Dopo un inizio stentato e il susseguirsi di problemi assortiti, i Cavs sembrano finalmente essere sulla strada giusta per diventare la potenza preconizzata d’estate, quando la suggestione dei nomi di LeBron James, Kevin Love e Kyrie Irving, spingeva a pensare a Cleveland come a una contender fatta e finita.

Gli esordi novembrini non furono particolarmente incoraggianti; da lì in poi, la formazione dell’Ohio ha continuato ad alternare parziali positivi e negativi, influenzati dagli infortuni che hanno falcidiato il roster in più occasioni, costringendo David Blatt ad arrangiarsi.

In ambito europeo, l’ex di Treviso e Maccabi è un allenatore d’alto livello, abituato a comandare il rispetto dei suoi giocatori e a non essere discusso dal pubblico, ma sbarcare in NBA significava ripartire da zero in termini di credibilità e autorevolezza, regredendo dal ruolo di leggenda a quello di rookie.

Cleveland poteva essere la franchigia giusta per tentare il grande salto in modo quasi indolore: un ambiente che non mette troppa pressione, una squadra giovane (e quindi, ragionevolmente permeabile alle idee del coach) ma di prospettiva.

A sconvolgere i piani di Blatt e del GM David Griffin ci ha pensato LeBron, che, per mezzo del suo entourage, ha fatto sapere di essere interessato a tornare a vestire la maglia dei Cavaliers.

Cleveland è ovviamente impazzita di gioia, ma questo ha comportato l’improvviso innalzamento di un’asticella che, fino a pochi giorni prima, indicava come massima ambizione i Playoffs.

King James, da GM supplente, ha spinto per la trade che ha portato Kevin Love sulle sponde del lago Erie, ottenuto in cambio di Anthony Bennett, Andrew Wiggins e della prima scelta 2015.

Pur trasportati dalle ali dell’entusiasmo, i giornali (locali e non) hanno iniziato subito a evidenziare quelli che potevano essere i limiti di una formazione di grande talento, ma assolutamente “unproven”.

Si è parlato di squadra-ciambella (priva di una presenza di post), di dubbi sulla compatibilità di tanti galli nel pollaio e, ovviamente, anche delle inevitabili perplessità concernenti David Blatt, un allenatore che negli USA era noto esclusivamente tra gli addetti ai lavori.

Il normale appassionato americano non ha mai visto una partita di Eurolega, incoraggiato da molte telecronache durante le quali Ettore Messina e Blatt sono genericamente indicati come due che, “hanno allenato in Europa” (come se esistesse uno standard omogeneo tra il campionato Tedesco e quello Lituano), ma non hanno un decimo della credibilità di Thad Matta o Tom Izzo.

Così, mentre Jeff Van Gundy o Hubie Brown sostenevano l’esigenza di dar tempo al tempo per consentire a Blatt di dimostrare il proprio valore, l’allenatore nativo di Boston (si è laureato a Princeton in letteratura anglosassone, con una tesi sullo splendido The Natural, di Bernard Malamud, oltre ad aver giocato per Pete Carril) sentiva serpeggiare il dubbio di chi lo riteneva impreparato, mentre qualcuno iniziava a invocare il nome di Tyronn Lue.

Dal canto suo, LeBron James non è andato incontro al nuovo coach, ma Blatt ha dimostrato notevole capacità d’adattamento, accettando umilmente di dover conquistare i propri giocatori, allenamento dopo allenamento, partita dopo partita.

Per lunghi tratti della stagione è stato impossibile avere i tre big abili e arruolati, ma da quando sono tutti a disposizione, Cleveland ha iniziato a trovare ritmo, macinando vittorie.

Al 13 gennaio, Irving e soci sedevano su un record di 19-20. Da allora hanno messo a segno un parziale di 26-6, coinciso con il ritorno di James ad alti livelli, e con una serie di mosse di Griffin, che ha legittimato il suo ruolo di GM dopo un’estate nella quale era parso più passeggero che pilota della trasformazione di Cleveland.

