“It’s quite cold today isn’t it?”.

Cielo plumbeo e vento gelido mi danno il benvenuto nella capitale inglese e questa di per sé non è una novità. Qualche autoctono ottimista, o per meglio dire scellerato, sfoggia un’ improbabile mise estiva e con finta nonchalance (la mascella in realtà è bella stretta a testimonianza di un freddo assolutamente oggettivo) si appresta ad affrontare la giungla di cemento e caos organizzato che gli si staglia davanti.

“It’s bloody freezing”. In perfetta tenuta da combattimento contro il freddo pungente, mi presento alle porte della città bardato di lana fino al midollo riproponendo un abbigliamento di fantozziana memoria, il tutto accessoriato da un palpabile disagio e sguardo perso sulla cartina.

Le strade con il “crossing mate” si dividono allo scattare della luce verde pedonale: non ho tempo da perdere, la sabbia scorre veloce nella clessidra ed io sono in missione per conto di Play.it USA (semicit.) ho un appuntamento inderogabile con la NBA e il meteo non è di certo una priorità.

Inaspettata come una tripla doppia di Robert Sacre, mi oriento in pochi minuti indovinando fermate e direzioni della metropolitana. Cosa ancor più stupefacente giungo in albergo a tempo di record. Sono decisamente “on fire”: direzione O2 Arena.

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Un tripudio di luci fuse perfettamente con i colori di un inaspettato tramonto,mi accoglie all’uscita di North Greenwich. Attorno a me gravitano i primi tifosi con un dresscode apparentemente in linea con l’evento.

Molti sono intenti a scattare istantanee vicino a qualsiasi cosa o persona abbia le effige del famigerato logo raffigurante un giocatore in palleggio.

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In quella che in un tempo (per fortuna lontano) qualcuno chiamava la perfida terra di Albione, la pallacanestro fatica ancora a decollare ed eccezion fatta per questo evento, difficilmente si presta attenzione a questo magico mondo.

Gli anglosassoni, dopo la batosta rimediata nell’ultima Coppa del Mondo di rugby, sembrano essersi buttati massicciamente sul solito calcio e sul Cricket (degustibus…)

Felice come un bambino il giorno di Natale mi presento ai tornelli ignaro del numero di perquisizioni alle quali sarò sottoposto durante l’arco della serata. Varcata la soglia osservo tifosi di qualsiasi età partecipare, con gaudio, ad ogni tipo di evento in cui la dignità non è prevista. Il tutto in barba al classico aplomb inglese.

accr4576Alla palla a due mancano ancora diverse ore, con l’accredito stampa addosso e metà delle preoccupazioni svanite, mi permetto il lusso (tenete ben a mente questa parola) di dare un’occhiata agli stand di souvenir.

Una suadente ma impreparata signorina mi illustra i prodotti in vendita indossando un passamontagna nell’ esatto momento in cui mi chiede £70! per una banale swingman (replica). Considerando che la sterlina inglese viene quotata € 1.40, potete ben capire il livello di ladrocinio…

Inorridito, ma comunque alleggerito di qualche banconota investita su una banale magliettina, mi rifugio in sala stampa pronto a condividere il mio sdegno con altri due bloggers provenienti da Francia e Australia.

La conversazione scivola rapidamente su altri canali: emozioni riguardo la serata, impressioni sulla stagione in corso e sui rookies . Tutto fila liscio fino alla fatidica domanda su Bargnani… incapace di dare una risposta esaustiva vengo salvato in corner dall’inizio delle conferenze stampa pre-partita.

skil5854I primi a presentarsi ai microfoni sono Skiles (coach di Orlando) e Casey (coach di Toronto). Le risposte fornite dai due allenatori non offrono grandi spunti in linea con le domande poste. Il premio di “Mr Simpatia” va comunque a favore del primo per qualche risposta piccata.

