354908_crop_650x440Come sanno tutti gli appassionati di sport a stelle e strisce, gli americani adorano i numeri, le statistiche e le classifiche; ogni anni, ad ottobre, tutti i giornalisti si sbizzarriscono con i ranking di inizio stagione, cui seguiranno quelli alla pausa dell’All Star Game e quelli subito prima dei playoffs.

ESPN addirittura mette in fila i primi 500 giocatori della NBA, ma nessuno sfugge, prima o poi, dalla pubblicazione di una classifica! I dieci migliori, i cinque migliori ruolo per ruolo, le migliori dieci prime scelte del secondo giro negli anni bisestili, i migliori tiratori mancini di Brooklyn e via dicendo, la lista (appunto) è infinita!

Di recente Fox Sports ha chiesto a LeBron James la sua personale top 3 e il due volte campione NBA ha risposto: Jordan, Erving, Bird.

Magic Johnson ha replicato quasi immediatamente su Twitter, indicando i titoli vinti come il vero criterio per valutare l’eccellenza. Quindi Jordan (6), Johnson stesso (5), Bird (3), LeBron (2) e il Doctor J, buon ultimo, fermo a quota 1.

E’ chiaro che LeBron e Magic, per non mischiare mele e pere, stanno parlando solo di esterni, altrimenti il discorso avrebbe dovuto includere anche i lunghi come Kareem Abdul-Jabbar, Bill Russell e Wilt Chamberlain.

Al netto di questa considerazione, quale dovrebbe essere il criterio per valutare i grandi giocatori, sempre che ne esista uno?

Ne esistono sostanzialmente tre: statistiche, caratteristiche tecnico-umane, titoli vinti.

In base al criterio, le classifiche cambiano: statisticamente, pochi possono competere con i numeri da playstation di Wilt Chamberlain o con Oscar Robertson e Magic Johnson, che hanno viaggiato per tutta la carriera vicino alla tripla doppia di media.

Se parliamo di abilità e voglia di vincere, di solito in cima alle classifiche si trova Michael Jordan.
Scegliendo il criterio per cui ha optato il 32 dei Lakers, ossia quello dei titoli vinti, la classifica è presto stilata e il discorso si chiude senza troppe discussioni.

C’è poi chi tira in ballo trofei vinti, singole prestazioni o la spettacolarità; tuttavia i trofei sono assegnati dai giornalisti che, pur bravi e competenti, hanno simpatie ed antipatie, come tutti. Steve Nash ha due titoli di MVP, John Stockton e Jason Kidd nessuno, ma nessuno si sognerebbe di pensare che Nash sia un giocatore migliore di Stockton o Kidd.

Le prestazioni individuali, siano i 13 punti in 35 secondi di McGrady o gli 81 punti di Kobe Bryant contro Toronto, non possono essere un serio metro di misura per valutare un giocatore. Allo stesso modo, si è liberi di preferire un cestista più spettacolare ad uno più “noioso” (e magari cento volte più tecnico ed efficace) ma non dovrebbe essere un criterio per valutare la grandezza di un giocatore.

Ma anche considerando statistiche, qualità tecniche (traduciamo così quelle che in inglese vengono chiamate skills) e campionati vinti, è davvero così semplice decidere chi è più forte, e soprattutto, occorre davvero deciderlo?

Sappiamo che Larry Bird aveva un tiro telecomandato, una visione di gioco celestiale, una qual certa determinazione a portare a casa la partita. Michael Jordan aveva un atletismo e un’eleganza fuori dal mondo, una determinazione feroce e talento notevole. Ci interessa davvero stabilire se era più forte Air Jordan o Larry Legend?

Meglio ancora, siamo sicuri che uno dei due fosse meglio dell’altro in modo empiricamente dimostrabile? Oggi l’opinione comune è che Jordan sia il migliore, ma John Salley, che ha giocato con e contro di lui in una recente intervista ha detto che Magic e Bird erano di un altro mondo.

Il criterio degli anelli dice 6 per Jordan, ma è anche vero che negli anni ottanta, quando Bird e i Celtics vincevano, Jordan giocava ma le Finali NBA le guardava da casa.
Bird, dopo battaglie acerrime contro i Sixiers di Doctor J, Andrew Toney e Moses Malone, incontrava i Lakers dello Showtime.

Jordan raggiunse la maturità quando Celtics e Lakers erano ormai gruppi declinanti.
Questo non vuol certo dire che i titoli di Jordan vadano anche minimamente sminuiti, ma occorre leggerli nel contesto.

Oscar Robertson avrebbe potuto vincere di più se Kareem (o Lewis Alcindor, come si chiamava allora) fosse rimasto a Milwaukee con lui, anziché andarsene al sole di Los Angeles. Wilt Chamberlain vinse solo (?) due titoli ma lo fece giocando all’epoca dei Celtics di Bill Russell, il giocatore perfetto per neutralizzarlo.

L’ultima finale NBA è stata decisa negli ultimi possessi: se Duncan avesse segnato e vinto Gara 7, LeBron James sarebbe rimasto a quota un titolo, come Julius Erving. E’ il fatto che quel pallone non sia entrato ad aver reso James un giocatore più forte del Doctor J? Basandoci sulla “teoria degli anelli”, dovremmo rispondere di sì.