La Quicken Loans Arena ha detto addio all’eternamente scontento Dion Waiters, rimpiazzato da JR Smith, adatto al catch-and-shoot (l’anno prossimo sarà in contract year, dettaglio da non sottovalutare), e da Iman Shumpert, guardia talentuosa che, dopo un inizio promettente, s’era persa tra infortuni e problemi assortiti.

Due giorni dopo, Griffin ha messo le mani su Timofey Mozgov, che ai nuovi Nuggets non serviva e toglieva spazio a Nurkic; il russo, lungi dall’essere un rim-protector o un grande difensore d’aiuto, è però un centro vero (per qualità fisiche e tecniche) capace di colmare la lacuna che i Cavs si portavano dietro dal training camp.

Sa fare un po’ di tutto, senza essere una stella o pretendere molto spazio: gioca fronte e spalle a canestro, non ferma la circolazione della palla, cattura qualche rimbalzo e ha un ingombro e centimetri dei quali nessun altro giocatore di Cleveland dispone.

11082944_10153169816874521_741970631_nDal suo arrivo, i Cavs concedono il 58% in verniciato, contro il 62.8% che avevano tenuto fino a quel momento. Le statistiche individuali di Mozgof dicono che l’ex Khimki concede il 45% al ferro, meno di Tim Duncan, DeAndre Jordan e Tyson Chandler. Ovviamente non basta questo per fare di Mozgov un difensore, e, in ogni caso, anche un grande rim-protector può poco se gli esterni fanno i casellanti.

Per soprammercato, Griffin ha firmato anche Kendrick Perkins, l’ex di Boston e Oklahoma City che costituisce una preziosa assicurazione, in caso d’infortuni in front-line, e che porta in dote l’esperienza di due Finali NBA e innumerevoli battaglie ai Playoffs.

Queste addizioni non spiegano da sole la svolta: Blatt ha lavorato bene, ed ha capito subito come usare in nuovi arrivi; Kyrie Irving ha inanellato una serie di prestazioni stratosferiche, mentre LeBron James ha cambiato marcia e finalmente ha iniziato a spendere qualche parola per il suo allenatore: “Fin qui ha gestito molto bene la sua prima esperienza NBA, e sono felice di giocare per lui”.

Quest’ultima considerazione è forse la più importante, perché, dall’inizio del nuovo anno, Cleveland ha iniziato a difendere meglio. Il quintetto con Mozgov, James, Irving, Smith e Love è stato schierato in 25 partite (di cui 22 vinte) e segna 119.8 punti per 100 possessi, concedendone solo 94.7 agli avversari, risultati simili a quelli che ottiene il quintetto con le tre stelle affiancate da Shawn Marion e Tristan Thompson.

I Cavs non hanno una difesa insuperabile, ma s’impegnano, presidiano l’area, non si lasciano battere facilmente sul perimetro, insomma, seguono l’ABC che ogni allenatore predica a qualsiasi livello. In più, anche i cattivi difensori “storici”, come JR, rispettano le rotazioni, impedendo agli attaccanti di esporre i difetti individuali dei Cavs.

Cleveland sta battagliando per la seconda piazza a Est (gli Hawks sono ormai imprendibili) con Toronto (in caduta libera con solo 4 vittorie nelle ultime 15) e Chicago, che però continua ad avere problemi difensivi dall’inizio della stagione.

Nonostante i progressi offensivi e difensivi e l’impressionante tasso di talento che ne contraddistingue il roster, i Cavs continuano però ad avere dei difetti che potrebbero scontare nei Playoffs.

Per quanto LBJ e Kyrie (fresco di nomina a Giocatore della Settimana, con 37 punti di media e l’86% da tre punti) stiano giocando bene, Love continua a sembrare insoddisfatto del numero di possessi e della loro qualità. Di recente si è lamentato: “Sono un giocatore di post che sa tirare, e non un tiratore”, chiarendo di non essere felice dell’impiego come spot-up shooter.