La musica cambia completamente con l’entrata in scena di Adam Silver . Il “grande burattinaio” risponde in maniera incisiva ed esaustiva ad ogni domanda. Ecco i passaggi salienti della sua press conference:

silv574Q: Perché sempre Londra? E’ il sesto anno che giocate una partita di Regular Season qui, cos’ha di speciale per la NBA questa città?
A: Penso che Londra sia speciale per noi prima di tutto per il legame con AEG partner con il quale portiamo avanti un rapporto consolidato nel tempo, nonché main sponsor della O2 Arena. Per la capienza della struttura: l’unica in Europa a soddisfare gli standard richiesti dalla NBA (può contenere 20000 spettatori.) Per la logistica: in termini di spostamenti è il posto più comodo su cui volare da e per gli USA. Culturalmente: è la città con la mentalità più simile alla nostra, i nostri team adorano venire qui. Inoltre penso sia il giusto trampolino di lancio per conquistare il mercato europeo.

Q: Può parlarci della situazione dei Nets? So che siete in contatto con Mikhail Prokhorov, quali sono le vostre preoccupazioni e cosa state cercando di ottenere?
A: Non sono particolarmente preoccupato, i nuovi proprietari che entrano nella lega devono imparare molte cose il più in fretta possibile, penso che nel caso di Mr. Prokhorov il problema sia stato adattarsi al nostro sistema retributivo (salary cap). Provenendo da un’altra realtà (Eurolega/ CSKA Mosca) credo abbia cercato di vincere subito sforando il limite salariale e cedendo scelte future pur di arrivare il prima possibile alla vittoria. Ritengo sia un individuo brillante e credo abbia capito quanto sia difficile arrivare al successo in questa lega. La sua loquacità in alcune conferenze stampa ha prodotto fraintendimenti. E’ un tipo scaltro e presumo abbia imparato la lezione ed è pronto a resettare, ora che si è separato dal GM Billy King sta seguendo in prima persona le vicende del team nell’attesa di trovare un nuovo GM e allenatore. Il problema a raggiungere il successo non dipende dal fatto che sia un proprietario internazionale, le stesse difficoltà le hanno affrontate anche altri in passato prima di lui.

Q: C’è molto movimento attorno al basket internazionale, nuovo calendario FIBA e una nuova Eurolega. Quanto è coinvolta la NBA in tutto questo?
A: Come sapete, approfittiamo di questo evento in Europa per organizzare un meeting con i dirigenti provenienti da tutto il Continente. La NBA non è coinvolta direttamente in questi cambiamenti ma tifiamo affinché le due parti lavorino di concerto per creare una piattaforma cestistica importante qui in Europa.

Q: Sempre più preparatori atletici concordano sul fatto che il crescente numero di infortuni occorsi ai rookies sia da attribuire alle troppe gare giocate a livello giovanile. La pensa anche lei cosi? Il numero delle partite andrebbe ridotto?
A: Penso che possa essere questo uno dei principali problemi, è una sensazione che ho sempre avuto ed ora è supportata anche scientificamente, infatti i ragazzi competono troppo durante i loro programmi junior. Attraverso i test medici che eseguiamo durante le combine pre-draft ci siamo accorti che, a volte, i Rookies presentano delle lesioni o usura alle articolazioni e tessuti solitamente ravvisati sul corpo di un professionista con diversi anni di gioco alle spalle. Seguendo l’esempio della Little League Association (lega giovanile di baseball che ha attuato modifiche regolamentari diminuendo anche il numero di partite. nda) noi della NBA e NCAA, avvalendoci della consulenza di Jerry Colangelo, stiamo preparando un programma simile per i nostri ragazzi.

La conferenza dura in tutto una mezzora e scorre che è una meraviglia, Silver non è mai banale nemmeno quando gli vengono poste le classiche domande su Kobe, sulla possibilità di avere una franchigia NBA in Europa o quando deve annunciare una novità: “nei prossimi anni giocheremo una partita di stagione regolare anche in Francia.”

