Le Finals quest’anno sono state anche una sfida molto fashion…

Ok, avevo imbroccato il finale, e qui finisce la parte auto celebrativa. Perche’ la trama e’ stata perfino divertente, colpi di scena inclusi.

Diciamo le cose come stanno: i primi due turni di playoff sono stati miserelli.

Come nei romanzi gialli che si rispettano, siamo partiti con il “morto”. Sportivamente parlando, la vittima e’ stato Derrick Rose che, a babbo di gara1 gia’ affidato all’impresa di pompe funebri, ha pensato bene di caricare un gorilla sulle spalle del suo coach (reo di non averlo panchinato una volta decisa la partita) ed ha visto il suo legamento crociato andare per sesso a pagamento durante il salto per uno dei suoi tiri carpiati.

I Chicago Bulls sono diventati, nello spazio di un salto, da seria candidata almeno alla finale di Conference, a confraternita di facce costernate in attesa di una risonanza magnetica, con esito nefasto.

E siccome la strega dai denti verdi, quando attacca a sorriderti, non ti molla piu’, giriamo anche per bene la caviglia del figlio del tennista, cosi vi togliete dalla testa che potete ambire a qualcosa che non sia la stagione del golf.

Philadelphia ha ringraziato, e lo hanno fatto soprattutto i compagni di merende dell’ospizio del Leprecauno, infilatisi per bene nel corridoio del tabellone, un po’ come se a Wimbledon Nadal inciampasse in un secondo turno contro uno che, in condizioni normali, non sarebbe degno di sciacquargli nemmeno il polsino.

Da quella parte del tabellone nasce e si sviluppa cosi’ una semifinale di conference tra le piu’ orride che mi sia mai capitato di assistere e che, per colmo di masochismo, giunge perfino a gara7.

Hanno la meglio i Celts, principalmente perche’ a casa Garnett pranzo e cena sono serviti dal druido dei galli che prepara la pozione magica, la quale ha effetti assurdi nel “simpatico” Zanna Bianca, che gioca con il consueto furore in difesa, mentre in attacco vede il canestro grosso come il reggiseno della Clerici.

Dall’altra parte del ranking ad Est, Miami comincia prima del previsto a mostrare il suo attacco “a due Punte e tre portaborse” (Madame Bosh si fracassa gli addominali in gara1 e sparisce dalla scena).

Indiana sembra la riedizione moderna dei Bad Boys, con parecchia gente che aggredisce canestro ed avversari come posseduta. In questo contesto “psycho” Hansbrough e’ a suo agio come Nicholson in un albergo dove girano bambine con tricicli, le da’ (tante) e le prende (tantissime e fortissime), ma soprattutto, assistiamo ad un clamoroso sit-in  campo di Wade (l’altro) che per un intera porzione di gara tre gioca come un muretto, ricevendo il pallone e restituendolo al mittente, in evidente polemica contro l’universo tutto.

Al povero Lebron, che nel frattempo canta, porta la croce, da’ i sacramenti e si preoccupa perfino di pulire la canonica, non si puo’ perfino chiedere di fare il leader cazzuto, cioe’ tirare un pugno sul naso del bamboccio numero 3 per dirgli che, in questo modo, la finestra per fare “non uno, non due, non tre……etc.etc.” titoli rischia di scoppiare in faccia a tutti.

Ad ogni modo, con le chiappe ben oltre il precipizio, tra gara 3 e 4 le cosine si sistemano, e Miami approda al confronto contro l’ospizio di Boston.

Ad Ovest invece, fermo restando che ci si diverte assai di piu’, lo sviluppo e’ piu’ lineare, ed in fondo arrivano le favorite della stagione: due squadre molto diverse nella carta d’identita’, ma assai simili nella filosofia che guida le dirigenze (ed infatti chi e’ al volante di Oklahoma, ha fatto teoria e pratica alla scuola guida degli altri….)

