Linea verde, color speranza.

La livrea dei Boston Celtics sembra il manifesto programmatico di una stagione che appare quanto mai rivolta al futuro, vista la conclamata impossibilità di competere ad alto livello per la seconda annata di fila.

Ricostruire non è semplice per una franchigia che ha più stendardi appesi al soffitto di qualunque altra; nella Beantown, però, si sono armati di pazienza, in vista di un 2014/2015 che sarà terreno di decisioni cruciali per il futuro biancoverde.

Conference: Eastern
Division: Atlantic

Arrivi: Marcus Smart (pg, scelta #6 del Draft), James Young (g/f, scelta #17 del Draft), Evan Turner (g/f, Indiana), Tyler Zeller (c, Cleveland), John Lucas III (pg, Cleveland), Dwight Powell (c, Cleveland), Malcolm Thomas (f, Cleveland), Erik Murphy (f, Cleveland)

Partenze: Kris Humphries (f, Washington), Jerryd Bayless (g, Milwaukee), Keith Bogans (g, Cleveland), Chris Johnson (f), Chris Babb (g)

ROSTER

Guardie: Rajon Rondo, Avery Bradley, Marcus Smart, Marcus Thornton, Phil Pressey, John Lucas III

Ali: Jeff Green, Evan Turner, James Young, Brandon Bass, Gerald Wallace, Malcolm Thomas, Erik Murphy

Ali-Centro: Jared Sullinger, Kelly Olynyk

Centri: Tyler Zeller, Joel Anthony, Vitor Faverani, Dwight Powell

Quintetto base

PG: Rajon Rondo
SG: Avery Bradley
SF: Jeff Green
PF: Brandon Bass
C: Jared Sullinger

Head Coach: Brad Stevens

Tutto tace sul fronte biancoverde. Dopo una stagione in tono minore vissuta alla ricerca di una Luck of the Leprechaun che in sede di Draft risulta spesso avversa ai Celtics, la tanto attesa estate della riscossa dopo la decisione di iniziare l’inevitabile processo di ricostruzione dopo la fine dell’era dei Big Three si è invece rivelata un’ideale e non certo auspicata propaggine della scorsa stagione.

Le polveri dei fuochi d’artificio promessi dalla proprietà, nella persona dell’entusiasta ma spesso precipitoso Wyc Grousbeck, sono rimaste bagnate, per un mercato che è scivolato via senza botti né sussulti di sorta.

Il sogno di affiancare Kevin Love a Rajon Rondo è rimasto tale, perché il californiano ha scelto di sposare la causa dei redenti Cavs del figliol prodigo LeBron, legandosi alla franchigia dell’Ohio per formare un nuovo trio che, completato da Irving (Mvp della recente rassegna iridata) promette di potersi giocare importanti chance di titolo negli anni a venire.

Il mancato arrivo di Love ha confermato la tendenza che nelle ultime stagioni ha visto la franchigia della Beantown respinta nei suoi assalti ai pezzi pregiati del mercato. La storia spesso non basta, soprattutto quando il quadro generale appare quello di un limbo nel quale i Celtics sono costretti a muoversi alla luce della loro complessa situazione tecnico-salariale.

Non potrebbe essere altrimenti quando il tuo uomo squadra si appresta a entrare nell’ultimo anno del suo contratto e, oltre al non trascurabile fattore dell’atipicità del suo profilo tecnico e mentale, è reduce da un infortunio al crociato che gli ha permesso di giocare appena 68 partite nelle ultime due stagioni.

La situazione di Rajon Rondo ai nastri di partenza di una stagione cruciale per la sua carriera, quella che precederà l’ultimo (o forse unico, viste le cifre del precedente accordo) contratto da giocatore d’élite, non è delle più semplici: non è un mistero che RR9 punti a un rinnovo che gli possa garantire il massimo salario possibile, che tradotto in soldoni (nel vero senso della parola) corrisponde a un contratto quinquennale da circa venti milioni a stagione.

Cifre da giocatore che sposta gli equilibri, caratteristica che sicuramente non fa difetto al neo capitano biancoverde, ma che fa comunque vacillare e riflettere la dirigenza di casa Celtics.

Il manico del coltello sembra essere tutto dalla parte del numero 9: Rondo compirà 29 anni nel febbraio prossimo, e allo stato attuale si trova “costretto” a spendere gli anni della massima maturità agonistica in una squadra che non può rispecchiarne le grandi ambizioni personali.

Come se non bastasse, l’aumento della soglia del Salary Cap sta facendo lievitare le cifre percepite dagli attori protagonisti, e il recente e affatto scontato rinnovo di Eric Bledsoe (che si è legato ai Suns per cinque anni a 12 milioni a stagione) legittima il prodotto di Kentucky a battere cassa. Una questione spinosa, non certo agevolata dal misterioso infortunio alla mano sinistra (ufficialmente motivato come un non meglio precisato incidente nella doccia) che ha costretto il capitano a finire sotto i ferri, per uno stop forzato che si aggirerà intorno alle 6/8 settimane.

Aggiungendo le dichiarazioni dell’incauto Grousbeck (sempre lui), che in una recente intervista ha parlato di un giocatore “non facilmente allenabile” a causa della sua grande cocciutaggine, risulta inevitabile trattare coi guanti la faccenda, per evitare di dare il via al sequel delle tante telenovele contrattuali che hanno tenuto banco in molte franchigie nelle stagioni più recenti.

