Alla fine, al termine di 7 avvincenti partite, seppure non si possano definire propriamente entusiasmanti, hanno la meglio i più esperti Nets sui giovani e rampanti Raptors.

Lo score ancora una volta racconta di una sfida dall’esito incerto e dal finale tirato, concluso con la vittoria della squadra in trasferta per 104-103, grazie alla stoppata nella rocambolesca azione finale rifilata da Paul Pierce (uno che per gare 7 giocate fra i giocatori in attività è secondo solo a Ray Allen: 8 prima di questa con 21,3 pts e 6,6 reb di media) all’indomito Kyle Lowry.

Se allarghiamo un attimo il discorso al confronto fra le due squadre nell’arco dell’intera stagione e quindi ragioniamo sulle 11 partite disputate in tutto, vediamo come il punteggio cumulativo finale reciti uno sconcertante 1.070 pari. Si fossero messe d’accordo, non avrebbero sortito lo stesso effetto.

Inutile quindi ritornare su come siamo arrivati a questo ultimo e decisivo atto. Molto più simpatico soffermarsi a raccontare di come abbia raggiunto l’Air Canada Centre il coach dei beniamini di casa Dwane Casey nell’immediata vigilia della partita: in metro, poiché con l’auto personale era impossibile visto il traffico cittadino dovuto alla maratona domenicale di Toronto.

Eppure ogni torontoniano che si rispetti sembrava presente sul posto dove si stava consumando la sorte della squadra di basket della città (e della nazione), all’interno o all’esterno dell’Arena. La marea di irriducibili che hanno affollato la Maple Leaf Square in ognuna delle 7 partite, comprese quelle in trasferta, ha suscitato simpatie in tutta America. Forse no, perché siamo pur sempre in Canada. Comunque sia, non sono passati inosservati gli 8/10.000 ardimentosi.

Tornando ai fatti di basket, nel matinée di domenica 4 maggio in palio c’era la storia. Nessuna delle due franchigie infatti aveva mai vinto prima una gara 7, nemmeno i Nets quando erano di stanza al di là del fiume e Kidd aveva allestito a East Rutherford, dal campo e non dalla panchina, l’ormai celebre flying circus.

D’accordo avevano raccattato qualche 3-2, quando vi erano ancora serie al meglio delle 5 gare, ma mai avevano trionfato nella cosiddetta game seven, come dice Flavio Tranquillo “le due paroline più dolci per ogni appassionato di sport americano”.

Oltre a ciò, alla vincente della sfida spettava anche l’onore, in aggiunta ovviamente all’onere, di giocarsela al secondo turno contro i Campioni NBA in carica dei Miami Heat. Se esiste ancora qualcuno che dopo questo pazzo primo round di playoff cerca di interpretare tendenze e statistiche, in stagione regolare Brooklyn è 4-0 con Miami, mentre Toronto.. beh, Toronto non ne ha vinta una delle ultime 15 contro la squadra della Florida (mai dall’era Big Three).

Prima della partita più o meno i temi tattici erano i soliti, rinfrescati persino dai volantini appesi da alcuni buontemponi al di fuori del Barclays Center in cui si faceva riferimento alla scomparsa di Deron Williams, con tanto di foto segnaletica. Ovviamente a mancare ad alcuni fan era il Deron terrore dello Utah, e non il ragazzo che da un paio di stagioni veste la maglia numero 8 dei Brooklyn Nets con sorti alterne.

Premesso che poi in gara 6 si è rivisto finalmente ai suoi livelli, le cifre del play sono piuttosto indicative prima di gara 7: 23 punti col 46% dal campo e il 38.1% da 3 nelle vittorie; 12,7 punti con il 37.1% totale e un ignobile 16.2% da oltre l’arco nelle sconfitte.

Tuttavia Blatche in conferenza stampa dopo la partita ha garantito che vinceranno i Nets, quindi perché preoccuparsi delle cifre di D-Will? Resta il fatto che quando Williams è aggressivo ed attacca l’avversario fin dai primi secondi dell’azione il cielo è sempre più blu sopra Brooklyn.

Discorso simile per la difesa, quando gli esterni dei Nets sono reattivi e sporcano le linee di passaggio, l’attacco dei Raptors fa molta più fatica ovviamente.

Un leitmotiv della serie è stato senza dubbio quello delle palle perse di Toronto: le 19,7 turnovers nelle prime 3 gare, che fruttavano 16,7 punti per gli avversari, sono diventate 13 nelle successive 3 e 9 nella settima, segno di una gestione della palla divenuta più accorta.

