Bruce Bowen all'NBA House di Londra

Bruce Bowen all’NBA House di Londra

I Giochi Olimpici, si sa, sono una profumata giostra verde sulla quale salgono a dozzine, ed a Londra l’NBA non ha fatto certo eccezione, specie su un territorio, quello britannico, dove le radici della Lega sono ancora acerbe.

Presso la Jubilee Hall di Covent Garden Piazza, quindi, la grande giostra ai comandi di David Stern si è prodigata per allestire un corollario impareggiabile  di eventi, attrazioni ed ospiti.

Dal 3 al 12 Agosto la NBA House ha accolto centinaia di visitatori ogni giorno, con un’agenda di avvenimenti che spaziava dal clinic firmato dai grandi ex della NBA, da Dikembe Mutombo a Sam Perkins, da Bruce Bowen a Robert Horry, ai collegamenti in videochat con i campioni di oltreoceano, Amar’e Stoudemire e Stephen Curry tra gli altri, alle esibizioni delle Celtics Dancers e delle scatenate mascotte Rocky e Benny The Bull.

Nella mattinata di martedì, dopo una breve parentesi concessa ai membri dei media, esibitisi in un torneo di 3 vs. 3 di dubbio livello, tra una partenza in palleggio incrociato ed un passaggio due mani al petto, Bruce Bowen e Big Shot Robert Horry si sono concessi ai microfoni della stampa, dicendo la loro riguardo Team USA, Gregg Popovich ed altro ancora.

Queste le parole di Bowen.

Hai visto la partita di ieri sera (La vittoria nel girone contro l’Argentina, 126 a 97)? Cosa è cambiato dopo l’intervallo (Terzo quarto terminato 42 a 17 per Team USA che aveva chiuso il secondo avanti 60 a 59)?

Nei primi due quarti Team USA ha permesso all’Argentina di restare a contatto, non c’era energia difensiva. Coach K negli spogliatoi deve averli scossi, deve avergli detto “Ragazzi, non è che noi andiamo lì fuori e gli avversari ci cadono attorno, dobbiamo utilizzare il nostro atletismo, la nostra forza, e sfruttare gli accoppiamenti che si vengono a creare”. Questo credo sia quello che è successo. Iguodala ha messo in campo molta energia nella prima metà di partita, ma non era supportato dai compagni, mentre nel secondo tempo tutti sono diventati più aggressivi e levando all’Argentina i suoi punti di forza.

Si sente spesso dire che la difesa non sia sexy: credi che ti sarebbe stato riconosciuto maggior credito se fossi stato capace di dare nella metà campo offensiva quello che davi in quella offensiva?

Per la nostra squadra, quello era il necessario. Molte persone non sanno, o non ricordano, che nelle altre leghe dove ho giocato ho spesso avuto medie realizzative alte, ma se vuoi far parte di qualcosa di speciale, devi essere pronto a minimizzare alcuni aspetti del tuo gioco, per permettere anche ad altri di avere un ruolo speciale. Con Manu, Tony e Tim avevamo tutto quello che ci serviva in attacco: Tony aveva la capacità di penetrare ed entrare nel pitturato, dove gli altri non potevano raddoppiare lui o Tim perché si dovevano preoccupare di Manu sul perimetro. Penso che quando stai mettendo assieme un team, devi avere dei ragazzi pronti ad essere altruisti, ripetutamente, per poter ottenere la medaglia d’oro, o il titolo NBA, che per noi era l’oro. Potevo essere il giocatore che metteva 15 punti di media in una pessima squadra, ma nessuno avrebbe mai sentito parlare di me.

Che ruolo credi svolga la forza di volontà nel diventare, ed essere, uno dei migliori difensori della Lega?

Tre quarti del ruolo sono tutti forza di volontà. È una questione di consapevolezza, di sapere che quello è necessario per vincere. Sapere che per arrivare all’oro è necessario fare dei sacrifici da un lato, e raccoglierne i frutti dall’altro; sapere che se ci si mette il cuore in difesa si può ottenere qualcosa di speciale. Con Tyson Chandler in area non c’è molto di che preoccuparsi di quello che succede sotto canestro, e si può mettere molta più pressione sugli esterni con Durant, James e Kobe. In pochi poi riconoscono lo sforzo che Chris Paul mette in campo nell’attaccare e rubare il pallone nella metà campo difensiva.

Prevedi una sconfitta degli Stati Uniti prima della fine dei Giochi Olimpici?

