rDSCF3120Se siete su queste pagine e leggete questo pezzo siete abbastanza “malati” di NBA da capire.

Che, se ne capita l’occasione, assistere ad qualsiasi partita di regular season NBA è evento che segna un intero calendario, con tanto di circoletti rossi, conto alla rovescia e quant’altro.
A prescindere dalle squadre coinvolte o quasi.

Se poi l’occasione riguarda la squadra per cui si simpatizzate da oltre tre lustri, si va anche a remi e a nuoto.
Fa niente se è attesa ad una stagione di atroci sofferenze (sportive eh, anche se poi spesso per le città direttamente coinvolte i risultati sul campo hanno risvolti sociali non indifferenti).
Se le circostanze aprono una porta, la si prende.

E già che la si prende, val la pena di scegliere il meglio a disposizione. O “meno peggio” che dir si voglia. E quindi attendere l’uscita del calendario NBA, segnarsi due o tre opzioni… e iniziare a pianificare.

Detto che conta quasi più l’evento in sé dell’effettivo spettacolo che poi il campo potrà offrire…

sixDeciso, si va a marzo.

Il clima è perfetto anche per godersi le altre attrazioni della città (nota a margine: Universal asfalta Disney, se avete più di 12 anni non c’è proprio competizione, per quanto la cerimonia di chiusura di giornata al Cinderella Castle, tra fuochi d’artificio e proiezione sulla facciata del castello, sia una roba che mette i brividi e che da sola vale il prezzo del biglietto) e poi… beh, sì, Indiana e Philadelphia nel giro di tre giorni, squadre da Playoffs (nelle aspettative di chi il viaggio l’ha organizzato a ottobre, ovviamente).

La gara contro i 76ers, vista da “tifoso” e da vicino, grazie ai prezzi abbordabili dell’Amway Center, s’è pure vinta. Posso dire di aver assistito al 5% circa dei successi di un’intera stagione, mica male.

Come? Ah, sì, è vero. Ce n’è una anche il 12 marzo.

Contro i Lakers, uno dei n (il numero mettetelo voi, 15/10/5 che sia) giocatori più forti di sempre e Nash, Ron/Metta, Gasol (in fase di recupero, dovrebbe essere pronto tra pochi giorni)… e poi certo, lui, quello che probabilmente è stato il giocatore più importante della (breve) storia della squadra locale. E che oggi è il nemico pubblico numero uno.

Ecco, già in offseason era indicato come L’Evento.

Beh, in quanto evento si può provare a cercare di viverlo un po’ più da “dentro”, dato che la possibilità c’è.
E allora grazie a NBA e a Connexia (agenzia PR di NBA Italia), nella persona di Gianpaolo in particolare, tra i 200 (!!!!) Media members accreditati c’era anche chi vi scrive.

Sì, 200. Per una partita di Regular Season. Circa 10 volte il numero abituale a detta dei bloggers locali, a disagio nel muoversi in contesto a loro noto solo in occasione dei Playoffs… e un po’ anche a rispondere alle domande del sottoscritto (questi ringraziamenti non li leggerete… ma sommateli a quelli già fatti di persona. Disponibilissimi).

Presenti un’infinità di TV, radio, tutti i più importanti cronisti web statunitensi (in particolare la triade Wojnarowski-Berger-Amick) una grossa rappresentanza ispanica da Cuba, Portorico e tanta, tantissima California… e poi sì, anche qualche mosca bianca da altri continenti.

rDSCF3144Perché di Evento si trattava.
E perché Howard, nella solita incapacità cronica di filtrare ciò che transita dalle proprie corde vocali e di accettare il fatto che prendendo una decisione o posizione non si può pensare di far felice ognuno dei sei miliardi di persone che popolano il pianeta, aveva aggiunto benzina al fuoco, causando la pronta reazione degli ex-compagni e della città intera, che non aspettava altro.
Ex-compagni perché in realtà tra gli attuali giocatori degli Orlando Magic il solo Jameer Nelson era presente nel roster che raggiunse le Finals 2009 e con Turkoglu (fuori per squalifica) e Glen Davis (fuori per infortunio… ma tenetelo lì, che è stato parte integrante della giornata) rappresenta l’unico punto di contatto tra la squadra che era di Howard (oh, dopo 600 parole si può anche nominarlo) e quella che è e sarà.

Quindi, un attimo: l’allenatore è cambiato, la dirigenza è cambiata, i compagni sono cambiati (e con Jameer restano rapporti discreti, specialmente grazie al buonsenso del playmaker), il “tradimento” è stata più una lenta, lunga e ampiamente preannunciata agonia, niente di paragonabile a “The Decision”… e allora perché?

Perché Orlando è una cittadina di dimensioni pari a quella alle porte di Milano in cui sto scrivendo.
Con l’area metropolitana si supera il milione di abitanti, ma resta un contesto… piccolo.
E relativamente al contesto, il Dwightmare è stato estremamente sentito.
Si torna al punto iniziale: il “meglio” che la stagione potesse offrire in termini di atmosfera delle grandi occasioni era questo.
Già solo che la cassa di risonanza fosse nazionale (e oltre), bastava e avanzava.

E quindi inizia la lunga giornata, si parte, trovando lungo la Interstate 4 in direzione East segni tangibili del fatto che le aspettative (in termini di atmosfera, ripeto, della partita in sé già tutto saprete e quasi nulla più verrà detto) stavano per essere rispettate.
Allenamento aperto ai media alle 10:00 ora locale, nella fantastica practice facility situata… all’interno dell’Amway Center, lato sud. Bello avere un’arena studiata e realizzata negli ultimi 5 anni.
Una cinquantina di giornalisti presenti, in pratica tutti i locali, tutti i reporters Lakers e tutti i nomi pesanti.
Roba, come detto, mai vista per un allenamento.