Per contro il dato dei rimbalzi, sempre in casa Raptors, è sceso da un altisonante 48,5 nei primi 2 episodi a 39,8 nelle ultime quattro prima della gara decisiva. A questo si è accompagnato un progressivo aumento delle carambole catturate dagli avversari.

Se si considera i punti segnati in area, si osserva nella serie un andamento altalenante ma di sicuro non positivo per Toronto che pareggiava nelle prime due gare i punti segnati nel pitturato dagli avversari (42,0 di media) e andava sotto 34,0 contro 44,0 (sempre degli avversari) nelle successive 4, per poi imporsi in gara 7 per 56-40.

È evidente che a un certo punto nella serie il vantaggio di centimetri e peso sotto le plance per i canadesi, che in genere opponevano Amir Johnson a Pierce, sia venuto meno, anche in seguito al calo nettissimo registrato da Valanciunas nella seconda settimana di playoff. Delle percentuali di tiro da 3 punti a dir poco scadenti per entrambe le squadre ma in netta ripresa a partire da gara 5 abbiamo già parlato a sufficienza.

Se però vogliamo essere onesti, il vero momento in cui è girata la serie (ammesso che questo sia successo perché l’equilibrio si è comunque mantenuto) è stato quando Jason Kidd, coach esordiente nei playoff (peraltro il primo di 19 rookie che hanno giocato una gara 7 in trasferta a vincerla), ha inserito l’ex-Virtus Bologna Alan Anderson in quintetto al posto di Shaun Livingston, che non aveva certo demeritato fin lì.

La scelta è stata motivata dal fatto che Anderson garantiva ai Nets una maggiore pericolosità da oltre l’arco dei 3 punti. Questo accorgimento ha migliorato il cosiddetto spacing, permettendo a Joe Johnson, l’uomo da cui è nato e morto l’attacco di Brooklyn in questa serie, di vedere più chiaramente il perimetro ogni volta che veniva raddoppiato – ed erano tante, quasi tutte.

Chi ha visto le partite, ha ancora negli occhi le decine di azioni sviluppate con Johnson che si fa spazio spalle a canestro, vede il raddoppio e scarica prontamente al compagno in punta, piazzato fuori dalla linea di tiro da 3, e questi che immediatamente esegue l’extra pass sul lato opposto dove un tiratore può comodamente prendere il tiro con spazio e piedi per terra.

Secondo le cifre di NBA Stats, il quintetto con Anderson insieme a Williams, Pierce, Johnson e Garnett in 37 minuti totali di impiego ha segnato nella serie 116,8 punti per 100 possessi, subendone solamente 82,6 (sempre per 100 possessi). Quello con Livingston insieme ai magnifici 4 conta invece 105,2 punti realizzati contro 95,8 subiti (x100 possessi) nei 55 minuti in cui è stato in campo.

Per la sola cronaca, proprio questa fluidità nella circolazione di palla è quella che caratterizza la prima parte di gara 7, quando Williams sembra aggressivo come gli ha richiesto l’allenatore e Pierce, Thornton e Anderson segnano da 3 punti con buona continuità.

Il primo, come un esperto cicerone che guidi i suoi verso lidi dove sono già stati in passato, che apre e chiude il quarto iniziale con una tripla, l’ultimo che viene imbeccato nell’angolo dopo che la palla è uscita dal raddoppio avventato di Amir Johnson sul post basso dei Nets con tempi rapidissimi. Segnatevi quest’azione che tornerà utile nel prosieguo.

Toronto è tenuta viva proprio da Amir Johnson che, scrutando nella spazzatura della partita, riesce a recapitare palloni che probabilmente non gli appartengono in fondo alla retina: nei primi 9 minuti segna 12 punti con 6-7 dal campo e 4 rimbalzi. Entra il solito Vasquez, segna in penetrazione e i Raptors provano ad allungare sul 26-20 a 2:16 dalla fine del quarto. I punti in area sono 20-12 fino a questo momento per Toronto, che tira con percentuali vicine al 60%. Patterson (ottimo nella serie chiusa con 10,4 pts, 6,7 reb, il 54.2% dal campo e il 38.9% da 3) segna 8 punti nelle primissime azioni in cui viene impiegato.

In difesa, con Amir Johnson sulle tracce di Livingston e DeRozan a marcare Thornton, per il gioco delle coppie Vasquez finisce su Joe Johnson ma mal gliene incoglie. Commette 3 falli in pochissimo tempo, l’ultimo su Garnett che segna il 34-34 a 8:52 dal riposo di metà partita e va in lunetta col tiro libero supplementare.

Con Livingston e il redivivo Thornton (grande impatto nella prima frazione con 14 punti e 3-4 da 3) è Brooklyn a sorpresa che spinge il piede sull’acceleratore. Correndo lungo tutto il campo si porta in vantaggio di 7 lunghezze.

