mosesmaloneNike Air Force 1

Il 1982 segna in maniera indelebile il mondo della “scarpa da tennis” o sneakers che dir si voglia. L’allora giovanissima Nike (fondata nel 1964), dopo un discreto successo del modello Blazer, calzato dal più grande scorer dell’epoca (e non solo) George “Iceman” Gervin, invade i campi da gioco con un prodotto visionario per quel tempo: Nike Air Force One.

Bruce Kilgore e Tinker Hatfield nomi e cognomi all’apparenza anonimi, concretamente matita e mente di questa meravigliosa calzatura. Si sa,anche dietro i migliori progetti spesso vi è un fattore Q ad incombere, quello che gli americani chiamano serendipity un sano mix di fortuna e casualità.

Se Kilgore, prima di approdare in Nike, era il designer della K-Car (autovetture low cost giapponesi), Hatfield dal canto suo, dopo una discreta carriera da velocista a livello collegiale, è arrivato alla casa dello swoosh con il ruolo di architetto; edilizia e motori, notoriamente il giusto connubio per creare una scarpa da basket…

Queste due “menti” hanno portato una ventata di “aria” fresca alla casa di Beaverton, imprigionata sapientemente nella nuova tecnologia Air. La scarpa è completamente diversa rispetto a qualsiasi altro modello presente sul mercato: la suola è molto più alta, contenendo i cuscinetti d’aria, il tallone è posto più in alto della punta della suola per migliorare aderenza e stabilità .

Per rendere effettiva questa “ariosa” idea , Nike si è affidata ad una gruppo di biochimici e ingegneri aerospaziali che precedentemente aveva lavorato alla produzione di aerei. Vedono così la luce le Nike Air Force 1 (Air Force One come l’aereo presidenziale), nome scelto appositamente per omaggiare il pool di Ingegneri impegnati nell’opera, l’idea non è però apprezzata da tutti e la diatriba sul marchio prosegue nelle aule di tribunale.

Come degno rappresentate di questa opera maestosa, Nike sceglie il giocatore più dominante dell’epoca ed uno dei più forti centri di sempre: chairman of the board aka Moses Malone. “Big Mo” (altro nickname di Malone) è il leader degli Nike “Original Six”, ovvero i primi sei atleti a calzare il nuovo gioiello dalla casa di Beaverton: Michael Cooper, Calvin Natt, Bobby Jones, Jamaal Wilkies, Mychael Thompson .

1981 - George Gervin - San Antonio Spurs

1981 – George Gervin – San Antonio Spurs

The Original 6

The Original 6

Nike Air Jordan I

“The Chicago Bulls pick Michael Jordan from University of North Carolina”.

Corre l’anno 1984, Felt Forum New York City, il Commissioner David Stern (in versione baffetto) ha appena annunciato l’entrata nella Lega del più grande sportivo di tutti i tempi (no, non stiamo parlando di Kobe). Da quel 19 giugno la NBA e tutto il business che le gravita attorno cambieranno radicalmente.
Durante la sua stagione da Rookie, M.J. usa le ormai celebri Nike Air Force 1 in un bianco anonimo imposto dai piani alti della Lega.

Con una prima stagione a 28.2 punti di media ad allacciata di scarpe, il gioiellino, nonché leader, dei Bulls è in piena ascesa di consensi sia di pubblico che di critica e tutto questo non fa altro che attirare su di se le attenzioni dei main sponsor presenti in NBA.

Nike in particolare, dopo il boom del modello precedente è alla ricerca spasmodica di un testimonial commerciale potenzialmente devastante e chi, meglio dell’ex Tar Heel, per questo ruolo?

1985 - Michael Jordan - Chicago Bulls

1985 – Michael Jordan – Chicago Bulls

Nonostante un corteggiamento serrato a suon di milioni di dollari, Michael è riluttante all’idea di legarsi ad un marchio, provvidenziale è il consiglio (o minaccia) della madre Delores. Dalla sopraffina matita del designer Peter Moore prendono vita le J’s 1, si tratta di una scarpa senza innovazioni tecniche di rilievo, fa invece scalpore la colorazione rosso e nera, scelta per un perfetto connubio con i colori della franchigia di Chicago; ai più può sembrare una scelta di poco conto, ma fino ad allora il bianco era stato requisito fondamentale per una sneaker da parquet.

La Nike non sente ragioni e continua per la sua strada: il Commissioner NBA Stern è deciso a dare battaglia ed infligge una salatissima multa di 5000 dollari per ogni partita disputata dall’atleta indossando quelle scarpe. Un deterrente di sicuro effetto per molti, Nike però sfrutta a suo vantaggio questa sanzione creando ad hoc una reclame (che termine vintage…) televisiva di grande successo.