Fortunatamente, le Finali di Conference sono state belle assai: bellissima ad Ovest, con San Antonio che dapprima confermava di aver disimparato a perdere, ed Oklahoma che poi, una volta aperto un buchino nel meraviglioso vestito di seta degli Spurs, ha dato due paurosi strattoni ed aperto uno squarcio irreparabile.

Dall’altra parte i Celts sembrano prima un canotto in balia delle onde, poi si aggrappano a Harry Potter con il 9, sfruttano con Garnettix il vuoto in area lasciato da Bosh, e in gara 5 agitano mostruosi fantasmi a casa di Lebron.

La gara 6 e’ quella della storia: e la storia decide che il nuovo va premiato. Durant e il suo zainetto, Westbrook e le sue camicie improbabili affondano la corrazzata Popovic e arrivano in finale, con il vantaggio del campo ed i favori del pronostico.

E proprio mentre gli avvoltoi anti-Heat si danno appuntamento al Garden, Lebron decide che si e’ rotto di passare un’altra estate a rimuginare su cosa non e’ stato, e verga di suo pugno una paginetta autografa della storia del gioco.

Gara 6 non comincia neanche, nel senso che tutti, spettatori, Celtics e pure i compagni degli Heat, sono inconsapevolmente inviati ad un monologo del Gozzillone (nome indiano “camicia_con_disegno_a_tovaglia_che_porta_talento_a_Southbeach”), il quale, dopo anni, trova l’antidoto al suo piu’ grande difetto, ovvero il non essere troppo decisivo negli ultimi 2 minuti. Infatti, giocando come un semidio i primi 40, negli ultimi 2 minuti puo’ serenamente godersi il garbage dalla panchina….

La botta tramortisce i poveri Celts, ed in gara7 non basta la scaramanzia sulla lavagna di coach Rivers (“fate la valigia per una settimana”, come se poi ci si dovesse trasferire a casa Durant).

E, per la seconda volta consecutiva, il trio (perche’ nel frattempo Bosh e’ tornato ed e’ subito risultato determinante) si presenta ai cancelli del paradiso. Ma, e non e’ particolare di poco conto, da sfavoriti. Il che non vieta agli avvoltoi di cui sopra di migrare verso Oklahoma City, per gioire al termine di gara1 e prefigurare l’ennesima campagna infruttuosa del bestione.

E’ anche un duello di camicie: la gia’ citata “disegno a tovaglia” del James che, lo avrete capito, mi ha sconvolto per la vita, e quelle ben piu’ frequenti e psichedeliche del Westbrook, abbinate agli occhiali della Wertmuller, che mi fan sempre ricordare che soldi e gusto  spesso sono come (citando l’immenso Brunello Robertetti) “come due rette parallele che non si incontrano mai, e quando si incontrano, non si salutano”…

Con quel che hanno fatto a San Antonio, il logico pronostico dice OKC e Durant.  Pronostico confermato in Gara1…. Ma stavolta gli dei del Basket hanno deciso: Lebron James ha aspettato abbastanza, ed e’ giusto premiarlo per avere mantenuto per tutta la stagione, playoff compresi, un atteggiamento di profilo basso… e gli perdoneremo anche il paradenti con “XVI” che fa un po’ gladiatore romano e un po’ contabile (16 vittorie all’Olimpo).

Gli dei di cui sopra, dopo essersi accertati che il nostro druido non e’ piu’ impiegato a Boston e San Antonio, lo convocano e gli danno una missione semiimpossibile: prendere la schiena di Mike Miller (una fabbrica di dolori lancinanti in funzione 24/24 h) e far si che il ragazzo possa giocarci sopra, quasi come niente fosse, e risultare decisivo.

Il druido annusa l’aria e dice che gli serve tempo, che la cosa non sara’ fattibile da subito, ci vorranno 2-3 gare di rodaggio. Ma gli dei, in quanto tali, lo rassicurano, dicendo che per gara 2, 3 e 4 ci penseranno loro, innestando sul polso destro di Shane Battier (scienziato del gioco, grande difensore, persona intelligente ma percentuale di tiro del tipo “Griffin ai liberi”) le falangi di Ray Allen…

E siccome, se sei un Dio, non ti fai mancare niente, prendi Harden (uno che fino a li’ non aveva sbagliato niente) e gli nascondi la bussola, facendolo vagare per il campo come un turista italiano ubriaco al venerdi notte in piena Oktoberfest…..