Il tabellino di Lowry, irriconoscibile, a metà secondo quarto conta 14 minuti, 2 punti e 3 falli. Valanciunas è 0-3 al tiro (il suo plus/minus di -23 è impietoso). Continuano i raddoppi sistematici in post basso su Joe Johnson. Ad aiutare il marcatore diretto è ancora il lungo più vicino (Valanciunas o Amir Johnson).

Le rotazioni difensive dei Raptors però sono lente e complicate, l’esterno più lontano è sempre in ritardo sia sull’angolo opposto (2 volte su Anderson e Thornton) che in mezzo all’area, dove nel migliore dei casi si verifica comunque un mismatch (Garnett ha vita facile nell’appoggiare a canestro).

Amir Johnson è costretto ad andare in panchina per falli (3) sul più bello: i 18 punti (8-11 al tiro) segnati nel solo primo tempo costituiscono il suo playoff-career high (ci sono anche 6 rimbalzi). Il primo tempo però si chiude sul punteggio di 61-53 per gli ospiti.

Con questi primi due di gara 7, adesso i Nets segnano più di 114 punti per 100 possessi in 6 degli ultimi 8 quarti di gioco. Vedere alla voce “sostituzione di Livingston con Anderson” di cui sopra. Inoltre, nei primi 24 minuti tirano con 6-11 da 3 punti ed hanno 11 assist. Tutti segnali che certificano l’incremento di qualità implementato nell’attacco di Brooklyn.

La panchina è responsabile di 27 dei 61 punti totali (8-12, 3-4, 8-10). Nel secondo quarto i Nets si sono anche permessi il lusso di realizzare 5 canestri consecutivi intervallati da un 7/8 dalla linea della carità.

Ricomincia la contesa. Dopo nemmeno 3 minuti dall’inizio del terzo, Amir Johnson commette il suo quinto fallo ed esce quasi definitivamente dalla partita (chiuderà con 20+10).

La gara si trascina sempre sui 10 punti di scarto. Teletovic non la mette mai, DeRozan è impalpabile, Deron Williams si mette al lavoro. A 5:35 dall’ultimo riposo però Ross sbaglia completamente da solo la bomba che avrebbe dato ai suoi il -3, rimettendoli in partita.

La palla adesso ristagna un po’ di più fra le mani dei bianconeri e ci si affida alle soluzioni individuali di Johnson, Williams e Anderson. Si riaffaccia invece per Toronto lo spettro delle palle perse (4 in pochi minuti).

Ecco però la mossa di coach Casey: Joe Johnson deve essere raddoppiato non più dal lungo più vicino, bensì dalla guardia sul lato debole, che però è il paffuto Vasquez e non un veloce Ben Johnson. Questo non impedisce agli Anderson e ai Williams di turno, sornioni nell’angolo opposto, di continuare a prendersi le proprie conclusioni però le rotazioni sono più efficaci e i tiri un po’ meno incontestati.

I primi liberi di DeRozan arrivano con 1:02 sul cronometro da giocare nel terzo quarto (erano 12 ad allacciata di scarpe nei primi 6 incontri). Il numero 10 in maglia chiara sembra però risvegliarsi quando con un maestoso quanto difficilissimo step-back da 3 punti dall’angolo destro fissa il punteggio alla fine del quarto sull’81-73.

Nel corso di tutto il secondo tempo le percentuali da oltre l’arco dei Nets precipitano (2-12 in totale, 16.7%) se si eccettua l’ispirato Thornton che rientra e la mette dal lato (17 alla fine: lo stesso numero di punti segnati nel resto delle gare della serie).

KG a rimbalzo è una bestia, va in doppia cifra con ancora 9 minuti e mezzo da giocare (doppia-doppia numero 86 nei playoff, secondo solo a Duncan). Pierce è costretto in panchina dai falli (5). Intanto si è svegliato Kyle Lowry: segnerà 13 punti nei 10 minuti finali.

A 7:53 dalla fine succede di tutto. Su un rimbalzo in attacco di Joe Johnson, l’altro Johnson, Amir, commette il suo sesto fallo, subisce un brutto colpo e saluta la post season.

Garnett nel frattempo frappone il suo corpicione spigoloso tra Lowry e qualsiasi posto dove voglia andare con la palla in mano a gioco fermo. Dai Kevin, su! Come fosse la prima volta… Tecnico al Bigliettone.

Nel secondo tempo Brooklyn tira col 36.6% mentre Toronto si assesta su un più che dignitoso 47.1%. I rimbalzi offensivi sono invece 10-5 per i Nets. Quando la tavola è apparecchiata, sale in cattedra Joe Johnson che segna 11 punti in fila, mostrando tutto il repertorio (che è piuttosto vario).