La scelta commerciale merita un discorso a parte: in questo ambito, la collaborazione Jordan/Nike pone l’asticella ad un’altezza tale da renderla a distanza di 30 anni un caposaldo per tutti i pubblicitari: le commercial assumono toni sempre più epici e a Beaverton non badano a spese tanto da scomodare un “mammasantissima” come Spike Lee per girare l’ennesima trovata propagandistica.

Il logo del Jumpman, icona stilizzata di MJ, è la classica ciliegina sulla torta; appare per la prima volta nel 1988 sulle Air Jordan III ed è posto a consolidare l’idilliaco rapporto tra la superstar e lo swoosh.

Ad ogni nuova stagione alla quale the Jesus in Sneakers partecipa, Nike presenta una calzatura nuova e visionaria; una volta appesa la canotta numero 23 al chiodo, il Jumpman logo continua ad esser più vivo che mai calzando molte superstars NBA (Chris Paul,Carmelo Anthony, Blake Griffin, Russel Westbrook ecc…) e calcando altri scenari dello sport made in USA Baseball e Football su tutti.

Purtroppo in questa affascinante storia fa da contraltare un lato negativo. Le Nike Air Jordan sono scarpe estremamente costose e in diversi casi si sono verificati episodi controversi. Attorno a queste calzature, sono infatti numerosi gli atti di violenza e rapine legati alla smania di possedere un modello così pregiato.

Disgraziatamente l’omicidio arriva puntuale, a farne le spese è il 15enne Michael Eugene Thomas, liceale strangolato nel parco del liceo Mumford durante la ricreazione da un suo pari età proprio per Air Jordan che la vittima indossava.

A riprendere più o meno volontariamente la questione ci ha pensato, 25 anni più tardi, il rapper Macklemore con una bellissima canzone ed un video epico:

Qui invece tutti gli spot sulle Jordan in un unico video:

 

Reebok Pump

Il 1989 è l’anno di Reebok o meglio ancora è l’anno del pump…

L’emancipazione tecnologica, (dopo la rivoluzione Air) sembra aver raggiunto il suo apice, i margini di innovazione applicabili ad un paio di scarpe sono ridotti al minimo. Un problema che attanaglia molti, non Paul Brown visionario designer Reebok, tantomeno l’azienda Design Continuum (fondata nell’allora vicino 1983) specializzata in design industriale avanguardistico.

Da questa fulgida collaborazione nasce un legame ancora più viscerale tra atleta e sneaker. Indossare una calzatura, fare un “doppio nodo” ed esser pronti a sputare l’anima su di un parquet non è più l’unica prassi…

In quel di Canton, Massachusetts, hanno partorito idea innovativa: grazie ad una pompa ad aria completamente autonoma posta sulla linguetta e una valvola di rilascio sul retro, gli atleti “pompano” aria all’interno delle scarpe fino a raggiungere un fit unico e soggettivo. Questo stratagemma consente un supporto individuale su avampiede e caviglia ed è sinonimo di comfort e sicurezza contro gli infortuni.

Ultimato il prodotto, è necessario trovare il giusto testimonial: con Julius Erving ritiratosi da due anni, Michael Jordan blindato Nike, la scelta non può che ricadere sulla luminosa stella di Dominque Wilkins aka The Human Highlight Film.

 

Mani sopraffine (24.8 punti di media in carriera) e doti atletiche eccezionali lo rendono uno dei volti più noti del circus NBA, memorabili le sue giocate sempre spettacolari (da qui il soprannome) e le sfide ad alta quota contro il suo alter ego M.J.

 

Oltre alla stella degli Atlanta Hawks, Reebok ottiene una grandissima pubblicità grazie ad un protagonista “involontario”: Dee Brown onesto giocatore dei Boston Celtics prima, di Raptors e Magic poi. Nel 1991 indossando un paio di Pump Black, ottiene una meravigliosa vittoria nel Dunk Contest grazie ad alcune schiacciate reverse e una no look. Prima di ogni salto “pompa” a favore di telecamera le sue sneaker mandando in estasi tifosi e commentatori presenti all’evento.

 

A suggellare ulteriormente lo status iconico di questa calzatura, ci pensa un film comico di Mel Brooks: “Robin hood un uomo in calzamaglia”:


Reebok ha veramente azzeccato il colpo giusto, l’unica nota dolente è il costo astronomico del prodotto, per averne un paio nel 1989 bisogna tirare fuori 170 bigliettoni verdi con la faccia di George Washington.

nique

 

deebrown

Continua…

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