Seconda vittoria consecutiva dei Portland Trail Blazers che mettono una serissima ipoteca sul passaggio del turno, portandosi a casa entrambe le prime partite della serie contro Houston, e soprattutto facendolo in trasferta. E, per la seconda volta nel giro di tre giorni, succede grazie a un LaMarcus Aldridge pazzesco: dopo il 46+18 di gara 1, l’ex Longhorn, che deve sentire aria di casa, si spara un 43+8 con 18/28 al tiro e alcuni momenti di assoluta onnipotenza offensiva dove, veramente, è sembrato non poter sbagliare mai. Alla solita dose di mid-range jumper, Aldridge ha aggiunto incursioni in area punendo la difesa porosissima sul pick’n’roll dei Rockets (argomento su cui torneremo con insistenza a breve…) e, tra l’altro, non facendosi mancare nemmeno un buon contributo difensivo assieme a un solido Robin Lopez (10 rimbalzi e 3 stoppate).

Il numero 12 è stato il motore dei Blazers in solitaria praticamente per un tempo intero, bastando per tenere in parità i suoi all’intervallo lungo (53-53). Ma il meglio lo aveva riservato per un terzo quarto da 16 punti con 7/10 al tiro, dove, con l’aiuto di un positivo Dorell Wright (15 punti con 4/5 al tiro) e di un Damian Lillard tanto silenzioso quanto letale (18, 8 rimbalzi e 11 assists), ha permesso alla squadra di Terry Stotts di mettere la freccia e andare, virtualmente, a prendersi la partita (83-77 alla fine del terzo quarto, mantenuto agevolmente nel quarto finale pur non raggiungendo scarti in doppia cifra), anche in forza di una prestazione questa volta molto convincente della panchina (30 punti con 9/15 al tiro).

Una partita in cui, superato l’inizio prevedibilmente arrembante di Houston, con un Howard da 19 punti nella sola prima frazione, e ricucito il piccolo strappo generato dai padroni di casa, Portland ha sempre mostrato di essere in controllo della situazione e di stare giocando contro una squadra che, al contrario, stava facendo solo tanta confusione.

Ancora una volta i Rockets hanno dato l’impressione di giocare contro la propria natura, che in stagione regolare, invece, aveva dato tanti ottimi risultati. Quasi a voler rispondere allo strapotere in post di Aldridge, McHale ha, di nuovo, ordinato dosi massicce di palla in post basso a Howard. Che questa volta hanno immediatamente prodotto benefici (vedi il tabellino del primo tempo), ma che alla lunga sono andati scemando (32 punti con 14 rimbalzi e 4 stoppate per Howard, ma dopo l’8/9 del primo quarto, 5/13 complessivo). Le mani dell’ex Lakers, infatti, non sono certo vellutate come quelle di Aldridge, e così è quasi naturale che la sua efficienza vada calando una volta che la difesa pone qualche adeguamento. Tutto ciò, ancora una volta, ha avuto un doppio effetto negativo: ha tolto ritmo a tutti i Rockets che non facessero Howard di cognome (26/68 al tiro il resto della squadra) e ha ucciso James Harden (18 punti, con 6/19 e 5 perse), che non ha avuto ritmo al tiro e in penetrazione ha sempre trovato l’area piena di difensori per la presenza proprio di DH12 (quando non anche di Asik). Perchè togliere la palla dalle mani di Harden, che come è una signora prima opzione offensiva e che i Blazers soffrirebbero anche, per darla a Howard che, al contrario, è riconosciuto come una prima opzione offensiva assai meno efficiente e coinvolge molto meno i compagni, rimane una domanda impossibile da rispondere.

Un disastro completato dagli orrori difensivi. Aldridge ha certamente avuto momenti di onnipotenza assoluta, ma i Rockets, e soprattutto il loro allenatore (vero principale responsabile della debacle delle prime due partite), hanno fatto il possibile per aiutarlo. Prima mettendo Howard o Asik (e non un giocatore più mobile come Jones) su di lui in difesa. Al lungo dei Blazers, così, è bastato giocare il pick’n’roll molto lontano dal canestro per togliere i loro aiuti dall’area e impedirne ogni aiuto al ferro, potendo anche aprirsi per tiri dai 4/5 metri totalmente liberi. Poi giocando nuovamente troppi minuti (11) con Howard e Asik in campo assieme, anche qui portati a spasso sui giochi a due. Il tutto senza mai provare un raddoppio che fosse uno sull’indemoniato LaMarcus. Infine, trovandosi a inseguire, senza fortuna, i quintetti piccoli proposti da Stotts. E quando in una serie di playoff ti accorgi che, invece di imporre il tuo gioco, stai seguendo quello degli avversari, di base, non sono mai in arrivo buone notizie.

Da venerdì ci si trasferisce tutti in Oregon. Ma, con quello che ha raccontato finora la serie, o McHale e i suoi assistenti tirano fuori l’aggiustamento con la A maiuscola, o questa è una serie che non ritorna in Texas.

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