Notte di esami, notte di risposte. La Triple A di bianco vestita è pronta ad accogliere i suoi eroi, tornati sconfitti dalla Fieldhouse di Indiana in una partita che, quasi paradossalmente, ha mostrato una delle migliori versioni degli Heat viste in questi playoff. Giocando praticamente senza LeBron James, menomato dai problemi di falli, gli uomini di South Beach sono arrivati a un Paul George dal chiudere i conti in cinque partite, perché solo la prova monstre del 24 di Indiana ha evitato un 4-1 che avrebbe avuto il sapore della Caporetto per gli hoosiers. Miami sa di poter archiviare la serie tra le mura amiche ed è decisa a farla, per non dover giocare una gara 7 infernale in trasferta; dal canto loro i Pacers hanno fatto il pieno di autostima, e con un George così tutto potrebbe essere ancora possibile.

Inutile dire che tutti aspettano con ansia la partita nella partita: Stephenson ha fatto discutere con il suo atteggiamento al limite della pagliacciata, ma alla prova dei fatti ha condizionato non poco la serata di LeBron. Tutto il mondo sa che il Re, silenzioso ma adirato, ha già pronta la sua risposta, da vivere in un altro capitolo di un duello che promette ancora ruggini e scintille.

L’inizio di gara vive sulle ali dell’entusiasmo ospite: i Pacers partono alla grande, con un 9-2 costruito su un attacco arioso ed efficace che mette in ritmo Stephenson e West. Miami sembra leggermente ingolfata in questo inizio di gara, con l’attacco che riesce anche a costruire un paio di buoni tiri che però non trovano il fondo della retina. I Pacers muovono la palla che è un piacere, ma George lancia un brutto messaggio rifiutando una tripla aperta con un extra passaggio che costa la violazione dei 24 secondi offensivi; non è da questi particolari che si giudica l’atteggiamento di una squadra, parafrasando De Gregori, ma evidentemente gli Heat si accorgono che agli avversari (nella fattispecie a colui che li ha messi alle corde praticamente da solo appena due sere fa) forse fa difetto quel killer instinct imprescindibile in situazioni del genere. Sta di fatto che, coincidenza o meno, questa azione marca un passaggio decisivo del match: i padroni di casa iniziano a macinare il loro basket, chiudendo un parziale di 11-0 ispirato da un James dominante e incontenibile per la difesa avversaria. Si rivede Chris Andersen, costretto a saltare le ultime due gare per un colpo tanto duro quanto involontario subito da Wade; Indiana nel frattempo si affida a Stephenson, che nonostante i fischi assordanti del pubblico non cambia di una virgola il suo atteggiamento impavido, con la seconda tripla della sua serata che tiene i Pacers a -2. 625x527-107Lance però sconfina, stavolta decisamente e senza giustificazione che tenga, nel campo di un gioco sporco che va oltre la psicologia e il trash talking, con un tocco malizioso al volto di un James che, stavolta, fa davvero fatica a contenere la propria reazione. Poco male per gli Heat, perché in uscita dal timeout gli uomini di South Beach mettono a segno un altro parziale (9-0) che inizia a indirizzare la partita: Andersen porta un’energia troppo spesso data per scontata ma che emerge in tutta la sua prepotenza dopo due gare nelle quali gli Heat ne hanno dovuto forzatamente fare a meno, con 5 rimbalzi in appena tre minuti grazie ai quali i padroni di casa fanno la voce grossa sotto i tabelloni. James tiene saldamente in mano le redini del match, segnando l’undicesimo punto in uno contro uno su George e poi innescando magnificamente Battier che va a segno dall’arco alzandosi dal prediletto angolo, per dare agli Heat un vantaggio di 24-13 al termine dei primi dodici minuti di gioco. Dopo l’ottimo avvio i Pacers restano di sasso, inchiodati da un attacco che non carbura più e dallo strapotere di Miami, che dopo il 9-2 iniziale piazza un 22-4 negli ultimi otto minuti del primo quarto che lancia un chiaro messaggio sull’andazzo della serata.

