Una nota canzone del compositore Roy Ayers recita proprio così. La vita a Brooklyn, sa essere fatta di alta e bassi. Cestisticamente parlando le cose non cambiano di molto.

Per alcuni era prevedibile, per altri impensabile. Ma alla fine le cose, al Barclays Center, sembrano andare di nuovo per il meglio. Ma partiamo, come logica vuole, dal principio.

Dopo un mercato tutt’altro che all’insegna dell’economia , e una conseguente rivoluzione tecnica, i Nets, avevano alimentato non poco chiacchericcio intorno a loro, per non parlare delle alte, altissime aspettative, che si erano create in tifosi e addetti ai lavori.

Quando prendi due leggende, in quel di Boston, come Garnett e Pierce, e ci aggiungi gente come Terry (per completare il saccheggio dai Celtics) e Kirilenko. In più mantieni il buono che già hai, vedi Williams, Johnson, Lopez. Beh, è impossibile non saltare all’occhio.

Se poi in cabina di comando ci metti un’altra leggenda, quello stesso Jason Kidd il cui numero 5 si issa sopra le teste dei tifosi al Barclays Center, uno dei cervelli più fino della palla a spicchi, allora il gioco è fatto.

Con una strategia chiaramente improntata sul tutto e subito, ai nastri di partenza, i Nets, volenti o nolenti, si sono ritrovati appiccicata addosso l’etichetta di contender per il titolo. Ma il basket, come tutti gli sport di squadra, non è fatto solo di nomi e di carriere. Bastasse mettere insieme giocatori dal cognome altisonante a suon di dollari, sarebbero bravi tutti.

Pronti via e così, come nel peggiore degli incubi, a Brooklyn passano dalle stelle alle stalle. La stagione ha inizio, e tutti i soldi e le parole spese si rimettono al giudizio più severo: quello del campo.

La Regular Season comincia all’insegna delle sconfitte e dei passi falsi. Così , gli 80 e rotti milioni di tassa di lusso, che pesano sulle tasche di Mikhail Prokhorov, proprietario della squadra, perdono anche la più flebile delle giustificazioni.

Un roster come quello messo su dai Nets richiede del tempo per conoscersi. In più i tanti infortuni che hanno martoriato questa squadra, non si possono non considerare. D’altro canto, però, non si può negare che Kidd ha a disposizione una delle panchine migliori e più profonde della lega. Allora lasciando stare gli alibi, vediamo cosa non ha funzionato nella partenza di Garnett e compagni.

In primo luogo, era palese che la squadra mancasse della chimica giusta. Non a caso, a salvarsi nel disastro iniziale, sono stati i capisaldi della scorsa stagione, vedi Brook Lopez e Joe Johnson. Grande ‘assente’ della vecchia guardia è stato Deron Williams, che tra infortuni e prestazione opache, tutto sembrava fuorché il play dal crossover devastante che eravamo abituati a vedere.

Se possibile, i nuovi, hanno fatto ancora peggio. Il grande impatto tanto atteso dai tre ex Celtics più il russo, non solo non è arrivato, ma si è trasformato in un fattore negativo. Kirilenko è stata una presenza praticamente inesistente. Pierce e Garnett, tra pessime percentuali al tiro e scarsa vena realizzativa, hanno fatto gridare al bidone.

Per raddrizzare una nave che fa acqua da tutte le parti, allora, ci vuole un grande timoniere. Ecco, questo l’ulteriore punto debole evidenziato nella prima parte di stagione. Troppo complesso il salto dalla canotta alla cravatta. Difficile dare una quadra a giocatori che, fino a pochi mesi prima, erano colleghi e rivali sul parquet.

L’inesperienza di Jason Kidd come Head Coach, ha quindi reso difficile mettere una pezza nei momenti peggiori della squadra, facendola crollare a fondo nella Eastern Conference, nonostante il basso livello della stessa. Tutti questi problemi, tanto inattesi quanto inevitabili, si sono riversati sul gioco dei Nets, troppo statico e stagnante, che si è ritrovato ad essere privo di idee in attacco e totalmente assente in difesa.