In realtà, lasciando per un momento da parte la dimensione offensiva, è il contributo complessivo di Love ad essere in calo. Non avendo i possessi che predilige, il livello di coinvolgimento difensivo di Kevin (già basso di suo) si è ulteriormente inabissato.

Si può non essere dei grandi difensori d’aiuto, ma bisognerebbe essere almeno capaci di occuparsi del proprio assignment (o viceversa, essere più bravi in aiuto che in marcatura), mentre Love è un punto debole sia quando viene attaccato in uno-contro-uno che quando deve ruotare.

Concede il 57% da meno di due metri, il 48% sui tiri da due punti, e, per essere un’ala forte con la reputazione di grande rimbalzista, cattura appena il 38% dei rimbalzi contestati, peraltro in linea con le statistiche dello scorso anno (il suo back-up, l’eccellente Tristan Thompson, cattura il 48% dei rimbalzi contestati).

Nel giro di qualche mese Kevin Love ha dilapidato il credito che si era costruito negli anni con i Timberwolves, esponendo in modo impietoso i propri difetti, e per giunta, continuando ad avere l’aria da scontento mentre la squadra naviga con il vento in poppa.

Abituato ad avere molti tocchi e a poter giostrare con libertà, nei Cavs Love tira senza palleggiare il 66% delle volte, e sempre nel 66% delle occasioni, trattiene la palla per meno di due secondi, cifre classiche da tiratore puro.

La shooting chart di Kevin Love

La shooting chart di Kevin Love

Kevin Love è sottoutilizzato, e lo sa bene anche Blatt; Cleveland è una squadra che attacca spesso fronte a canestro, con poche soluzioni di post basso (LBJ ci va solo nel 7% dei suoi possessi), e alterna situazioni con palla in mano a Irving (il 39.7% delle volte) e LeBron (26.2%, quasi tutti isolamenti), finendo col marginalizzare Kevin Love.

Se però in squadra ci sono giocatori come Irving e LeBron, la palla è destinata a sostare per larghi tratti nelle mani di questi due.

Irving è il secondo giocatore NBA per numero di punti segnati in penetrazione, LeBron è il quarto della lista. Dati questi presupposti, è chiaro che serve sgombrare il post basso, dove le difese collasseranno, liberando i tiratori sul perimetro.

Se Cleveland giocasse la Princeton Offense, Love avrebbe il ruolo al quale ambisce, ma LeBron ritiene d’essere più pericoloso palla in mano, con una schiera di tiratori appostati sui suoi scarichi; non a caso, ha reclutato Mike Miller, Shawn Marion e James Jones.

Agli Heat accadde quasi la stessa cosa, con LeBron e Dwayne Wade ad alternare possessi e Chris Bosh nel ruolo di tiratore frontale e di àncora difensiva, incarico che Love non può (per centimetri e mobilità) svolgere.

La conseguenza tattica è che, per avere un minimo di protezione del canestro, i Cavaliers sono costretti a schierare sempre due lunghi, e usare poco James nel ruolo da quattro tattico. In questo senso, aver sacrificato Wiggins, Bennett e un’altra prima scelta per uno stretch-four (per giunta scontento e costoso) potrebbe non essere stata una gran mossa.

Le difficoltà di Kevin Love sono compensate dalle prestazioni incoraggianti di molti altri giocatori: Tristan Thompson, dopo un inizio di carriera titubante, si sta imponendo come rimbalzista e giocatore di squadra, mentre Matthew Dellavedova ha dato il buon esempio anche nei momenti peggiori della stagione, quando la voglia di buttarsi sulle palle vaganti scarseggiava.

Iman Shumpert è soggetto agli infortuni, che, infatti, ne hanno rallentato l’inserimento, ma è un cambio di qualità, che, con un po’ di lavoro sul tiro, potrebbe diventare un utilissimo giocatore 3-D, capace di spaziare il campo e difendere forte.