La marcatura di DeRozan, più piccolo, lo stimola e non poco. In gara sette 10 dei suoi 26 punti finali sono arrivati contro DeRozan. Nella serie la guardia da Southern California ha preso il 7 avversario nel 36%% dei casi permettendogli di segnare 1,31 punti per gioco (61% al tiro). Contro gli altri Raptors ha segnato invece una media di 1,01 punti per gioco (46.4%).

Il dato forse più interessante però è la distanza media dalla quale tira Johnson: 9,9 piedi contro DeMar, 14,2 contro gli altri. È chiaro che questa marcatura risulta quantomeno scomoda. DeRozan però, se subisce in difesa la potenza fisica dell’avversario più o meno dalla prima palla a due, viene fuori in attacco anche nell’ultimo quarto dell’ultima sfida (come fatto nelle 5 precedenti, la prima è dei ragazzi – si è soliti dire al campetto). Segna 7 punti con 5-5 ai liberi.

A 3:42 dal termine segna, pensa di aver subito il fallo di Blatche, invece per gli arbitri è sfondamento e la protesta che ne segue gli vale il fallo tecnico. Il floating jump shot del solito, immarcescibile Joe Johnson da una parte e i liberi e le giocate di Lowry (28 pts alla fine) e Patterson dall’altra trascinano anche questo settimo episodio all’arrivo in volata.

Sul 102-98 Nets a 22.5 secondi dalla fine, D-Will subisce il fallo. Ha 6-8 dalla lunetta fin qui ma in questi playoff non si può certo definire un clutch player per quanto riguarda i tiri liberi: nella serie è 4-8 nell’ultimo minuto col punteggio in bilico, entro i 5 punti di scarto. E infatti segna solo il secondo. Dall’altra parte Lowry affetta la difesa come il burro, va dentro ed appoggia comodamente al ferro il -1.

A 13.2 dalla fine fallo su Livingston che ha 11-16 nella serie ai liberi ma fa 2-2 in questo frangente. Di là, di nuovo, Brooklyn si riserva di non difendere e Ross, forse il peggiore dell’intero primo round di playoff (almeno a giudicare dalle aspettative riposte su di lui), segna facilmente il punto del 104-103 in favore dei Nets.

Negli ultimi 8 secondi e spiccioli della sfida si compie finalmente il destino di queste due squadre che si son date così strenuamente battaglia per giorni. Prima su un’orrenda rimessa di Livingston, Ross tocca la palla e, mentre sta uscendo dal campo, la indirizza contro il corpo di Pierce, colpevole di essere andato un po’ troppo soft su quel possesso. Rimessa Raptors.

Poi, nell’ultimissima giocata, Lowry spezza abbastanza casualmente il raddoppio di Williams e Garnett, si getta verso il canestro ma trova la stoppata di The Truth. La verità si è nuovamente rivelata. Dopo aver fatto registrare 0 punti e 3 falli nell’intero secondo tempo, con un errore da 3 punti centrale nel minuto finale, Double-P rispedisce al mittente l’ultimo assalto degli avversari e lo fa con il tempismo, la leggerezza e l’accuratezza di un felino. Certo perché di gesto atletico nel suo significato più comune non si può parlare.

Drake si rimette a sedere, il capitano dei Maple Leafs di hockey Dion Phaneuf con la moglie attrice se ne tornano mestamente nelle proprie stanze e scorrono i titoli di coda.

Il premio di MVP della serie senza ombra di dubbio va conferito a Joe Johnson (21,6 punti di media con il 51.8% dal campo e il 39.1% da 3). I soli 2,7 assist distribuiti per le mere ed aride statistiche non rendono giustizia alla mole di lavoro che si è sobbarcato per fungere da autentico catalizzatore dell’attacco dei suoi.

Nell’arco di 7 partite ha tolto il sonno al povero Dwane Casey, costringendolo a dare fondo a tutte le proprie risorse tattiche e strategiche, peraltro con scarsi risultati. Nel secondo turno il rebus Joe Johnson dovrebbe risultare di più facile soluzione visto che a cimentarsi nella prova dovrebbe essere il Sig. LeBron James.

Il 4-0 in regular season (per quello che può contare nella post season dell’anno di grazia 2014), il genio eclettico di Kidd, l’esperienza di KG e la presenza dell’avversario più ostico che il Prescelto abbia trovato sulla sua strada (quel Paul Pierce che incrocia dai tempi dei Celtics), parole e musica di James, basteranno a incrinare i meccanismi dell’unico orologio che è sembrato perfetto in questo primo turno playoff?

Non resta che attendere e godere.

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