Qual è il posto dei Rockets all’interno delle difficili gerarchie della sempre (iper)competitiva Western Conference?

010814-NBA-Houston-Rockets-Howard-HF-PIDifficile dirlo, ci sono troppe variabili che possono condizionare una risposta di questo genere, si può quindi solo pensare che la probabilità più concreta sia una situazione di mezzo, dato che tra aggiunte e sottrazioni la struttura della squadra può presumibilmente permettere di arrivare ancora intorno alle 50 vittorie stagionali, ma questo, ad Ovest, significa solamente lottare per una posizione playoffs al limite tra il quarto ed il sesto posto, con il fattore campo per il solo primo round a rappresentare l’unico piccolo vantaggio per cui combattere.

La vera missione di Houston è superare il fatidico primo turno di postseason. Dalla stagione 2003/2004 ad oggi la franchigia ha staccato il biglietto per i playoffs in sette occasioni, in una sola delle quali è riuscita a vincere una serie.

Si prenda ad esempio l’anno passato: nonostante il cappotto rifilato agli Spurs in regular season, il ricordo più vivido dell’ultima volta che Harden, Howard e compagni furono in campo è chiaramente il buzzer beater di Damian Lillard, che spedì a casa tutti quanti dopo che i Rockets erano stati pensati quali favoriti, l’ennesima uscita di scena prematura che una volta in più ha sottolineato l’assenza di risultati consoni al roster assemblato dall’iperattivo general manager Daryl Morey, perennemente alla ricerca della trade in grado di liberare spazio salariale per un’altra futura superstar.

Quest’estate, tuttavia, è arrivata la conferma che Houston non è il primo pensiero dei free agents di prima fascia, e vani sono stati i corteggiamenti volti verso Carmelo Anthony, Kevin Love e Chris Bosh – il quale aveva già snobbato i texani la prima volta – tentativi di acquisizione che hanno portato un po’ di confusione al roster.

Da qui è nata difatti la debacle Chandler Parsons, la cui opzione contrattuale non è stata presa in attesa di capire se sarebbe arrivata la terza superstar, permettendo alla rivale Dallas di portarsi via un astro nascente, e dalle stesse premesse sono scaturite pure le trade sgombera-cap che hanno portato fuori città Asik e Lin.

Per qualcuno, nonostante la presenza della doppia H e un’addizione importante come quella di Ariza, tutto questo rappresenta un’involuzione verso la strada per l’assalto al titolo.

Conference: Western
Division: Southern

Arrivi: Trevor Ariza (F, Washington); Jeff Adrien (F, Milwaukee); Ish Smith (G, Phoenix); Joey Dorsey (F, FC Barcelona); Clint Capela (F, Round 1, Pick 25); Nick Johnson (G, Round 2, Pick 12) Tarik Black (F, CFA); Kostas Papanikolau (G, FC Barcelona), Jason Terry (G, Sacramento), Akili Mitchell (F, CFA).

Partenze: Chandler Parsons (F, Dallas); Jordan Hamilton (F, Toronto); Jeremy Lin (G, L.A. Lakers); Omer Asik (C, New Orleans); Omri Casspi (F, New Orleans) .

ROSTER

Guardie: James Harden, Patrick Beverley, Ish Smith, Isaiah Canaan, Troy Daniels, Jason Terry, Nick Johnson.

Ali: , Trevor Ariza, Terrence Jones, Francisco Garcia, Jeff Adrien, Tarik Black, Clint Capela, Kostas Papanikolau, Akili Mitchell, Robert Covington.

Ali-Centro: Joey Dorsey.

Centri: Dwight Howard, Donatas Motiejunas.

