Fine degli scherzi: il Re ha finalmente la corona, e l’anello

E’ passato da essere il PRESCELTO, ad essere un RINGLESS, ad essere lo sportivo più odiato del mondo, ad essere un campione NBA.

9 anni, 688 partite, 223 di playoffs, 3 finali Nba prima di poter alzare quel trofeo così tanto cercato, così tanto voluto.

LeBron però in quest’ anno è cambiato, radicalmente, ed è per questo che è riuscito ad alzare il Larry O’Brien Throphy.

Tutto inizia l’ anno scorso, quando Dirk lo aveva spinto verso il baratro più profondo, quello da cui pochi sarebbero usciti, ma da li, dopo quelle due settimane chiuso in Hotel, senza parlare con nessuno, senza guardare neanche la Tv perché anche i cartoni animati si prendevano gioco di lui, proprio in quei momenti è iniziata la metamorfosi.

LeBron alla prima partita della stagione, proprio contro i campioni in carica, si è presentato in una nuova versione mai vista prima: molto più post-basso, molta più corsa e nessun tiro da 3 e addirittura con un tiro nuovo nell’ arsenale, che però non mostrerà più durante la stagione.

La regular season ha mostrato un James più “cattivo” , con tanta voglia di usare il contropiede e cercare punti sotto canestro; a tratti lo si è visto, quando Wade o Chalmers avevano la palla in mano, tagliare dal lato debole per andare a realizzare due punti facili, in modo fluido.

Già la fluidità nei movimenti di LeBron era cambiata, non si fermava più con la palla in mano, non spezzava più il movimento, ma usava il suo corpo, dannatamente troppo perfetto, trovando punti facili.

Il numero 6 sembrava iniziare ad essere inarrestabile, ma il bello era troppo bello, e così durante la stagione, si è visto certamente un LeBron nuovo, che cercava più di usare i suoi mezzi fisici sotto canestro, ma ancora con i difetti che lo hanno accompagnato in questi anni: tendenza a fermare il gioco, a tenere tanto, troppo, la palla in mano, ad ostinarsi a cercare jumper dalla media, a sbagliare ancora molti liberi e quindi ad essere criticato ancora per non essere “clutch”.

Perché in quei momenti, quando la partita era in bilico e qualcuno la doveva decidere, era ancora debole, aveva paura, troppi momenti bui, troppi fantasmi dal passato, troppo dolore forse e tanta insicurezza; e così le scelte di tiro diventavano quelle sbagliate, e i passaggi diventavano forzati, come durante l’ All Star Game, quando con Kobe davanti, ha gettato via la palla, cercando Wade, perdendo la partita. Durante l’ anno in più occasioni le partite le chiudeva proprio l’ ex Marquette, con LeBron a guardare.

“Clutch” o no, LeBron faceva davvero paura, e non solo per quello strapotere fisico in attacco mischiato a quella tecnica sopraffina, ma anche e soprattutto per quello che ha dimostrato in difesa; in certe partite ha difeso su tutti i 5 ruoli (epica quella su Gasol) usando un’ intelligenza e un’ energia mai vista prima.

27.1, 7.9 rimbalzi, 6.2 assist, 1.8 rubate e 0.8 stoppate di media nella regular season, tutto era apparecchiato per il terzo titolo MVP, anche contro un Durant che faceva il fenomeno e si guadagnava il premio per miglior realizzatore ed un Kobe che sembrava aver preso la macchina del tempo, trascinando i suoi Lakers ai playoffs.

Troppo dominante su entrambi i lati del campo per non essere votato miglior giocatore; e così un’ altro premio da mettere in bacheca, il terzo per la precisione, ma solo un trofeo, “perché si sa che lui è il più forte giocatore, durante la regular season”.

Poi però qualcosa è scattato, di nuovo, a fine stagione, quando dovevano iniziare i playoffs, niente più spettacolo, niente più twitter, niente più talco.

Nella prima prestazione contro i Knicks, Lebron, come al suo solito, ha voluto mettere subito le cose in chiaro, 71.4 % dal campo, 32 punti e una difesa stratosferica contro un Anthony che sparisce dai radar.

Tutti poi sanno che la serie è stata vinta e di tutte le difficoltà accadute nel secondo turno contro Indiana: sotto 2 a 1, senza Bosh, con un Wade praticamente senza un ginocchio e nervosissimo, LeBron ha trovato in Chalmers e in Battier prima, e poi di nuovo nel suo grande amico Dwyane, gli uomini per vincere, ed ha anche trovato sé stesso, non sparendo mai dal gioco, come gli era capitato negli anni passati.

In Finale di Conference arrivano i Celtics, la bestia nera di Lebron, quelli che l’ hanno sconfitto e fatto tornare con i piedi per terra negli anni con i Cavs.

Tutto sembra andare dalla parte giusta, avanti 2 a 0, la serie sembra chiusa ma gli Heat peccano di vanità, perdendo gara 3, si fanno rimontare e addirittura vanno sotto per 3 a 2.