Intanto Kyrie Irving ha innalzato il proprio rendimento, approfittando dalla presenza di James e Kevin Love: da un lato, gli apre spazi, dall’altro, lo sgrava del peso di dover essere l’unico giocatore a capace di costruire tiri per i compagni.

La shooting chart di Irving nel dopo All Star Game

La shooting chart di Irving nel dopo All Star Game

Dopo la sosta di dicembre-gennaio, LeBron mette a referto 26.8 punti di media, 7.1 assist e 6.2 rimbalzi, con il 49% dal campo, mentre Irving si è assestato a 22.2 punti, 5.2 assist, con un 49.3% che, dopo l’All Star Game, è salito a 52.7% (50% da tre!) per 25.6 punti ad allacciata di scarpe.

È chiaro che Kyrie non è un playmaker in senso classico, ma probabilmente non lo è nemmeno secondo i parametri di Derrick Rose o John Wall. Rispetto a loro, Irving è un realizzatore puro, dotato di una capacità incredibile di battere l’uomo, che usa per finire, piuttosto che per smarcare i compagni.

I miglioramenti più rilevanti di Irving, tuttavia, sono passati quasi inosservati, obliati dalle sue sfuriate offensive; Kyrie è storicamente un difensore mediocre ma quest’anno è molto più coinvolto, e i risultati si vedono: batterlo dal palleggio è diventato più difficile, e lavora molto meglio in situazione di close-out.

Per dare una mano in difesa non serve necessariamente trasformarsi in Chris Paul (il play contro il quale i pari-ruolo tirano meno): l’importante è riuscire a non essere un problema per i compagni e per lo staff tecnico.

A questo punto della stagione, all’orizzonte incombono i Playoffs; quali sono le prospettive dei Cavs?

Lasciati alle spalle i balbettii iniziali, Cleveland ha iniziato a macinare basket, e, pur non avendo un roster perfetto, può essere ambiziosa. Giocando nella Eastern Conference, i Cavs non incontreranno avversari probanti fino alle Finali di Conference, dove, presumibilmente, battaglieranno con gli Atlanta Hawks, una squadra che li ha battuti tre volte su quattro (l’ultima, il 6 marzo) e che oppone allo star-system di Cleveland il gioco corale messo a punto da Mike Budenholzer.

Chiunque vinca l’Est, sarà meno malconcio rispetto alla controparte della Western Conference. Basterà per ribaltare il pronostico contro una delle corazzate del Pacifico? Dipenderà da tanti fattori, inclusi infortuni e accoppiamenti.

Difficile che i Cavs vincano il titolo NBA al primo tentativo, perché, oltre al talento e alla preparazione tattica, in post-season giocano un ruolo importante anche esperienza e abitudine a giocare certe partite; considerato che Kevin Love, Thompson e Irving non hanno mai disputato un minuto di Playoffs, sarebbe sorprendente se riuscissero ad arrivare fino in fondo.

Tuttavia possono guardare con ottimismo al futuro, consci d’aver posto le basi per salire ulteriormente di livello, forti di alcune certezze e di un roster giovane e talentuoso.

4 thoughts on “Cleveland Cavaliers: pronti per l’anello?

  1. Credo che i Warriors avranno il miglior record della lega a fine stagione, anche perchè stanno dimostrando di volerlo molto più degli Hawks.
    ASecondo me i Cavs rimangono comunque favoriti ad est.

  2. Tuttavia..direi che Hawks e Cavs se la giocheranno 50-50, in base a come arriveranno alle finali di conference

  3. Bel pezzo, per me favoriti ad Est restano gli Hawks…per quanto riguarda Love credo che abbiano fatto la mossa del secolo al contrario, se avessero tenuto le due prime scelte con questo nucleo per me sarebbero stati da titolo chissà per quanti anni

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