Non credo, no. Ma è una cosa che può essere ripetuta ogni giorno, e continuerebbe a restare una questione di atteggiamento mentale. Possono entrare in campo rilassati, come è successo con la Lituania, o realizzare una quantità ridicola di canestri come contro la Nigeria. Paradossalmente, però, sono sforzi come quelli contro la Lituania che servono di più alla squadra, perché li allena a metterci cuore e anima. Siamo onesti, qui non si hanno a disposizione le strutture per allenarsi, non si ha nemmeno il tempo, non si fanno le sessioni di video. Devi andare lì fuori e rincorrere fisicamente la vittoria, tornare con i piedi per terra, perché non accadrà spesso che tireranno con percentuali come quelle avute contro la Nigeria.

È molto probabile che Coach K lascerà la guida di Team USA dopo le Olimpiadi, ed è opinione comune che Gregg Popovich ne sarebbe un degno successore. Ti piacerebbe vedere Pop sulla panchina della selezione nazionale?

Io sarò dalla parte di chiunque venisse selezionato per guidare Team USA, anche se ovviamente mi piacerebbe moltissimo veder dare a Gregg Popovich la possibilità di rappresentare il nostro paese, in particolar modo sapendo che lui ha trascorso molto tempo nell’aviazione militare. Sì, mi piacerebbe molto, ma allo stesso tempo so che la delegazione deputata alla selezione del coach farà un ottimo lavoro, scegliendo qualcuno che rappresenterà il paese ed il gioco come noi vogliamo che sia. A chi non piacerebbe essere qui? Vedere i migliori giocatori, respirare l’atmosfera, sentire le canzoni… Ne parlavo l’altro giorno con un amico, abbiamo bisogno di un coro che non sia “Born in the USA” di Bruce Springsteen o l’inno nazionale. I tifosi delle altre nazioni cantano vere e proprie canzoni. Sono stato ad una partita di calcio, e lì i tifosi cantano per tutto il giorno! Come può essere? Gli vengono consegnati i testi quando sono bambini? Gli viene detto “Devi impararle entro i tredici anni, poi le canterai alla partita”.

Cosa ne pensi dell’incontro tra diverse correnti di pensiero della pallacanestro, qui al torneo olimpico? Che effetti può avere la fortissima influenza statunitense sul gioco, qui a Londra?

 Innanzitutto è qualcosa per cui gli Stati Uniti si sono battuti molto, al giorno d’oggi se non si parla degli USA e della medaglia d’oro è una sorta di delusione, ma immagino che le altre nazioni avvertano la stessa cosa verso le loro squadre. Non è una questione di guardare e superare il talento altrui, ma semplicemente di battersi per essere il migliore, è il principio dello sport. Per essere il più bravo dei lavorare più duro di tutti, e gli Stati Uniti ci stanno lavorando da diverso tempo, se così dovesse accadere sarebbe fantastico, ma non andrebbe dimenticato quanto dimostrato dalle altre nazioni. Non ci sono solo gli Stati Uniti, ogni nazione ha il proprio percorso per arrivare ad essere la migliore, per essere alle Olimpiadi e competere al più alto livello possibile.

La tua opinione sulla squadra francese? Ovviamente conosci Tony Parker e saprai che è costretto a giocare con degli occhiali protettivi, cosa pensi che potrà fare in queste condizioni?

Non credo che la sua vista sia abbastanza condizionata da farlo smettere di tirare! Lui sa come tirare e come andare a canestro, e continuerà a farlo. Non seguo la squadra francese, ma so che molte volte non ha espresso al massimo le proprie capacità, e non se ne capisce il motivo. Ma hanno molto talento, hanno Boris Diaw, Ronny Turiaf e Nicolas Batum che giocano nella NBA, e spesso si pensa che dovrebbero avere molto più successo di quello che effettivamente hanno. So che Tony giocherà duro, ma so che avrà bisogno di aiuto, se questo gli verrà dato chissà cosa potrebbe succedere…

NBA House @ Covent Garden

NBA House @ Covent Garden

Bowen si alza, scambia ancora due parole con l’inviato di Radio France London, confessandogli di non essersi goduto appieno la Francia in giovane età, ma di averla apprezzata solo diversi anni dopo, dopodiché prende la strada che porta al campo di gioco, dove bambini, tifosi, turisti e semplici curiosi sono pronti a farsi coinvolgere nel programma odierno.

Passa una manciata di ore prima che Robert Horry faccia la sua apparizione nel backstage dell’evento. È evidente che, a differenza del suo ex compagno Bowen, ancora in splendida forma nei suoi pantaloni kaki e nella polo firmata Spurs, Big Shot Rob ha imboccato una linea di pensiero leggermente più votata al relax ed ai piaceri della tavola.