Danny Ainge non ha tardato a vestire i panni del pompiere, dichiarando di attendersi la miglior stagione della carriera del ragazzo e di vedere per lui un futuro a lungo termine con la casacca biancoverde, ma al momento la soluzione sempre ancora lontana dall’essere trovata.

Il futuro di Rondo, però, non è l’unico punto interrogativo per questi Celtics che si accingono a iniziare il secondo anno dell’era di rebuilding mode. Brad Stevens ha un anno di esperienza in più, ma avrà il non facile compito di far tenere la rotta a una squadra sempre più giovane e con più di un nodo da sciogliere.

Il primo di questi sarà quello di riuscire a trovare la giusta chimica nella convivenza tra Rondo e Marcus Smart, giocatore arrivato a Boston con la sesta scelta assoluta dell’ultimo Draft. Concentrarsi sullo sviluppo di un giovane di sicuro valore come il prodotto di Oklahoma State potrebbe sembrare un controsenso con l’operazione-fedeltà necessaria nei confronti di Rondo, viste le caratteristiche molto simili dei due giocatori.

Coach Stevens dovrà trovare un non facile equilibrio tra l’affidamento delle chiavi al capitano e la collocazione tattica di Smart, che dovrà dimostrare da subito la bontà delle sue qualità tecniche e mentali, imparando anche a giocare lontano dal pallone. Il giovane coach biancoverde sarà in un primo momento “agevolato” dal k.o. di Rondo, che in avvio di stagione spalancherà le porte per un maggior minutaggio a favore del rookie nativo di Flower Mound.

Ma quali sono le reali ambizioni dei Celtics edizione 2014/2015? Verrebbe da dire modeste, dato che i biancoverdi si affacciano ad una stagione che sulla carta prospetta la non lusinghiera promessa di ricalcare quella passata.

Come detto, i punti interrogativi rimangono tanti, e riguardano sia i giovani che i “senatori”. Coach Stevens dovrà convivere con dilemmi quali la collocazione in campo di Sullinger, molto dimagrito e motivato per confermare i progressi della scorsa stagione ma al tempo stesso sospeso tra una ideale attitudine da ala grande e un presente da centro per necessità.

Sempre parlando di giovani in rampa di lancio, Olynyk sarà chiamato a ripetere quanto mostrato nell’annata da rookie, possibilmente intensificando i picchi di splendida vena e versatilità offensiva e risolvendo i problemi di falli che ne hanno spesso limitato i minuti sul terreno di gioco.

Tra i “veterani”, invece, ci sarà da fare i conti coi dubbi amletici di un Jeff Green che non sembra ancora aver deciso cosa fare da grande, anche se la passata stagione ha in linea di massima chiarito che ci troviamo di fronte ad un giocatore capace di fiammate da campione alternate a lunghe pause da timido comprimario.

Anche Brandon Bass vivrà un’annata particolare, coincidente con la scadenza del contratto (e di riflesso la volontà di giocare tutte le proprie carte in vista della firma di un nuovo accordo) e l’esigenza pressante da parte del coach di dare campo e minuti ai giovani che premono per fare le scarpe al numero 30 che, per impegno e dedizione alla causa, ha saputo farsi apprezzare anche e soprattutto nel corso della passata stagione.

Le domande, come detto, sono tante: a coach Stevens il compito di trovare le risposte, in attesa delle quali il muro delle trenta vittorie stagionali sembra essere l’unico obiettivo realistico per questi Boston Celtics.

In un quadro di questo genera non va però dimenticata l’arma segreta a disposizione dei biancoverdi: avere Danny Ainge alla guida del management è garanzia di competenza ai massimi livelli, unita ad estro e imprevedibilità nelle decisioni, che quest’anno più che mai saranno assolutamente fondamentali per il futuro a breve ma anche a lungo termine della franchigia del Trifoglio.

Al netto dei mancati fuochi d’artificio, il mercato condotto da Ainge è stato un elogio alle nozze coi fichi secchi: un numero incalcolabile di scelte ottenute attraverso trade di giocatori totalmente ai margini del progetto (come quelle acquisite nelle ultime ore in cambio di Keith Bogans), l’arrivo di un ragazzo ancora futuribile e da rilanciare come Zeller e quello del talentuoso ma scostante Thornton (contratto in scadenza, che lo rende una preziosa pedina di scambio nell’ottica di eventuali movimenti di mercato nel corso della stagione) e, last but not least, la firma di un talento inespresso come Turner con una scommessa praticamente a costo zero (il rendimento del buon Evan non potrà certo essere peggiore di quello visto con la maglia dei Pacers) sono la conferma delle eccezionali qualità del GM biancoverde.

Il prestigiatore Ainge è capace di estrarre il coniglio dal cilindro in qualsiasi momento: aspettiamoci tutto e il contrario di tutto, in una stagione che vedrà i Celtics ancora una volta proiettati verso la speranza di un futuro nuovamente vincente.

Speranza verde come l’età media del roster, come i colori di un Trifoglio che, presto o tardi, tornerà in una posizione più congeniale alla sua lunga e gloriosa storia.

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