In questo quadro, i tifosi della compagine newyorkese, hanno calato il carico da novanta. Stanchi di perdere, in una situazione in cui non sembrava esserci niente di salvabile, durante le feste natalizie, nonostante il cliché del ‘siamo tutti più buoni’, i fans hanno intonato una serie di cori polemici. Il destinatario: Jason Kidd. Il contenuto: licenziamento.

Così, nonostante un quintetto con 5 All Star e una sesta alla guida, Brooklyn stava riuscendo nell’impresa, tutt’altro che ammirevole, di finire fuori dai Playoff. Tutto questo fino alla fine della scorsa annata. Perché, come vuole la tradizione, anno nuovo vita nuova. Con l’avvento del 2014, qualcosa è cambiato, ovviamente in positivo.

Le statistiche, come al solito, sono la cartina tornasole per misurare come sia girato il trend dei bianco neri. I ‘vecchi’ Nets del 2013 mettevano 102.6 punti su 100 possessi e ne subivano 105.8; i Nets versione 2014 invece segnano quasi 106 punti su 100 possessi, subendone 101.6. Il cambio di marcia lo ha dato, principalmente, il ritorno ai livelli che ad entrambi competono, di Pierce e Garnett.

A mettere una pezza alla fase difensiva, ora, ci pensa KG. Facendo di nuovo riferimento ai numeri, con l’ex Timberwolves in campo i Nets incassano 88 punti su 100 possessi, a differenza dei 110 senza di lui. Dopo vari esperimenti, un pò per meriti, un pò per necessità (vedi l’infortunio di Brook Lopez), Kidd ha ridisegnato l’assetto della squadra, optando per un cosiddetto ‘quintetto piccolo’, con Johnson schierato da 3 e Pierce da 4, in modo da costringere gli avversari a cambiare aspetto per prendere le giuste contromisure.

Certo, sotto canestro si fa più fatica (ventinovesima squadra per numero di rimbalzi), ma se ne guadagna di imprevedibilità in attacco. Il quintetto ‘atipico’ e l’intercambiabilità degli interpreti, hanno infatti fatto svoltare il rendimento degli uomini di Coach Kidd, che può così adattare la squadra in base all’avversario di turno.

Se in difesa se ne occupa Garnett, in attacco ci pensa Paul Pierce. The Truth ha rimpinguato le sue statistiche offensive, ma soprattutto è tornato a segnare punti pesanti, mettendo a disposizione la sua esperienza al servizio della squadra. Inoltre lui, insieme ai vari Williams, Johnson, Thornton, Anderson e Teletovic, garantiscono una gamma di tiratori da tre di primissima qualità.

Grazie a tutti questi miglioramenti, Brooklyn è tornata ad essere una squadra altamente competitiva, in grado di vincere con squadre al vertice come Miami ad Est e Oklahoma ad Ovest. Il record è passato da un misero 10-21 del 2013 ad un ben diverso 27-12 nel 2014. Adesso questa squadra è in grado di competere con chiunque.

Per tutte queste ragioni, in ottica Playoff, i Nets sono una delle squadre che meno vorrei incontrare. La storia insegna che nella post-season non sempre è la squadra migliore a vincere, ma la più determinata. E una squadra imprevedibile, completa e ricca di esperienza, come quella di Jason Kidd, potrà essere una vera e propria mina vagante, in grado di scombinare i piani a tutti.

Prokhorov vuole vincere e dare un senso al dir poco cospicuo investimento fatto per questa franchigia, Kidd vuole dimostrare di essere all’altezza del ruolo affidatogli, i giocatori, manco a dirlo, vogliono ribadire il loro valore e portarsi a casa l’anello. Se tre indizi fanno una prova, qualche dollaro sull’exploit dei Nets, io ce lo metterei. Staremo a vedere.

2 thoughts on “We live in Brooklyn, baby!

  1. Magari una parolina l’impatto, imprevisto e imprevedibile, di Shaun Livingston l’avrebbe meritata…molto più della supposta solidità difensiva garantita da un Garnett spesso infortunato e comunque in evidente fase calante, ad esempio; non averlo nemmeno menzionato nell’articolo mi pare un’enorme assurdità

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