Quanto importante credi che sia la presenza della NBA House qui sul territorio inglese, e quanto credi possa fare per i bambini locali.

Credo sia importante, molto importante, non si ha spesso l’occasione di godere di eventi organizzati e preparati a questo livello. Interagire con i giocatori da oltreoceano, incontrare di persona le stelle del passato… C’è un atmosfera splendida, ed alcune volte è anche molto divertente!

Hai avuto l’onore di far parte dell’organizzazione dei San Antonio Spurs, e di vincere un paio di titoli con loro. Dicci qualcosa che non sappiamo di Gregg Popovich, l’uomo del mistero. Non si conoscono molte cose di lui come persona.

È per questo che è l’uomo del mistero! Nessuno sa niente di lui! A parte gli scherzi, è un grande uomo, un grande allenatore, vede la squadra come una famiglia e tiene ai suoi giocatori che se fossero i suoi figli. Ho apprezzato moltissimo il suo lavoro mentre era in Texas, sia per quanto riguarda la pallacanestro che per quanto riguarda quello che accade al di fuori del campo.

San Antonio è un esempio vincente da moltissimi anni, nonostante non abbia mai smesso di rinnovarsi. Qual è il loro segreto?

È una cosa che a San Antonio chiamano oneness (Letteralmente, “L’essere una cosa sola”, NdA). La capacità di essere tutti alla stessa pagina del libro, di non lasciare che qualcuno prenda una strada separata, o pensi alla chiamata per l’All-Star Game o al titolo di miglior realizzatore. È il voler ottenere la vittoria tutti assieme, alla fine della giornata. È questo che rende gli Spurs un’organizzazione così incredibile, così votata al collettivo.

Resterebbe così se coach Pop lasciasse? Se le voci che lo vorrebbero sulla panchina di Team USA si rivelassero corrette?

No, se Pop lasciasse san Antonio questa non sarebbe più la stessa, ci sono certi coach in questa Lega che portano alle proprie organizzazioni un certo livello di reputazione, di mistero, di seguito. Se oggi gli Spurs sono riconosciuti per una cosa, questa cosa è lui, quindi non credo che Gregg lascerà mai la franchigia. Forse cambierà ruolo, ma gli Spurs sono il suo bambino, sono il suo cuore, e lui non li lascerà.

Nella tua carriera hai giocato con tre dei più grandi lunghi della storia del gioco, Hakeem, Shaquille e Tim Duncan. Potresti metterli in un mini-rank?

Hakeem sarà sempre il numero uno. La cosa che lo distingue da tutti gli altri lunghi con cui ho giocato è che lui è sempre stato un eccellente difensore, gli altri potevano essere buoni difensore, lui era eccellente. Lui tirava i liberi molto bene, tutti gli altri erano cattivi tiratori dalla lunetta. Fa una grandissima differenza. Tra Shaq e Tim proporrei un parimerito, anche se Shaq potrebbe superarlo, perché effettivamente lo ha superato diverse volte sul parquet!

Stai seguendo Team USA ed il loro percorso alle Olimpiadi?

Ho visto l’ultima partita (W 126 a 97 sull’Argentina), ma abitualmente seguo tutte le altri squadre, eccetto Team USA. Vedo giocare quei ragazzi continuamente, quindi sono più incuriosito da chi arriva da altre competizioni, da chi gioca in modo diverso. Mi hanno ben impressionato Brasile e ovviamente Argentina, oltre naturalmente alla Spagna. Mi piace seguire tutti perché c’è sempre quel tizio di cui non hai mai sentito parlare prima che sfodra una giocata o una partita memorabile.

Credi sarà una medaglia d’oro facile per gli Stati Uniti?

Abbastanza!

Chi arriverà seconda, quindi?

La Spagna.

E terza?

Argentina, anche se vedo molto bene anche la Francia. Probabilmente arriverà in finale, ma verrà battuta dall’Argentina.

Sollecitato sul presunto tanking ad opera della Spagna, contro il Brasile, per evitare di incontrare Team USA prima della finale per l’oro, Robert si fa una sonora risata, poi chiude confessando: “È stata una scelta furba, l’importante è averlo fatto tenendo in campo i migliori giocatori…”

NdA: L’intervista con Robert Horry si è svolta in collaborazione con Keith Firmin, collaboratore del Mirror. Potete trovare i suoi articoli qui.

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