I Dallas Mavericks si possono considerare, senza tema di smentita, una delle principali sorprese della stagione, oltre che una delle franchigie più vincenti degli ultimi 15 anni di NBA.

Per quando riguarda la prima affermazione, a mio modo di vedere la palma di “Surprise Team of the Year” potrebbe essere contesa ai Mavs forse solo dai Detroit Pistons e dagli Orlando Magic, i quali, pur non avendo cambiato molto rispetto alla scorsa (perdente) stagione, galoppano allegramente verso i playoff  in una altrettanto sorprendente Eastern Conference.

Ma entrambe le franchigie citate sono all’interno di un processo di ricostruzione che è ormai in atto da parecchi anni e se sembrano finalmente in grado di vedere la fatidica luce in fondo al tunnel è grazie ad una serie di giovani molto promettenti che stanno finalmente arrivando alla maturazione cestistica. Mi riferisco in particolare a Drummond, Jackson e Caldwell-Pope per i Pistons e a Vucevic, Oladipo e Harris per i Magic.

Dallas è invece una squadra tendenzialmente piuttosto “vecchia”, con una superstar ormai vicina al tramonto della carriera e che ha ricevuto proprio la scorsa estate il più clamoroso dei dietro-front mai visto nelle recenti free-agency.

Già, perché il pilastro della ricostruzione dei futuri Mavericks avrebbe dovuto essere quel DeAndre Jordan che si era detto entusiasta di firmare per la franchigia texana, salvo fare retromarcia dopo una sorta di “sequestro” architettato dai alcuni suoi quasi-ex-compagni dei Clippers e da Coach Doc Rivers.

Risultato? Un bel vengo-vengo-vengo… non vengo, estensione contrattuale con i Clippers al massimo salariale per Jordan e Mavericks letteralmente abbandonati ai piedi dell’altare, costretti ad un piano B da costruire in emergenza e concretizzatosi poi nella firma del georgiano Zaza Pachulia, in uscita dai Milwakee Bucks.

Il tutto condito da valanghe di accidenti (compresi i miei) all’indirizzo del buon DeAndre, che al momento della presentazione dello starting five di Dallas-Los Angeles è stato accolto così dal pubblico texano.

Della serie: non l’abbiamo presa male e in bocca al lupo per il tuo futuro!

Secondo Micheal Finley, ex colonna dei Mavericks negli anni ’90 e ora Vice President of Basketball Operations, a Jordan era stata offerta la possibilità di diventare la pietra angolare della franchigia, ma evidentemente non tutti i giocatori sono portati per il ruolo di leader maximo.

Non è peraltro la prima volta che Dallas viene snobbata dai principali free-agent su cui la dirigenza aveva deciso di puntare. Niente Williams nel 2012, niente Howard nel 2013, niente Jordan quest’anno. Tutti i questi giocatori hanno, per un motivo o per l’altro, preferito altri lidi per proseguire le loro carriere, ma questo non ha certo smontato i piani della dirigenza.

Mark Cuban, subito dopo il pasticcio Jordan, dichiarò pubblicamente che in nessun caso i Mavs avrebbero volutamente “tankato” in questa stagione, ma molti pensarono che quelle fossero le tipiche frasi di circostanza. Direi invece che il vulcanico proprietario non scherzava affatto.

Riempito quindi alla bell’e meglio con Pachulia il buco creato dalla partenza di Tyson Chandler, lasciato andare (di nuovo) dalla dirigenza texana in direzione Phoenix, l’offseason dei Mavs aveva portato in dote il convalescente Wesley Matthews, un Deron Williams che negli anni a Brooklin pareva aver smarrito la retta via e il primatista assoluto di presenze su Shaqtin’ a Fool, Javale McGee (sic).

Tra gli starters della scorsa stagione, oltre a Chandler anche Monta Ellis e Rajon Rondo, uno dei due decisamente più rimpianto dell’altro, avevano portato le labbra ad indirizzo nuovo.

Diciamo quindi che le premesse non erano quelle di una stagione sfolgorante. Infatti praticamente nessuno tra gli addetti ai lavori prevedeva che Dallas potesse rientrare nelle magnifiche otto per i playoff nella supercompetitiva Western Conference.

E invece…

Invece, grazie anche ai problemi di alcune squadre come Rockets, Grizzlies e Pelicans, attualmente i Mavericks sono quinti ad Ovest con un rispettabilissimo record di 22-16, frutto anche di diverse vittorie “down the stretch” ottenute grazie all’esperienza di Nowitzki e soci.