Quintetto base

PG: Patrick Beverley
SG: James Harden
SF: Trevor Ariza
PF: Terrence Jones
C: Dwight Howard

Head Coach: Kevin McHale

Una delle discussioni più frequenti che coinvolgono i Rockets riguarda James Harden. Il barba possiede difatti un arsenale offensivo quasi inimitabile nella lega, data la sua varietà: le abilità nel segnare in penetrazione prendendosi il consueto tiro libero aggiuntivo sono ben note dai tempi di Oklahoma City, il tiro da tre dopo l’arresto è una delle armi più efficaci di un giocatore che si è preso la grande maggioranza dei possessi offensivi di squadra, per la quale, dal momento del suo arrivo, è chiaramente il terminale numero uno. Harden sa prendere la gara in mano quando il pallone scotta e tende a vincerla, ma l’aspetto che più lo separa dalle primissime superstars della Nba è la sua perenne mancanza di applicazione in difesa.

harden_warriors_rocketesHarden è stato spesso spremuto al limite dando un occhio al minutaggio, ed ha sovente utilizzato i possessi difensivi per riprendere fiato facendosi battere in maniera spesso irritante dal diretto avversario. E’ chiaro che il prossimo step nella maturazione del giocatore sia quello di sfatare tale mito e diventare, un po’ alla volta, un difensore quantomeno affidabile, un aspetto che può essere nelle sue corde se applicato con la dovuta costanza. E’ un segnale di leadership che prima o poi il buon James dovrà dare ai compagni, se davvero vuol essere lui a traghettare i Rockets a traguardi davvero importanti, un salto di qualità definitivo per orientare la sua carriera cestistica.

Il backcourt vedrà tornare Patrick Beverley al suo posto di point guard titolare, dietro di lui una rotazione del tutto nuova data la partenza di Jeremy Lin, per cui andranno testate nuove soluzioni che possano dare in particolare modo una spinta offensiva in determinati momenti del match.

Beverley è difatti conosciuto per la grande qualità difensiva che mette in campo grazie alla capacità di asfissiare l’avversario di turno, è un buon tiratore da oltre l’arco, ma quando servirà un uomo in grado di attaccare istantaneamente McHale darà sicuramente un’occhiata approfondita al secondo anno Isaiah Canaan, sicuramente più adatto di Beverley nell’attaccare il canestro e giocatore dalla spiccata mentalità offensiva.

Rispetto a Lin, Canaan sembra possedere un tiro migliore, e gli verrà inoltre chiesto di privilegiare maggiormente la creazione del gioco rispetto al passato, tenendo al minimo possibile i palloni persi.

In questo quadro, ci sarà necessità di trovare spazio per uno dei protagonisti più improbabili degli scorsi playoffs, Troy Daniels, guardia mai scelta al draft che ha allungato il curriculum nella lega di sviluppo ai Rio Grande Valley Vipers, ottenendo una promozione insperata e mostrando qualità offensive pressoché istantanee nella serie persa contro i Blazers, con l’apice raggiunto in gara 4 con 17 punti e 4/5 dalla lunga distanza, segno che Houston può contare su di lui qualora avesse bisogno di una mano calda in grado di contribuire dalla panchina.

L’acquisizione di Jason Terry, prelevato da Sacramento, sembra più un’operazione volta ad inserire una voce navigata all’interno dello spogliatoio che non una ricerca di un contributo effettivo sul campo – motivazioni che potrebbero stare alla base anche del rinnovo ricevuto da Francisco Garcia – ma l’esperienza playoffs del Jet può sempre tornare utile.

ArizaRocketsLa novità del quintetto base è un cavallo di ritorno: perso il versatile Parsons, ovvero la terza opzione offensiva di squadra, il posto di ala piccola tornerà di proprietà di Trevor Ariza, che da queste parti c’era già stato nel 2009, con la differenza che all’epoca si pensava potesse evolvere in una stella di prima fascia, ma Houston scoprì a proprie spese che non sarebbe stato così.

Ariza ha però dimostrato di poter giocare un ruolo determinante per un team che ambisce a percorrere tanta strada nei playoffs, si veda l’esperienza a Washington, è un giocatore di notevoli qualità atletiche ed a livello difensivo ci sono davvero poche discussioni sulla sua efficienza.

Si incastra molto bene in una conformazione come questa, dato che tira spesso giù rimbalzi offensivi, una delle pecche di squadra, ed ha la rapidità per iniziare e finire il contropiede, una delle armi con cui i Rockets possono fare la differenza, dato che come tempi di percorrenza del campo possono essere considerati secondi a pochi.

Tornerà sicuramente utile la sua precisione da oltre l’arco dei tre punti, ma il motivo vero di questo secondo giro a Houston è ancora quel tiro di Lillard, che sarebbe potuto essere quantomeno contestato se solo ci fosse stato uno come Trevor in campo.

