Take flight. Per uno come DeAndre Jordan prendere il volo è un gioco da ragazzi. Sopra il ferro, si capisce.

L’atletismo e un fisico poderoso sono caratteristiche peculiari di questo giocatore, sin dal suo ingresso nella lega. Eppure non sono state sufficienti per la sua consacrazione.

La capacità di tirar giù il canestro con le sue schiacciate non è bastata per sopperire alla sua scarsa attitudine difensiva e alla sua poca disciplina tattica. Tanto da finire per essere considerato dai più un fenomeno da baraccone, un bestione strapagato, semplicemente una speranza disattesa.

Tutto questo fino all’arrivo in questa stagione di Doc Rivers a Los Angeles, sponda Clippers. L’ex coach di Boston ha preso Lob City e gli ha dato organizzazione e disciplina, riuscendo a trasformare questa franchigia in una realtà non solo spettacolare, ma anche vincente. La squadra da battere nella città degli angeli, ora, porta i colori blu e rosso.

La crescita dei Clippers è stata esponenziale, sia per i singoli che per il collettivo. Due su tutti i giocatori che hanno saputo alzare il livello dei velieri: Blake Griffin e DeAndre Jordan.

E quì torniamo a noi perché la cura Doc ha avuto i suoi effetti più evidenti proprio sul centro texano. Fin dal principio Rivers ha posto un veto sul giocatore. Ha voluto fortemente che restasse e ha puntato tutto su di lui, mettendolo al centro del suo progetto.

Obiettivo? Spostarlo da un riconoscimento ad un altro. Da possibile Dunk of the Year a possibile Defensive Player of the Year.

Sembrava utopistico fino a pochi mesi fa, ma il rendimento avuto da Jordan finora in stagione, sta facendo ricredere tutti i suoi detrattori.

La convinzione e la mentalità che Rivers ha inculcato nei suoi ha portato i frutti sperati. Jordan non fa eccezione. Da atleta spettacolare e dai salti poderosi, è diventato una presenza fissa nella metà campo difensiva. La grande fiducia riposta in lui e il lavoro svolto hanno risvegliato il suo talento dormiente e l’hanno trasformato in un giocatore completamente diverso.

Una regola non scritta nello sport vuole che l’attacco vince le partite, la difesa vince i campionati. Questa la filosofia su cui ora si basa l’ossatura dei Clippers, che hanno posto come àncora difensiva proprio DeAndre Jordan. Così questo upgrade ha visto le statistiche di Jordan impennarsi da ogni punti di vista.

In pochi mesi tutti i suoi primati in carriera si sono migliorati: punti, stoppate, blocchi, rimbalzi, recuperi. Ogni categoria difensiva è stata fortemente incrementata nella sua media. Di conseguenza anche il minutaggio è andato via via ad aumentare. Ma, lasciando stare le statistiche, vediamo quello che i numeri non dicono.

Ciò che è cambiato, più di ogni altra cosa, è il modo di stare in campo del giocatore, la sua concentrazione, la lettura del gioco e delle situazioni.

Jordan è sempre stato un grande stoppatore, viste le sue doti fisiche, ma produrre una difesa efficace è un altro discorso. Si tratta di compiere le rotazioni adeguate, fornire il giusto aiuto alla difesa, comprendere le chiusure più opportune e, soprattutto, prevenire il maggior numero di punti.

Questi i concetti su cui Rivers e Jordan hanno maggiormente lavorato, consentendogli di andare oltre i propri limiti. Limiti quali un’attrazione troppo marcata verso la palla, alla ricerca della stoppata, che lo portava spesso e volentieri fuori la propria area di competenza, creando spazi a rimbalzo, problemi di falli e, in particolare, punti facili.

Ora invece, si conferma un grande difensore one-on-one e ultima linea difensiva della squadra. Inoltre volendo valutare un ulteriore aspetto, la crescita difensiva di Jordan, e di tutta la squadra, consente di ottenere maggiori possessi e di rubare più palloni, favorendo il gioco in transizione, da sempre marchio di fabbrica in casa Clippers.

Non è raro infatti vedere Jordan stoppare un’azione nella sua metà campo, per poi ritrovarlo subito dopo dall’altra parte a chiudere un alley-oop alla sua maniera.

Tutti questi fattori raccontano di un giocatore completamente rigenerato, predominante, fin quì decisivo. Rivers di tutto ciò è estremamente compiaciuto. La sua scommessa per ora sembra vinta.

La soddisfazione è stata tale da portare lo stesso coach ad una dichiarazione che ha fatto molto discutere nel mondo NBA. Parlando della stagione e del rendimento ottimale di DeAndre Jordan infatti, l’allenatore dei Clippers ha prodotto un paragone piuttosto impegnativo: ”Vedo dei tratti di Bill Russell in lui”.

Parliamoci chiaro, questa comparazione è eccessiva, e probabilmente anche lo stesso Rivers ne è consapevole. Ma anche questo rientra nel metodo Doc. Oltre al gran lavoro svolto, anche la componente emotiva e motivazionale ha contribuito ad ottenere gli obiettivi che ha raggiunto il giocatore. Tutto è buono per mantenere alta la fiducia e la competitività. Soprattutto a fine stagione, quando le partite avranno un peso diverso.

I Playoff saranno il vero banco di prova per dare seguito a quanto fatto di buono da Jordan e dalla squadra. L’occasionare per far vedere tutto il proprio valore e dimostrare che anche i Clippers, proprio come Jordan, sono in grado di spiccare il volo.

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