Inizia il secondo quarto, e la vena offensiva di Miami diventa addirittura imbarazzante per la facilità con la quale i padroni di casa trovano la via del canestro: Andersen catalizza ottimamente le penetrazioni incontrastate di James e Cole, che lo pescano in vernice per tiri ad altissima percentuale. 625x527-108Stephenson continua a metterci il cuore, imbucando una tripla da otto metri e poi buttandosi nel traffico per appoggiare al vetro il suo undicesimo punto, ma poi si lascia tradire dal sangue caldo che gli annebbia la mente in difesa e lo porta a commettere il secondo fallo personale, un flagrant per aver abbassato la mannaia sul malcapitato Cole che riceve un colpo non da poco. Miami concretizza i due liberi e il possesso successivo, West ci prova con la consueta grinta e l’animo da uomo squadra, ma gli Heat hanno ormai tolto l’ancora e sono pronti a salpare verso il mare aperto: Wade ci ha preso gusto e segna un’altra tripla dal palleggio, Bosh si aiuta chiedendo un prestito alla banca della Triple A o con la bomba di tabella e il vantaggio dei padroni di casa scollina oltre i 20 punti. Sembra di rivivere il remake della gara 7 dello scorso anno, quando i Pacers furono surclassati dagli uomini di South Beach in un blowout che chiuse una serie combattutissima; Miami stavolta si affida a Chris Bosh, la cui vena al tiro mette in imbarazzo un Hibbert costantemente nella terra di nessuno, incapace di chiudere sugli scarichi per il numero 1 di casa. Miami continua a essere letale dall’arco con Lewis, mentre James chiude il primo tempo con due liberi dopo aver orchestrato da consumato regista l’allungo, che minaccia di essere già decisivo, dei suoi. 625x527-106Heat avanti 60-34 all’intervallo: la guerra dei mondi che non c’è mai stata si sta trasformando in un monologo dei bi-campioni in carica, che come accade da ormai tre anni a questa parte tendono a non sprecare le cartucce che contano. James è dominante in un primo tempo da 15 punti, 4 assist e 3 rimbalzi, e la foto della fame degli uomini di South Beach è la sua intervista di metà gara, nella quale si dichiara non completamente soddisfatto di un primo tempo che si è rivelato di completa marca Heat. Il dominio del Re è quello di sempre, coadiuvato dai jumper di Bosh che mandano in tilt l’inadeguata difesa ospite. Non possono bastare il cuore di West e la sfrontatezza di Stephenson, se il giocatore che ha salvato capra e cavoli in gara cinque non scende neppure in campo: George chiude la prima metà di gara con 0/6 dal campo e un solo punto all’attivo, né Hibbert né il resto della ciurma riescono a sopperire alle paturnie del giovane numero 24 e il risultato è che i Pacers devono armarsi di binocolo per scorgere gli Heat ormai in fuga. Resta ancora metà partita da giocare, ma il destino del match e della serie paiono abbondantemente segnati.

George si sveglia con un tempo di ritardo, iniziando con mano caldissima dall’arco; Miami però non fa una piega e certo non si lascia impressionare, e al fiammifero acceso dai Pacers risponde imbracciando il lanciafiamme per polverizzare definitivamente ogni residua velleità degli ospiti. James è strepitoso col turnaround allo scadere ma soprattutto con la regia con la quale guida l’attacco dei suoi: i pick and roll orchestrati con Lewis e Bosh mandano definitivamente fuori giri la difesa di Indiana, con i lunghi incapaci di chiudere sulle ricezioni degli ineluttabili Bosh e Lewis.625x527-105 È tutto troppo facile per gli Heat, che toccano quota trenta punti di margine con più di un quarto e mezzo rimasto da giocare scrivendo la parola fine su un match che diventa un gioioso garbage time per il pubblico di casa. Si arriva così fino alla sirena finale, che sancisce il trionfo degli Heat e il fallimento più che mai rumoroso dei piani di guerra dei Pacers, annichiliti col punteggio (forse addirittura generoso) di 117-92.

1, 2, 3: Dominate. Era il mantra, la frase pre partita dei primi Heat targati Big3, quelli che dopo una cavalcata senza ostacoli si infransero inaspettatamente sul muro dei Dallas Mavericks per una bruciante sconfitta nelle Finals 2011. È curioso che, una volta abbracciato il basso profilo e abbandonate le autocelebrazioni e i proclami di grandezza, la squadra di South Beach sia esplosa in tutto il suo potenziale, rivelandosi una delle più perfette macchine da pallacanestro mai costruite. Le statistiche stasera non servono, anche perché il box score finale risulta indubbiamente falsato e inflazionato (per i Pacers, deflazionato per gli Heat) dai 20 minuti di garbage time conseguenti al no contest visto sul parquet. Di numeri ne basta uno, il quattro, come i trofei consecutivi di campioni della Eastern Conference sollevati al cielo di South Beach: la quarta Finale consecutiva è un traguardo concesso a pochi eletti, un terreno fino a qui precluso a chi non si chiamasse Boston Celtics o Los Angeles Lakers. Gli Heat hanno centrato il primo traguardo stagionale, confermando la supremazia sulla costa Est malgrado la sfida totale lanciata dagli Indiana Pacers. Ma i campioni veri fanno la differenza in questi momenti, quando le chiacchiere (e sotto questo profilo Indy ha ben poco da invidiare a chiunque vista la lingua lunga di Stephenson) stanno a zero ed è solo il campo a dover parlare. E il verdetto del parquet è stato quanto mai unanime, premiando una squadra che tra meno di una settimana sarà proprio lì dove voleva essere, al posto giusto per giocarsi la chance di scrivere un altro pezzo della meravigliosa storia della Nba.

Gli Heat stasera si siederanno comodi sul loro trono dell’Est, che ormai ha preso la forma dei glutei di LeBron e soci vista la lunga reggenza, prendendo appunti sui prossimi avversari che troveranno sul loro cammino. Stiamo pronti ad accomodarci anche noi, mettendoci belli comodi in poltrona per gustarci l’ennesimo capitolo di una saga che non smette mai di entusiasmare.

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