E’ il 23 Dicembre, alla Quicken Loans Arena di Clevand va in scena il match fra i padroni di casa, ancora balbettanti nel gioco, e i Timberwolves della prima scelta assoluta dell’ultimo draft : il canadese Andrew Wiggins, prelevato dalla franchigia dell’Ohio e successivamente girato a Minnesota nella trade che ha portato in estate Love alla corte di King James.

I Cavs hanno la meglio, ma il sapore della vittoria è amaro, il centro brasiliano Anderson Varejao esce dolorante a sette minuti dalla fine del match e la diagnosi qualche giorno dopo è spietata : rottura del tendine d’achille e, ovviamente, stagione finita.

Per i ragazzi di Blatt, che puntavano senza tanto nascondersi all’anello, è una botta terribile, una di quelle che può valere una stagione, evidentemente non sanno che da quel momento cambierà tutto.

Il GM David Griffin si butta sul mercato alla ricerca del sostituto che possa perlomeno lasciare invariate le ambizioni del roster: si fanno i nomi di Koufos e dei free agent Jermaine O’Neal ed Emeka Okafor ma coach Blatt è chiaro : l’obiettivo numero uno è Timofej Mozgov, il centro titolare della Russia dell’ex Coach del Maccabi che arrivò al bronzo alle olimpiadi di Londra del 2012.

Griffin si mobilita e comincia a trattare con i Nuggets, interessati alla vendita del “big man” russo vista la voglia di ottenere prime scelte future considerando che la stagione attuale difficilmente porterà gioie in Colorado.

Così lo scambio si concretizza il giorno dopo l’Epifania con Cleveland che si libera dell’ingombrante ingaggio di Waiters (che si trasferisce a Oklahoma City) e accoglie insieme a Mozgov una seconda scelta dei Nuggets che, a loro volta, ottengono due prime scelte (una via Grizzlies e l’altra via Thunder).

Il russo, classico giocatore da doppia doppia punti-rimbalzi, porterà a Cleveland stoppate e dedizione al lavoro visto anche l’entusiasmo di tornare a lavorare con quel coach che lo ha allevato cestisticamente parlando.

C’è da dire inoltre che i Cavs si erano già rinforzati qualche giorno prima con l’arrivo dalla grande mela di due giocatori molto interessanti come J.R. Smith e Iman Shumpert (che tuttavia arriva infortunato e che tutt’oggi non ha ancora calcato il parquet con la nuova squadra).

La guardia classe ’85 assicura punti e 4-5 rimbalzi a partita e toglie un pò di peso al compagno di backcourt Irving che può così dedicarsi maggiormente alla costruzione del gioco da PG pura: l’unico neo può essere rappresentato dal caratterino dello stesso J.R. ma con uno spogliatoio retto da una forte personalità come Lebron è difficle pensare a eccessi di protagonismo da parte dell’ex Knicks.

D’altra parte, Shumpert potrebbe rivelarsi sicuramente utile nelle rotazioni vista la sua bravura nella difesa sul perimetro ed il talento ancora non completamente espresso.  E’ cosi che in Ohio si forma un quintetto molto intrigante formato da Irving-Smith-James-Love-Mozgov che promette scintille ed effettivamente le previsioni si rivelano esatte: dopo la striscia negativa nelle due settimane di inizio Gennaio senza Lebron, il “ritorno del re” si rivela dolcissimo per la nuova Cleveland che dimentica le polemiche su coach Blatt e comincia a macinare risultati e soprattutto prestazioni, ultima su tutte la vittoria sui Jazz condita da una transizione in puro stile Show-time orchestrata da Smith, Irving e Love.

Intanto ad Ovest non vogliono essere da meno e quella che al momento è di gran lunga la conference più competitiva accoglie un altro pezzo grosso dei Celtics. dopo l’arrivo di Rondo a Dallas, Jeff Green firma coi Grizzlies in una trade in cui i Celtics ottengono ulteriori prime scelte che, sommate alle altre ottenute nei precedenti scambi, diventano undici per i prossimi quattro anni, ennesima dimostrazione del rebuilding su cui il GM Ainge sta lavorando e che dovrebbe poggiare sul talento della sesta scelta assoluta dell’ultimo draft, quel Marcus Smart che al momento non sembra avere ancora preso le misure del mondo NBA.

Ma cosa succede con Green a Memphis?  Innanzitutto si rafforza la candidatura al titolo della franchigia del Tennessee che sembra avere le carte in regola per spuntarla nel selvaggio West di quest’anno.

Non a caso, dopo una leggera flessione accusata dagli stessi Grizzlies durante l’assenza di Zach Randolph, la squadra è tornata a macinare risultati e, con l’arrivo dell’ex Boston, sembra anche aver trovato una valida alternativa al solito schema a cui ormai ci stava abituando la squadra di Joerger nell’ultimo mese, e cioè palla in post a Gasol.

Green sembra essere il tassello di cui questo roster aveva tremendamente bisogno, quell’esterno che riesce a dare imprevedibilità ad un sistema di gioco troppo attaccato alle soluzioni della coppia Zibo-Gasol.

L’ex Celtic è un ottimo realizzatore che ha chiuso la scorsa stagione con 16.9 punti di media, riuscendo in certi casi a portarsi sulle spalle un intero quintetto in difficoltà.

Il gioco di squadra e la fase difensiva non sono mai stati i suoi punti forti ma con un passatore come Conley e due ottimi “rim protector” come l’esperto Randolph e l’ex “Best defensive player” Gasol sembra proprio che Joerger possa dormire sogni tranquilli.

In conclusione, la chiara impressione che ci suscitano le prestazioni di Grizzlies e Cavs dopo queste abili operazioni di mercato è che le ambizioni di queste due squadre sono innegabili. Parliamo di due roster costruiti per vincere: se Gasol continua su questi livelli e LBJ ri-accende la modalità “più forte del pianeta”, le Finals sono tutt’altro che un miraggio.

 

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