Il sipario cala sulla conferenza è il momento della portata principale…

Nel caos generale, pochi degli accreditati hanno guardato quale posto gli è stato riservato e dopo aver vagabondato senza meta, mi siedo nell’unica postazione lasciata “sinistramente” libera. Solo al momento del fischio iniziale comprendo che sono perpendicolare al canestro ed ho difficoltà a seguire l’azione quando si sviluppa centralmente.

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Come già nelle passate edizioni il parterre è ricco di VIP accorsi per ammirare e farsi ammirare e cosa ancor più interessante, è presente un discreto numero di ex giocatori NBA giunti a Londra in veste di ambasciatori: Horace Grant, Muggsy Bogues, Rick Fox, Andrei Kirilenko ma soprattutto Hakeem Olajuwon…

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Finalmente inizia la contesa, gli spettatori non sembrano particolarmente coinvolti, eccezion fatta per un gruppetto di tifosi Raptors seduti pochi centimetri dietro di me. Lowry vs Oladipo e Valanciunas vs Vucevic sono i confronti più attesi con il big man lituano acclamato da mezza arena.

All’intervallo lungo, il tabellone segna 61-54 a favore della franchigia canadese, sugli scudi i due protagonisti inattesi sono Jason Smith – autore di tutti i suoi 16 punti realizzati nelle prime 2 frazioni – e Patrick Patterson – capace di far sussultare un assopito pubblico grazie ad alcune notevoli giocate su entrambe le metà campo.

Cosa può fare durante l’intervallo un fan super accessoriato: pennarello indelebile, maglietta (seppur triste), macchina fotografica e libertà d’azione nei pressi del rettangolo di gioco? Se la vostra risposta è: “realizzare il sogno di una vita” avete indovinato.

In un amen piombo addosso alle leggende presenti a bordo campo, oltre ogni più rosea aspettativa si rivelano tutti disponibili e cordiali tanto da riuscire a scambiare qualche battuta sulla partita. Lo scalpo di maggior prestigio è quello di Olajuwon, raggiunto a fatica dopo un inseguimento concluso con un dream shake d’antologia a superare il coriaceo bodyguard.

Il suono della sirena richiama la mia attenzione,si riparte con una rimessa dal fondo per Toronto.

Nel terzo quarto il ritmo di gioco, cosi come il tifo, stenta a salire di livello. Orlando prova a ricucire lo strappo spinta da Evan Fournier autore di una prestazione discreta, glavanizzato (a suo dire) dalla presenza dei suoi genitori alla partita.

Come spesso accade,il quarto periodo è di tutt’altra caratura, il livello dei decibel e dell’intensità del gioco si alzano notevolmente. I Magic (dopo aver inseguito per tutta la partita) riescono a trovare il pareggio con un circus shot di Oladipo a cui, però, non riesce la tripla della possibile vittoria. OVERTIME!

Gli ultimi cinque minuti sono votati all’insegna di turn over e soluzioni personali, le due squadre rimangono a contatto e a dieci secondi dalla fine si sente odore di ennesimo supplementare. La palla per il pareggio passa di nuovo dalle mani di Oladipo che, complice una vistosa spinta non sanzionata a Lowry, non riesce a finalizzare.

Il playmaker da Villanova University infine pone il sigillo sulla partita con un 1 su 2 dalla linea della carità. Alla sirena finale il tabellone luminoso decreta: Toronto vs Orlando 106-103.

Dopo lo scempio visto nella passata edizione (Knicks vs Bucks), quest’anno il pubblico londinese ed europeo ha potuto godere di uno spettacolo notevole.

Nel lasciare la O2 Arena colgo l’occasione per origliare diverse conversazioni tra fans, nessuna di queste si distacca dall’entusiasmo alla soddisfazione.

Per quanto mi riguarda sono consapevole di aver fatto un’esperienza irripetibile e da privilegiato: ho assistito ad un bellissimo match, conosciuto idoli di infanzia e subito diverse perquisizioni da una donna di cui mi sono innamorato perdutamente.

Nel riordinare tutte le immagini e pensieri a stento trattengo l’emozione, sapendo che dormirò solo 4 ore…

2 thoughts on “Un inviato per caso all’ NBALondon2016

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