pistons appaiono ovviamente scontati, bisognerĂ  vedere cosa ne penseranno le altre franchigie.

E voi, cosa ne pensate?

2 thoughts on “Il fallo sistematico: analisi e possibili soluzioni

  1. Estendere semplicemente (agli ultimi cinque minuti o addirittura all’intera partita) l’attuale limite degli ultimi due minuti di ogni quarto in cui è negata la possibilità del fallo sistematico, pena i due tiri liberi e il possesso che rimane agli avversari).
    E’quello che farei io!

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