Tutte le ombre, tutte le paure sembrano ripresentarsi davanti ai suoi occhi; gli “Haters” già godevano e le testate giornalistiche erano già pronte ad usare quintali di inchiostro per riscrivere la storia del più forte perdente di tutti i tempi.

LeBron aveva ancora una volta tutti gli occhi puntati addosso, tutto il mondo era lì per guardarlo risorgere o cadere, definitivamente. A molti però è sembrato tutto dannatamente uguale a 3 anni fa: stessa squadra, stesso palazzetto, stesse aspettative, stesse sicurezze nei suoi tifosi, tutto ritornava là, a quel Boston-Cleveland, dove tutti lo avevano visto indossare per l’ ultima volta la maglia dei Cavaliers.

Questa volta, però, il finale è leggermente cambiato e come l’araba fenice è risorto dalla ceneri dei suoi Miami Heat. Un’ apoteosi totale, una prestazione che ha sfiorato la perfezione nel primo tempo per entrare nella storia a fine gara, quando tutti hanno notato la sua supremazia su quel parquet.

Quello sguardo a metà partita, immortalato dalle telecamere di ESPN, è diventato l’ emblema del nuovo LeBron; superiore, affamato, decisamente troppo forte per chiunque. Quella partita entrerà nella storia, sicuramente, per i suoi 45 punti, per aver dominato per 48 minuti, realizzando ogni tipo di tiro, e per aver vinto da solo. In quegli occhi tutti avevano visto per la prima volta, nessun tipo di rabbia, paura o timore: solo una ferrea determinazione.

Una determinazione che si è trasformata in consacrazione durante le Finals, in cui LeBron ha giocato con quel talento sopraffino che la natura gli ha donato, miscelata ad un’ umiltà che l’ hanno portato su quel palco sopra tutti e tra le leggende di questo sport. Ci è entrato in modo speciale, solamente Magic e Duncan erano stati MVP durante la stagione e anche durante le Finals.

LeBron ha dominato in ogni parte del campo in questi finali, giocando da uomo simbolo, prendendosi le sue responsabilità e chiudendo con 28,6 punti, 10,2 rimbalzi e 7,4 assist.

E’ riuscito nell’ impresa di frenare il miglior attaccante di questa lega e suo grande amico, Kevin Durant, ad essere il miglior passatore della sua squadra e ad essere “clutch”, zittendo così definitivamente tutti i suoi delatori.

Il “feadway-bankshot” di gara 2 e la tripla con una gamba sola a disposizione in gara 4, sono il simbolo di questo nuovo LeBron, calmo, sicuro di sé e vincente.

Una lenta maturazione, più mentale che tecnica, perché tutto quello che abbiamo visto quest’ anno c’è sempre stato dentro di lui, non ha dovuto far niente per modificare il suo fisico, si è solo dovuto convincere a giocare più vicino a canestro dove, con quell’atletismo e con quell’ agilità, ha dominato i suoi avversari.

E’ passato per l’ inferno, facendo scelte mediaticamente sbagliate, diventando lo sportivo più odiato d’ America, ma ha capito, ha chiesto scusa, si è tolto la maschera da “bad boy”; è ritornato ai primi anni a St. Vincent and Mary, quando non c’ erano copioni scritti, quando era solo un ragazzo che amava giocare a pallacanestro.

5 thoughts on “The New LeBron

  1. Bell’elogio di un sano lebronista :-) Articolo fedele, a LeBron resterà solo il macchione del “not one, not two…” a meno di non vincere almeno 5-6 titoli.

  2. l’articolo riassume quello che è più importante: lebron ha vinto perchè ha giocato con intelligenza e umiltà. la sbruffonaggine che aveva, specialmente lo scorso anno non era solo odiosa a livello umano, ma era un grave blocco sportivo, visto che non si “sporcava le mani” a fare tutte quelle cose che lo rendono immarcabile, ma anche più “normale”, come la difesa per 48 minuti, tiri facili, appoggi al tabellone in post contro i 3 avversari e viaggi in lunetta, scarichi intelligenti per i tiratori…

  3. *fadeaway-bankshot

    Analisi forse un po’ troppo poetica ma giusta, LeBron al momento è il più forte c’è poco da fare e poco da discutere. Se i tiratori da 3 che hanno (e quanti ne hanno) fanno una stagione medio-buona, qui arriva un’altro anello

  4. Not one, not two, not three, talenti a south beach, sbruffone, talco e balletti o signur, due spalding, AIUTO, primo anello 3 mvp A-IUTO, campionato chiuso, AI-UTO help me, big three jesus+rashard oh oh, AIU-TO help we Help , risatine portare i talenti, AIUT-O help help sos sos, pat riley+Spo, AIUTO, spiagge Miamesche, lambade A-I-U-T-O!

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