Mezz’ora scarsa di tiri e situazioni di gioco e poi spazio ai microfoni.
Le dichiarazioni di Howard ripercorrono quelle rilasciate il giorno precedente, all’arrivo in città : “nothing but love for the fans here“.
Frasi che, anche per la citata totale mancanza di linearità di posizione (e probabilmente pensiero), hanno prevedibilmente lasciato abbastanza indifferenti e sulle proprie posizioni gli agitati tifosi Magic.

Pranzo, chiacchierata con i suddetti addetti ai lavori locali… e inizia il lungo prepartita.
Church Street chiusa al traffico, per ospitare pullman sormontati da parabole e vari gazebos (McDonald’s e ESPN su tutti).
Già dalle 16, a 3 ore dalla palla a 2, iniziano ad arrivare i primi tifosi Lakers. Per i 90′ successivi è tutto gialloviola, che va ad occupare i posti all’interno del palazzetto e ad assistere alla prima parte del riscaldamento, tra pochi alti e tanti bassi… che a pensarci bene però sono ulteriori alti.
Un salto nella saletta dedicata ai media… impraticabile. Il cartello “At Capacity” in bella vista sin dalle 17, cosa successa solo in un altro paio di occasioni durante la stagione e non certo a 2 ora dall’inizio del match.

rDSCF3228E allora di nuovo verso l’ingresso, per l’arrivo della maggior parte dei tifosi Magic.
A farla da padrone le personalizzazioni delle vecchie canotte di Dwight a tema “Coward” (alcune riuscite discretamente, altre un po’ meno) e alcuni cartelli, niente di clamoroso a dire la verità.
Via, manca mezz’ora, si va a prendere posto in tribuna stampa.
Quella a bordo campo però abbastanza evidentemente non poteva contenere tutti… e allora s’è seguito un sacrosanto ordine gerarchico, di cui si può ammirare il risultato.

Il tempo di sistemare tutto ed entrano le squadre.
No, probabilmente quanto successo a Cleveland per il ritorno di James era un’altra cosa.
Però, sempre tenendo presente il solito discorso del contesto, anche ad Orlando si sono fatti sentire (non per forza nel modo “giusto”, ammesso che ne esista uno).

Inizia il match.
Fischi per tutto il primo quarto.
Fischi ogni volta che Howard ha toccato palla.
Fischi ogni volta che Howard si è trovato in lunetta. E (SIGH) sono state tante.

Dwight però sorprende, almeno per quanto mi riguarda.
Sempre preoccupato di apparire come il “buono” della situazione (vedi sopra), mai avrei pensato potesse rispondere.
E invece… Fischia a sua volta. Reagisce. Anche con toni abbastanza accesi.
Da amante del trash talking, apprezzo.
L’atmosfera si scalda ulteriormente, in una delle rare occasioni in cui i Magic mettono la testa avanti e D’Antoni è costretto a chiamare timeout, il pavimento trema.
Sinceramente non avrei potuto chiedere di meglio.
Un clima da partita vera.

Ah, sì, manca Glen Davis.
Preso due stagioni fa su richiesta, più o meno esplicita, di Howard.
Compagno di merende (e non solo) di Dwight nella scorsa stagione.

Evidentemente non ha preso bene la separazione, o i commenti, o non si sa cos’altro.
Il giorno prima  della partita ha utilizzato Twitter per fomentare i fans più caldi, retwittandone poi le risposte.
Durante la partita invece… Il più genuino dei disturbatori.
Ogni volta che Dwight si è reso protagonista di… qualcosa, Big Baby ha commentato.
Platealmente e rumorosamente.
Al punto che in almeno un paio di occasioni Howard s’è girato verso l’estremità più lontana della panchina dei Magic ed ha risposto.
Il tutto per la gioia di chi era lì più o meno solo per godere momenti di un certo tipo.

E poi basta.
Nel quarto quarto l’hack-a-Dwight smette di dare gli effetti sperati. Anche perché a furia di mandarlo in lunetta, Howard entra in ritmo e inizia a segnare con discreta costanza.
Il pubblico si spegne.
Los Angeles vince una partita che mai è stata in vera discussione.
Kobe si prende una serata di riposo.

Il pubblico abbandona in silenzio e con qualche minuto d’anticipo.
In sala stampa ancora non si può mettere piede.
Passano D’Antoni, Kobe, Howard.
Arrivano i soliti bloggers ormai amici, buttano dentro uno sguardo, sorridono, mi guardano, se ne vanno sconsolati.
Per loro non c’è spazio, non è una “normale” partita dei Magic.
Fuori dall’Amway Center tutto tranquillo, come fosse successo nulla.

Si chiude, a dormire, la mattina si è già in aereo.

Però… prime partite di Regular Season NBA viste: una vittoria, una partita di importanza nazionale, anche se gonfiata.
Vista da “dentro”, con l’atmosfera giusta, in un palazzetto clamoroso, roba che a confronto tornare al Forum di Assago sarà come vedere una partita di minibasket nella palestrina della scuola elementare dietro casa.

Oh, sembrerà poco.
Se avete la fortuna di tifare per squadre di un certo livello lo è di certo.

Ma quei circoletti rossi e quel conto alla rovescia… ne è valsa assolutamente la pena.

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