Se adottiamo invece il criterio delle statistiche occorre immergerle nel quadro dell’epoca in cui sono state scritte; Wilt Chamberlain aveva numeri da playstation, ma che impatto avrebbe se giocasse nel 2013?

Molto probabilmente minore, perché oggi circolano atleti molto migliori rispetto agli anni sessanta, o uguale se non addirittura maggiore, perché non ci sono all’orizzonte centri capaci di marcare un pivot del suo talento fisico-tecnico?

Oscar Robertson viaggiava a 25 punti con il 48% dal campo, 7 rimbalzi e 9 assist in carriera. Magic aveva il 52% dal campo, 19 punti di media in carriera con 7 rimbalzi e 11 assist; The Big O segnava di più mentre Magic giocava in una squadra con più talento e quindi tirava un po’ meno e distribuiva più palloni; potremmo dire che si equivalgono, ma non avremo mai la controprova.

Quel che sappiamo è che Oscar vinse un titolo, nel ’71, a 32 anni, mentre Magic iniziò nell’80, a vent’anni, e chiuse la sua leggendaria carriera da pentacampione NBA.

Anche le statistiche, come gli anelli, sono influenzate dai compagni di squadra: Garnett a Boston è diventato il perno di una squadra campione, ma le sue cifre erano infinitamente migliori a Minneapolis, dove perdeva e perdeva. C’è anche chi, complice una difesa ballerina, passa la carriera ad ammassare numeri eccellenti senza mai vincere nulla, come Chris Webber.

Alcuni giocatori viceversa sono dei vincenti specializzati in quegli intangibles che non risultano dal box score ma che fanno vincere le partite. Una delle principali accuse rivolte a Wilt the Stilt era proprio questa: grande giocatore, ma più grande sulla carta che sul campo.

Spostando l’attenzione sulla voglia di vincere, il discorso si complica ulteriormente: come facciamo a stabilire se era più determinato Bill Russell (11 titoli) o Kareem Abdul-Jabbar (6 titoli)?

In ogni caso, si parli di Magic Johnson, di Michael Jordan o di Larry Bird, stiamo parlando dell’eccellenza assoluta e sono tutti giocatori che trascinavano i compagni, chi con uno stile coinvolgente, come Magic: giocatore ossessionato dalla vittoria (al punto che oggi parla dei titoli come dell’unico criterio per valutare chi è meglio) poteva sembrare all’apparenza scanzonato e guascone, ma guai a non impegnarsi in allenamento o ad addormentarsi in partita. Magic era sempre lì, come dice Kurt Rambis, a costringerti a dare il meglio.

C’è chi come Jordan ha tentato di vincere solo con l’esempio, per poi aprirsi di più e diventare, con il secondo threepeat, un leader carismatico e non un despota irraggiungibile.

Concentrandoci invece su talento e tecnica (gli skills, direbbero gli amici d’oltreoceano), finiamo col tentare un paragone tra giocatori che hanno affrontato il gioco con regole diverse.

Negli anni la pallacanestro è cambiata moltissimo, passando per l’introduzione dell’arco del tiro da tre per la maggiore fisicità degli anni ottanta, per la crescente importanza del tiro da fuori e per le difese al limite del wrestling che circolavano per l’NBA degli anni novanta. Chi non ricorda le “no fly zone” nel quarto periodo?

Ad inizio anni duemila la commissione per il gioco voluta da David Stern ha cercato di invertire il trend, scoraggiando gli isolamenti e viceversa incoraggiando la motion offense ed in generale gli attacchi sulla difesa; si spiega così il semicerchio difensivo sotto al canestro, le difese a zona (che hanno sanato una situazione che stava sfiorando il ridicolo) e i tre secondi difensivi.

Gli effetti sono stati in parte benefici (molti specialisti puri sono spariti dai roster e c’è molto mercato per i tiratori, ma sicuramente il crescente flopping o l’abuso degli sfondamenti in aiuto non erano situazioni preventivate dalla commissione per il gioco di Colangelo e e Jerry West).

Proprio Mr Logo, Jerry West, è stato una star che disponeva di un tiro fantascientifico ma purtroppo per lui negli anni sessanta non esisteva il tiro da tre. Oggi una combo-guard avrebbe forse più chance d’esser decisiva.

Julius Erving, menzionato da LeBron James tra i tre migliori giocatori di sempre, era un’ala piccola che oltre i cinque metri dal canestro non era minimamente pericolosa e che oggi sarebbe costretta a giocare da quattro tattico: vantaggio o svantaggio? Il dottor J aveva sicuramente velocità e gioco di piedi per risultare indigesto a molti energumeni che occupano le aree NBA, ma non avrebbe subito la loro fisicità?

Air Jordan negli anni novanta aveva a che fare con difese più fisiche (e con l’hand-check legale) di quelle che fronteggia James, ma aveva dalla sua la regola della difesa a zona all’epoca illegale che complicava i raddoppi: occorrerebbe saper calcolare l’impatto di questi dettagli sul modo di stare in campo di un giocatore, e saper prevedere come si sarebbe comportato con regole diverse.