Risultato: Harden che sembra una barba in cerca di un rasoio, e Shane che tira con un curioso 17-29 per tutta la serie.

Scritta cosi’, sembra che Miami abbia avuto solo del gran culo, e francamente non sarebbe giusto. Torniamo a Lebron, la pietra dello scandalo, quello che per anni ci ha diviso tra quelli che non capivano come facesse un mostro simile a non avere ancora vinto, e quelli (eccomi fra voi) che non nascondevano la soddisfazione ogni volta che vedevano questo Golia chiudere la stagione guardando altri che sollevavano trofei.

“Il ragazzo non e’ cattivo, ha un talento fuori scala, ma e’ ancora convinto che puo’ vincere giocando con lo smoking, senza sporcarsi le mani” … abbiamo sempre detto, fino a giugno di quest’anno.

Lebron in finale (che, ve lo ricordo, per lui non e’ durata 5 partite, ma e’ cominciata in gara 6 contro Boston) ha giocato in post, non si e’ fatto problemi a giocare spalle a canestro (dove non e’ contenibile da nessun mammifero) ha preso rimbalzi in quantita’ industriale, e’ andato in lunetta una montagna di volte… e’ stato dunque uno straordinario giocatore nel fare le cose normali e nel prendersi appieno i vantaggi che la sua irripetibile carrozzeria gli consente.

Per far questo, mi piace pensare che abbia fatto un bel bagno di umilta’, l’unica dote che forse ancora non gli abbiamo riconosciuto. E a quel punto gli ha fatto spazio anche Dwayne, che ha giocato dei playoff quantomeno controversi (un giocatore vecchia scuola, dopo gara 3 ad Indianapolis lo avrebbe sfasciato di mazzate…) ma che non ha fatto storie quando ha capito che il suo compagno aveva trovato la chiave di volta, e sarebbe bastato assecondarlo.

I discorsi seri sono finiti, e non ci rimane che vedere il capolavoro del nostro druido in gara 5. Mike Miller butta giu il gettone, fa un gran respiro e piazza un 7-8 dall’arco nella prima (ed unica) gara in cui Miami ha il match point.

Zainetto e camicia psichedelica capiscono entrambi che non e’ il loro anno. Camicia psichedelica ha appena dipinto il Cenacolo in gara 4, salvo poi inciampare nel barattolo di colore e mandare il capolavoro nel condominio dell’Olgettina, commettendo un fallo che insulta le intelligenze cestistiche del pianeta.

E cosi i bambini, arrivati con beata incoscienza fino alla Finale, vengono respinti proprio quando sembrava che il grosso fosse dietro le loro spalle, e (finalmente) Lebron si butta giu King Kong dalle spalle, e puo’ respirare. “non uno, non due, non tre…..” mi sa che rimarra’ tra le illusioni, pero’ uno e’ decisamente meglio di zero….

Alla fine il druido, vero protagonista di questi playoff, puo’ ritornare nelle foreste dell’antica Gallia, in attesa di un’eventuale chiamata nella prossima primavera. E noi, stanchi e provati da queste nottate in bianco, possiamo riposare oppure parlare del delirio di scambi di questo periodo.

No, non oggi. Buona estate…

6 thoughts on “Barba, Camicie, Zainetto e Druido

  1. C-A-P-O-L-A-V-O-R-O! Dovresti scrivere di piĂą Kikko, muoio ogni volta che leggo i tuoi pezzi!

  2. mi scuso per una MOSTRUOSITA’ ortografica, che spero di riuscire a sistemare prima che la mia maestra elementare lo venga a sapere….

  3. Grande Kicco! Comunque sul rapporto tra soldi guadagnati in NBA ed eleganza dei giocatori c’è proporzionalitĂ  inversa! La Lega ne è piena da sempre :-)

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