La parola “sorpresa” non mi sembra quindi esagerata, anche se ormai non bisognerebbe più stupirsi dell’abilità del front office di Dallas di rimescolare ogni volta le carte mantenendo intatta l’abilità di costruire squadre vincenti.

Da quando abbiamo vinto il titolo nel… ehm, scusate. Da quando hanno vinto il titolo nel 2011, i Mavs hanno rivoluzionato il roster praticamente ogni anno, ma non hanno mai intrapreso un vero e proprio processo di ricostruzione e soprattutto non hanno mai smesso di vincere partite. Anzi,andando ancora più indietro nell’analisi, a partire dal 2000-2001, primo anno dell’era Cuban, Dallas non ha mai avuto un record perdente.

Aspetta che lo ripeto, mi sa che qualcuno qui non ci crede.

A partire dal 2000-2001, ossia negli ultimi 15 (quindici!) anni, Dallas non ha MAI avuto un record perdente, partecipando ai playoff in TUTTE le stagioni tranne una.

Record dei Mavericks nelle varie stagioni

Ora, a parte i San Antonio Spurs che in questo arco di tempo hanno fatto ancora meglio e conquistato ben quattro titoli, nessun’altra squadra della NBA è andata nemmeno vicina a questo risultato.

In tutto questo rimescolamento di fattori, l’unica vera costante del roster negli ultimi 8 anni è stata l’accoppiata Nowitzki-Carlisle.

Del primo preferisco parlare il meno possibile, per il concreto rischio di salivare eccessivamente sulla tastiera del mio computer. Mi limiterò a dire che è a 37 anni sembra essere ancora discretamente immarcabile.

Shotchart Nowitzki

Dirk ha dichiarato che smetterà quando il suo fisico gli farà sapere di aver terminato le energie da dedicare alla pallacanestro, io posso solo sperare che questo avvenga il più tardi possibile. Nel frattempo sto già mettendo da parte dei barili per contenere le lacrime che verserò il giorno in cui questo succederà.

Vorrei invece concentrarmi di più sul lavoro di coach Rick Carlisle, a mani basse uno dei tre migliori allenatori dell’NBA di oggi, soprattutto per quanto riguarda la fase offensiva.

Carlisle è un maniaco del lavoro e dell’innovazione e ogni stagione sviluppa le strategie e il playbook in base ai giocatori che ha a disposizione.

Lo scorso anno Dallas giocava un basket molto veloce, attaccando spesso in transizione e con un ampio uso di pick and roll centrali e laterali, coinvolgendo Tyson Chandler come rollante verso il ferro e mettendo a frutto le abilità in penetrazione di Monta Ellis. Un’attacco definito “pace and space”, ossia ritmo e spaziature.

I Mavericks di questa stagione giocano invece ad un ritmo decisamente più lento, hanno introdotto uno schieramento con tre guardie (Felton, Barea, Williams), tirano molto di più da tre punti e sfruttano le qualità di Pachulia come passatore dal post alto per giocare una pallacanestro più di “flusso” che sfrutta i tagli dal lato debole e blocchi ciechi per liberare i tiratori.

Proprio Pachulia si sta rivelando la vera marcia in più di Dallas in questa prima metà di stagione. I numeri parlano di una doppia doppia di media, 10.7 punti e 10.8 rimbalzi, ma da soli non spiegano completamente l’impatto del centro da Tblisi. Come lo ha definito recentemente Nowitzki, “Zaza è uno dei centri più intelligenti con cui abbia mai giocato. Sa passare la palla e può metterla per terra, a volte può essere un po’ sottodimensionato, ma lotta come un leone e ha un grande cuore. Lo adoro”.

Il georgiano (tra l’altro al momento titolare del doppio dei voti per l’All Star Game proprio rispetto al tedesco, ma qui stiamo esagerando) non è l’unico che sembra rivitalizzato dall’esperienza in Texas. 

Deron Williams, dopo essere stato considerato una delle due-tre migliori guardie della Lega ai tempi degli Utah Jazz, ha subito una clamorosa involuzione negli anni di Brooklyn ma ora sembra quasi tornato ai fasti di un tempo. Nonostante qualche acciacco di troppo per i suoi 31 anni, è ancora in grado di fruttare la sua fisicità portando le guardie più piccole di lui in post basso, si trova a meraviglia con i compagni e sta recuperando anche le sue antiche doti di clutch shooter.

