Difficile l’arte di reinventarsi. Miami ha provato a limitare i danni il più possibile dopo la partenza di LeBron James.

Basterebbe l’assenza di “King” James per giustificare le difficoltà di riassetto. In fondo il nativo di Akron capeggiava la squadra per punti, assist e rimbalzi.

Pat Riley ha fatto quello che poteva, l’unico modo per poter aspirare nuovamente al titolo sarebbe stato il rinnovo di LeBron ma la ri-firma di Bosh e l’arrivo di Deng erano il massimo possibile per mantenere la squadra competitiva ad Est dopo l’addio di James.

Invece le vittorie dopo un buon inizio hanno cominciato a diminuire e il gioco a peggiorare. Ad Est il record attuale poco al di sotto del 50% garantirebbe comunque un posto ai play-off ma questo mese finale del 2014 ha messo a nudo i difetti di una squadra che ha mantenuto l’identità  di gioco delle ultime stagioni senza avere a disposizione gli stessi interpreti.

Se l’edizione 2013-2014 degli Heat, seppur non vincente, si è dimostrata competitiva ai massimi livelli anche avendo a roster giocatori come Oden e Beasley dal grande potenziale ma per svariati motivi dallo scarso rendimento, quella attuale mostra un roster con molti giocatori di ruolo sicuramente dal talento meno cristallino rispetto ai pari ruolo del passato. Il tutto ingigantito dagli infortuni dei due leader della squadra, Wade e Bosh.

Quello che era già emerso nella stagione del secondo titolo è stato confermato nella stagione conclusa con la vittoria degli Spurs: il rendimento di Wade dipende in maniera troppo diretta dalle condizioni del suo ginocchio che gli impedisce di giocare partite troppo ravvicinate, condizione che le serie frenetiche dei play-off aggravano ulteriormente.

Il primo ostacolo da superare, quello della partenza di James, sembrava essere stato superato senza traumi eccessivi ma si è ripresentato ancora più grande quando oltre alle solite bizze del ginocchio di Wade anche Bosh si è dovuto fermare ai box.

Qui Miami si è resa conto che la qualità media del roster si è abbassata notevolmente anche perché dalla panchina non portano più il loro contributo Ray Allen, Mike Miller, Shane Battier, James Jones e Rashard Lewis.

I primi tre sono stati attori protagonisti dei titoli vinti e con Jones e Lewis sarebbero stati i veterani capaci di portare esperienza. Oggi questi giocatori avrebbero fatto comodo soprattutto nei momenti di difficoltà e avrebbero dato costanza al gioco degli Heat.

Nonostante i cambiamenti profondi Spoelstra è riuscito a dare un’identità precisa alla squadra che poco si discosta per idee e strategia da quella del recente passato. Semplicemente cambiano gli interpreti.

I raddoppi su James, Wade e Bosh una volta erano puniti da una serie di tiratori come i cinque sopracitati spesso liberi grazie alle rotazioni innescate dalle penetrazioni delle tre stelle abilissime nell’uno contro uno.

Rincarando la dose l’assenza di James è quanto mai evidente in difesa dove un giocatore completo e in grado di marcare praticamente chiunque come lui non è sostituibile. La difesa tutta “aiuto e recupero” degli anni scorsi è sempre stata molto dispendiosa ma permetteva di sopperire alle mancanze di chili e centimetri derivanti dalla scelte di giocare con un quintetto leggero in attacco con James da ala grande. Oggi l’applicazione è la stessa, i risultati non sempre.

Analizzate le difficoltà oggettive non era pronosticabile una prima parte di stagione così difficoltosa. A dicembre le sconfitte con Bucks, Jazz e 76ers erano decisamente evitabili, parzialmente attenuate dalla vittoria con i Cavs al ritorno di James a South Beach.

In pre-season i pronostici mettevano Miami tra le primi quattro forze ad Est, dietro Cleveland e Chicago a lottare con Washington e Toronto per il terzo posto ma sicuramente più in alto di Atlanta e Milwaukee.

Gli infortuni giustificano in parte una classifica deficitaria ma quello che colpisce maggiormente è l’incapacità degli Heat di battere le dirette concorrenti per i play-off e questo è un segnale poco incoraggiante.

Se tutto il roster tornerà a disposizione di Spoelstra, Miami potrà scalare qualche posizione e affrontare la post-season forte di una squadra con i giocatori principali con moltissima esperienza e con la possibilità di passare il primo turno anche ribaltando l’eventuale fattore campo avverso. Un passaggio alla finali di conference è difficilmente pronosticabile.

Miami è una squadra che potrà mantenersi a buoni livelli anche nei prossimi anni ma difficilmente potrà rivoluzionarsi e puntare nuovamente al titolo. Il roster è bloccato dai contratti dei giocatori principali che hanno già scollinato oltre i trent’anni e che vivranno gli ultimi anni “buoni” della carriera nelle prossime due-tre stagioni.

Bosh ha monetizzato al massimo l’ultimo contratto lungo della carriera, Wade è il giocatore franchigia che nessuno avrà mai il coraggio di mandar via nonostante gli acciacchi fisici ne limiteranno sempre di più l’utilizzo, Deng è in calo dopo anni logoranti a Chicago.

I tempi delle NBA Finals sembrano già lontani a South Beach e la squadra quattro volte finalista tra il 2011 e il 2014, o quello che ne resta, sta per iniziare la fase finale della suo ciclo consapevole che gli anni migliori ormai sono alle spalle.

 

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