Il draft più atteso sin dal 2003 (quello di Lebron, D-Wade, Melo e…Milicic!) ha mantenuto solo in parte le grandi aspettative che stampa e appassionati avevano creato.

Ciò è dovuto sia alla cattiva sorte che ha ci ha privati di ben 3 delle prime 10 scelte ma soprattutto alla giovane età di molti rookie che si sono trovati a competere in un contesto totalmente diverso da quello del college che ha creato non poche difficoltà nell’impatto con la nuova realtà.

WigginsROYwatch_t368x500Con Embild “out for the season” già prima del draft, l’uomo più atteso era sicuramente Andrew Wiggins; “the next big thing” aveva già riempito le pagine die giornali in estate passando dai Cavs di Lebron ai T-Wolves nella blockbuster trade che ha visto Love fare il percorso inverso.

E il canadese non ha deluso le aspettative mettendo sul parquet tutto il suo atletismo chiudendo la stagione con 17 punti (massimo tra i rookie) e quasi 5 rimbalzi di media.

In difesa è già un fattore mentre in attacco ha bisogno di migliorare il jumper per variare il suo gioco ed essere meno battezzabile dalle difese avversarie. Decisamente diversa la situazione quando attacca il ferro dove realizza il 60% dei tiri presi con ben 5.7 viaggi in lunetta a partita.

Con un’estate davanti per aumentare il tonnellaggio e per migliorare il jumper il futuro prossimo non può che essere roseo per Wiggins.

Altro giocatore attesissimo era Jabari Parker, purtroppo, però, l’ala grande uscita da Duke ha giocato solo 25 partite prima di fermarsi per  la rottura del legamento crociato; ma nonostante il poco tempo a disposizione, Parker, ha messo in mostra tutto il suo arsenale offensivo che farà le fortune sia sue che dei Bucks nelle stagioni a venire.

Così come Parker, anche Aaron Gordon dei Magic ha avuto a che fare con un brutto infortunio al piede sinistro che gli è costato ben 2 mesi di regular season.

L’ex-Arizona non è sembrato a suo agio nel ruolo, in cui è stato spesso schierato, di ala piccola a causa di un jumper tutto da costruire (appena il 27% di jump shot mandati a bersaglio) che lo limita notevolmente nella fase offensiva del gioco.

In difesa, invece, Gordon da il meglio di se potendo difendere su 4 ruoli grazie sia alla stazza che alla discreta velocità di piedi. Al momento è ancora lontano dall’essere un giocatore determinante ma i 20 anni ancora da compiere e la sua dedizione al lavoro potrebbero far cambiare scenario nel giro di pochi anni.

Stesso discorso va fatto il play australiano Exum che ha chiuso la sua prima stagione agli Utah Jazz tra luci e ombre continuando a mantenere l’alone di mistero che lo accompagna già dalla scorsa stagione quando veniva indicato dagli esperti come un possibile “crack”.

Purtroppo, però, stazza a parte, Exum, non è sembrato affatto pronto per giocare in NBA pagando a caro prezzo l’assenza sia di un tiro affidabile (34,9% dal campo) che della personalità necessaria per far girare una squadra NBA.

Incoraggiante invece è la sua dedizione alla difesa dove grazie all’altezza e ad un ottimo wingspan è in grado di rendere la vita difficile ai suoi dirimpettai spesso meno lunghi dell’australiano. Per costruirsi una carriera da primo attore in NBA ha assoluto bisogno di migliorare sia il tiro che la personalità nella gestione della palla.

f5af16fe0d71e46c77202bfb118dc81e_crop_northSubito dopo Exum è stato scelto Marcus Smart che, alla prima stagione coi Celtics, si è tolto subito lo sfizio di andare ai playoff giocando ben 27’ a partita nonostante l’infortunio al piede che lo ha tenuto fermo nel primo mese di stagione.

L’ex Oklahoma State è ancora acerbo sia nell’attaccare dove si accontenta troppo del tiro da 3 (4 tentativi a partita col 34% di realizzazione) sia nel playmaking. In difesa, però, è già decisivo (1,5 rubate a partita) grazie a mani veloci, rapidità negli spostamenti laterali e soprattutto tanta abnegazione che gli permette di essere sul pezzo in tutti i minuti spesi sul parquet.

Chi, invece, ha deluso le aspettative è stato Stauskas travolto dalla confusione che regna in casa dei Kings non ha mai mostrato in NBA ciò che di buono aveva fatto al college. I 3 allenatori che si sono succeduti non gli hanno mai dato fiducia e la guardia ha chiuso la stagione con appena 15’ di media in una squadra da lottery.

Il rischio di trovarsi di fronte ad un Fredette 2.0 è alto e probabilmente la cosa migliore per lui sarebbe trovare una squadra in grado di dargli minuti e chanche di sbagliare per poter crescere.

Molto meglio è andata invece ad Elfrid Payton che ad Orlando ha giocato un’ottima stagione chiusa a 9 punti, 4,5 rimbalzi, 6,5 assist (massimo tra i rookie) e ben 1,7  rubate di media con 3 triple doppie messe a referto affiancando Wiggins e Noel nella corsa al rokie of the year.