Anche Matthews, Barea, Harris, Evans, persino Villanueva e McGee stanno tutti dando un contributo superiore alle aspettative. L’unico un po’ sotto rendimento al momento è Chandler Parsons, ma viene da un intervento al ginocchio più complesso del previsto e si spera possa tornare presto ad essere il giocatore visto a Houston e nella prima parte della scorsa stagione.

La capacità di adeguare le proprie idee di basket al materiale umano a disposizione è una delle caratteristiche che a mio parere distinguono i grandissimi allenatori dagli altri e l’unico che in tempi recenti lo abbia fatto bene come Carlisle è stato Gregg Popovich.

Carlisle lavora molto anche nel coinvolgere i giocatori sugli aspetti tattici delle partite e negli ultimi tempi ha introdotto una serie di quiz durante le sessioni video. Mentre i giocatori stanno guardando un’azione dei prossimi avversari, il video si ferma in un determinato punto e compare a video una domanda a risposta multipla che chiede qual è la scelta giusta da fare in quella situazione, scegliendo ad esempio tra:

  1. cambiare sul pick and roll
  2. passare sopra il blocco
  3. concedere l’arresto e tiro

I giocatori rispondono direttamente sugli Ipad a loro forniti e a fine sessione ricevono un voto in base alla percentuale di risposte esatte. Questo sistema è stato introdotto per stimolare il coinvolgimento e aumentare l’attenzione, ma è solo uno degli esempi di quanto la franchigia sia attenta a migliorare ogni aspetto possibile nella gestione della squadra.

Grazie allo staff e alla dirigenza, guidata dal General Manager Donnie Nelson, ma anche al carattere dei giocatori, si è inoltre creato un gruppo molto compatto e affiatato, composto da atleti esperti che commettono pochi errori (Dallas è una delle squadre della Lega che perdono meno palloni) e che prestano poca attenzione alle statistiche individuali in favore dei risultati della squadra.

Quali sono i margini di miglioramento di questo gruppo? Sicuramente l’efficienza difensiva, visto che attualmente i Mavs navigano attorno alla quindicesima posizione della Lega nei punti subiti su cento possessi. In particolare i texani concedono troppe triple, hanno una mediocre transizione difensiva pur andando pochissimo a rimbalzo d’attacco e non hanno un vero rim protector in vernice.

Offensivamente invece, a parte la già citata crescita di Parsons, un aspetto da migliorare dovrebbe essere l’efficacia nel tiro da tre, attualmente solo sufficiente in rapporto all’elevato numero di conclusioni prese.

Se poi il Presidentissimo riuscisse a pescare nel cilindro del mercato pre-deadline qualcosa di interessante, senza cedere pezzi importanti del poster, allora tanto di guadagnato, altrimenti meglio non toccare niente per non rischiare di buttare all’aria (come successo l’anno scorso con l’arrivo di Rondo) i pezzi di una macchina che sembra funzionare molto bene.

In conclusione, non voglio dire che i Mavericks di questa stagione possano ripetere la cavalcata vincente del 2011, persino da super tifoso la cosa mi sembra francamente semi-impossibile. Inoltre annate complicate attendono Dallas all’orizzonte, perché tornare ad essere una contender nell’era post-Dirk sarà ancora più difficile rispetto ad oggi, sia tecnicamente che emotivamente. 

La nuova pietra angolare su cui costruire il futuro della franchigia non è ancora stata trovata e, come abbiamo visto, non è così facile convincere una superstar affermata a giocare nella metropoli texana, anche se la situazione salariale dei prossimi anni permetterà di poter offrire parecchi pezzi in verde agli eventuali interessati.

Situazione salariale di Dallas per le prossime stagioni

Ma credo comunque che Cuban, Nelson e Carlisle troveranno come sempre il modo per allestire un team competitivo, vincente e divertente da seguire. Cosa chiedere di piĂą ad una squadra di basket che darti la possibilitĂ  ogni anno di sognare che i miracoli possano accadere?

Del resto potrebbe andarmi molto peggio. Potrei essere un tifoso dei Sixers…

One thought on “Focus: i Dallas Mavericks

  1. Signor Barbareschi trovo il suo articolo bellissimo e molto ben scritto.fossi in lei chiederei udienza a Sky per farmi assumere.
    Mi creda,non sfigurerebbe al fianco di Buffa o di Tranquillo.
    Un suo grande fan

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