Il frontcourt appare perlopiù sottodimensionato, e presenta una profondità invidiabile.

Sarà la seconda stagione dei Rockets con Dwight Howard quale centro titolare, con il giocatore un anno più distante dalle numerose critiche che lo attanagliarono dopo la sua dipartita da Los Angeles, dove dimostrò di non essere un franchise player.

Oggi la schiena sta meglio, anche se è necessario sottolineare che la produzione del giocatore è sempre e comunque stata costante, tuttavia i Rockets non sono una squadra efficiente sotto i tabelloni, e Howard può essere dominante sotto questo aspetto. Il tallone d’Achille restano i tiri liberi, le palle perse e alcuni falli assolutamente evitabili, eventi che in alcune gare hanno costretto McHale a toglierlo dal campo.

Si parla però di un Howard maturo e pronto a fare il leader, se ne attende la controprova sul campo.

La power forward titolare sarà Terrance Jones, che ha raddoppiato le sue cifre rispetto all’annata da rookie fornendo un contributo in doppia cifra in termini di punti e sfiorando i 7 rimbalzi di media, frutto della sua voglia di aggredire il canestro da ambo i lati del campo. L’esplosione di Jones era del tutto inattesa e per questo è stata accolta come una bellissima notizia da una squadra che da lui non si attendeva certo progressi così consistenti in così poco tempo, come attesta il minor rendimento collettivo in quella manciata di occasioni in cui l’ala si è dovuta fermare per infortunio.

donatas-motiejunasDietro di lui le soluzioni alternative non mancano, anche se l’idea è che Houston possa soffrire con le seconde linee in campo per mancanza di fisicità e statura.

Le attese sono sempre più alte per Donatas Motiejunas, che comincia una terza annata in Texas importantissima per il suo sviluppo ed arriva da un’estate piena di soddisfazioni, dove si è rivelato essere dominante nella competizione della Summer League. Va tutto ovviamente preso con il contagocce, ed i reali progressi, soprattutto difensivi, andranno testati in campionato, quello vero: D-Mo può essere un terminale offensivo alternativo interessante se manterrà le premesse estive, ma da lui ci si attende molta più cattiveria a rimbalzo ed una maggiore tenacia in marcatura, l’unico modo per fargli guadagnare minuti e stima da parte dello staff.

Il quadro è completato da Joey Dorsey, poca statura ma spalle larghissime e forti, anch’egli di ritorno a Houston dopo l’esperienza europea, nella quale ha giocato molto bene vincendo il campionato a Barcellona, stessa identica provenienza e sorte del greco Kostas Papanikolau, un lungo capace di difendere forte, fluido nei movimenti senza palla, ed in possesso di un discreto jump shot con un raggio di tiro che, seppur migliorabile, può saltuariamente estendersi dietro la riga dei tre punti.

A dare man forte ci sarà pure Jeff Adrien, altro elemento in grado di fornire qualche minuto di qualità in difesa ed aiutare a rimbalzo, pur ritrovandosi anch’egli un po’ sottodimensionato rispetto a quelle che sarebbero le esigenze di squadra.

Dal punto di vista difensivo sembra quindi sensata la scelta al draft di un lungo capace di stoppare e prendere rimbalzi con tempismo come lo svizzero Clint Capela, mentre l’altro rookie, Nick Johnson, è una guardia incline alla schiacciata spettacolare, molto atletico e considerato come l’ennesimo potenziale steal di Morey al secondo giro.

Ancora una volta Houston si presenta ai nastri di partenza della stagione come squadra molto forte, ma con chiare lacune che la separano dall’èlite. Il salto di qualità definitivo lo possono dare solo Harden e Howard, per il resto il roster sembra molto completo e futuribile, fortemente caratterizzato dal fiuto di Morey nel trovare talento ovunque. Il discorso, tuttavia, è sempre lo stesso: i giovani presenti oggi sono il futuro della squadra o allettante merce di scambio per attirare il pezzo finale del puzzle per il titolo?

Che la risposta stia da una parte piuttosto che dall’altra ora non è dato sapere, l’unica certezza è che in entrambi i casi è obbligatorio fare strada nei playoffs, e per i Rockets questo è l’unico traguardo di squadra che conta davvero.

 

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