Nonostante la pessima percentuale al tiro pesante (26%), Payton, si è dimostrato importante anche in attacco mettendo spesso in ritmo in compagni e padroneggiando alla grande l’arte del pick n’ roll. Con tempo e minuti di gioco per migliorare, Payton, è il presente e il futuro di Orlando che meglio non potevano scegliere alla 10 dello scorso draft.

Ben oltre le aspettative è andato anche la guardia dei T’Wolves Zach Lavine. Approfittando dell’assenza di Rubio l’ex UCLA si è preso lo spot di Playmaker titolare dopo l’all star break(dove ha dominato la gara delle schiacciate) sfoderando prestazioni notevoli culminate con le 8 gare di aprile chiuse con 21 punti e 6 assist di media.

Aumentare la massa muscolare, migliorare il playmaking e consolidare il jumper saranno gli imperativi della sua off-season per ottenere più minuti in una squadra che il prossimo anno avrà ambizioni ben diverse da quelle di quest’anno.

Sempre in Minnesota, a Febbraio, è arrivato via Hawks il centro Adrian Payne che dopo una prima parte di stagione passata in D-League ha trovato minuti in maglia T’Wolves lanciando segnali incoraggianti in vista del prossimo futuro.

Così come Lavine, anche Hood è esploso negli ultimi mesi di regular season trovando ampio spazio tra le fila dei Jazz e chiudendo il mese di Aprile con quasi 17 punti di media e il 35% dalla lunga distanza. L’ex-Duke è un giocatore già maturo che sembra avviato verso una carriera da comprimario di lusso grazie alla sua versatilità che lo rende utile in tutti i frangenti di una partita.

Chiudiamo la panoramica sui rookie scelti al primo giro parlando di Nurkic. Il bosniaco, arrivato in sordina in NBA, ha avuto un ottimo impatto con la maglia dei Nuggets dimostrandosi un centro già affidabile e in grado di proteggere il ferro grazie all’enorme stazza fisica di cui è dotato.

Tra i giocatori scelti al secondo round vanno menzionati Jordan Clarkson, che ha preso in mano i Lakers negli ultimi due mesi (16,7 punti, 4,6 rimbalzi, 5,7 assist di media nel post all star break,) e K.J. McDaniels che ha fatto vedere cose interessanti a Philadelphia prima di finire sul fondo della panchina dei Rockets.

Tra gli undrafted, invece, spiccano Galloway, unico barlume di speranza nella pessima stagione dei Knicks, il centro Black, giocatore fatto e finito in grado di dare 10-15’ di energia dalla panchina e Tyler Johson degli Heat che causa infortuni si è trovato a giocare minuti importanti senza mai sfigurare.

Chiuso il capitolo del draft 2014 è il momento di parlare dei rookie scelti nei draft precedenti. I più incisivi sono stati sicuramente Noel e Mirotic.

Il centro ex-Kentucky ha dispustato una stagione fantastica dominando in difesa e mostrando miglioramenti notevoli anche in attacco chiudendo la sua prima stagione a 10 punti, 8 rimbalzi e 2 rubate di media(massimo tra i rookie) affiancando Wiggins alla corsa di rookie of the year. Con un jumper in continua evoluzione un’innata capacità nel proteggere in ferro che in ben pochi hanno alla sua età ,Noel, diventerà nel giro di poco tempo un giocatore dominante nel panorama NBA.

Mirotic, invece, è tutt’altro che un rookie. Dopo aver dominato l’Europa con il Real Madrid, il serbo naturalizzato spagnolo, è approdato nell’universo che più gli compete migliorando di mese in mese con la chicca del premio di rookie of the month di Marzo dove ha chiuso con media di  20 punti e 7 rimbalzi trascinando i Bulls al terzo posto in classifica.

Il prossimo passo verso lo status di star è migliorare la difesa e sotto un coach come Thibodeau è solo questione di tempo prima che lo spagnolo cominci ad essere presente anche nella fase difensiva. La capacità di fare canestro in ogni modo uniti a quella stazza lo rendono un giocatore sui generis che ben poche squadre possono vantare di avere.

Un altro europeo che ha dispistato un’ottima stagione d’esordio in NBA è stato Bojan Bogdanovic dei Nets. L’ex-Fenerbache si è messo subito al servizio della squadra dimostrando di essere un perfetto role player in grado di difendere e di bombardare dall’arco(35,5%3FG).

Dopo solo una stagione è difficile emettere una sentenza definitiva sul draft 2014 sia a causa degli infortuni che hanno colpito molti dei protagonisti sia per la giovane età dei suoi interpreti.

Alcuni hanno mantenuto le aspettative, altri meno (Stauskas, Napier)  e altri ancora (Vonleh, Young, Randle, Mcdermott) hanno avuto poche chanche di mettersi in mostra. Ragion per cui il giudizio è rimandato pur essendo ben lontani da un draft epocale come quello del 2003!

 

One thought on “Focus: un bilancio dell’ultima classe di rookie

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