Allen Iverson sarebbe stato un MVP anche negli anni settanta, quando i suoi crossover sarebbero stati considerati infrazione di doppio palleggio? E’ davvero molto difficile stabilirlo con un minimo grado di affidabilità.

Quel che è certo è che i giocatori si sviluppano adattandosi darwinianamente all’ambiente che incontrano. Negli anni settanta probabilmente non aveva alcun senso costruirsi un tiro infallibile da otto metri, così come oggi tanta cura per i fondamentali non costituisce un grande vantaggio tecnico sugli avversari.

Nel campo delle illazioni, tutti possono dire quel che vogliono, forti del fatto che non avremo mai la controprova.

Si potrebbe ragionevolmente decidere di usare questi tre criteri insieme, visto che per fare un grande giocatore servono vittorie, qualità tecniche e numeri a confermarne il valore, ma non esiste una formula magica per cui statistiche, qualità tecniche e anelli possano mettere tutti questi numeri in ordine e formare una classifica oggettiva e assoluta.

Tuttavia, secondo un cronista stimato come Ian Thomsen di Sports Illustrated, si può benissimo vivere senza classifiche.

Thomsen propone una Tavola Rotonda dei migliori, senza la pretesa di stabilire chi è il migliore in assoluto, godendoci così i grandi giocatori senza dover paragonare atleti che hanno incontrato avversari diversi in contesti differenti, limitandoci a riconoscerne l’eccellenza; negli occhi di Tim Duncan brucia lo stesso fuoco che bruciava in quelli di Bill Russell, anche se ci sono sette titoli NBA e cinquant’anni di differenza.

Larry Bird vinceva segnando canestri incredibili e Magic lo faceva dipingendo traiettorie di passaggio invisibili a noi mortali. Entrambi hanno disputato grandissime partite sotto pressione, ci hanno fatto vedere cosa vuol dire avere cuore e orgoglio, ci hanno fatto divertire ed innamorare della pallacanestro, vincendo, come una generazione dopo avrebbe fatto Jordan e dopo ancora Bryant e Duncan fino ad oggi con LeBron.

Questi, prendendo a prestito un termine tennistico usato dal maestro Gianni Clerici, sono gli Immortali.

14 thoughts on “NBA: come scegliere il più grande di sempre?

  1. Bill Russell, Wilt Chamberlain, Lew Alcidor, Larry Bird, Magic Johnson, Michael Jordan. i GOAT.. volendo considerare l’ABA (.. che a rigor di logica andrebbe considerata.. come è stato fatto per il Football) .. un gradino sotto Julius Erving e Robertson.

    Astenendomi dal vautare i giocatori ancora attivi.

    “Se parliamo di abilità e voglia di vincere, di solito in cima alle classifiche si trova Michael Jordan.” .. o forse Bill Russell.. giocatore di squadra in grado di miglioirare i compagni e portarli alla vittoria unico.

  2. Articolo che delinea perfettamente il mio pensiero che non esisterà mai un migliore
    Ottimo lavoro :)

  3. “Quindi Jordan (6), Johnson stesso (5), Bird (3), LeBron (2) e il Doctor J, buon ultimo, fermo a quota 1”

    se viene inserito LBJ che è ancora in attività non mi tornano i conti…mancherebbe qualcuno

  4. Hai ragione, mancano Dwayne Wade e Kobe Bryant, Oscar Robertson, Jerry West, ma ho preferito una lista breve, con i soli nomi dei giocatori tirati in ballo nella discussione.

  5. Credo che Chamberlain era un mostro, 125 kg di peso x 217 cm di altezza di grande talento, come rimbalzista era assurdo, uno come dennis rodman li pulisce le scarpe in questo ambito, wilt non aveva solo l’altezza a favorirlo ma anche il fiuto che aveva rodman, del resto parlano chiaro le statistiche, fece 55 rimbalzi in una singola gara, nei rimbalzi non farebbe vedere palla a nessuno anche oggi, oltre questo era forte anche in attacco, non si puo comunque stabilire come giocherebbe contro un jordan, jordan aveva esplosivita immensa e straordinaria tecnica a suo favore, inoltre sono di epoche diverse, come rimbalzista in ogni caso wilt e il numero uno.

  6. Jhon Salley non so chi sia, ricordo pero che lo stesso Magic Jhonson ha dichiarato che considerasse MJ il migliore di tutti, e devo dire che l’ex chicago bulls incarna meglio di tutti la figura del leader carismatico, ha vinto tantissimo a livello individuale ed ha giocato in un epoca super competitiva, Lebron James lo considera il migliore pure lui. Comunque nella mia classifica all time di ogni ruolo metterei insieme a mj wilt chamberlain e shaquille o’neal, un giocatore devastante che purtroppo non ha dato il massimo in carriera.

  7. Doctor J n.1. Ha vinto 3 anelli. 2 nella ABA quando era superiore alla NBA (74-76). Basta vedere i risultati delle amichevoli di quel periodo tra squadre ABA e NBA

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