Mario Chalmers, spesso sottovalutato, ha dato un contributo fondamentale per il titolo di Miami

Il secondo titolo nella storia dei Miami Heat sarĂ  ricordato per sempre come il primo anello di LeBron James, finalmente in grado di essere decisivo quando contava esserlo e finalmente supportato da una squadra pronta a vincere.

Gli Heat di quest’anno probabilmente non sono stati la miglior squadra in assoluto: gli Spurs hanno espresso il gioco  più piacevole, i Thunder i più completi in ogni reparto, Chicago senza l’infortunio di Rose avrebbe forse potuto fermare il cammino di LeBron e compagni.

La storia recentissima però ci racconta di un Mike Miller autore di un sette triple su otto tentativi nella gara decisiva, di un Battier chirurgico in attacco come non mai, di un Chalmers che nonostante i soliti limiti riesce a essere incisivo e decisivo.

Quando due anni fa nascevano questi Heat l’idea del G.M. Pat Riley era quella di provare a far giocare assieme tre All-Star come James, Wade e Bosh completando il roster con una serie di tiratori piazzati in grado di punire i raddoppi sulle tre star, il tutto senza un centro nemmeno lontanamente degno di questo nome, il tutto con il consenso del padrone di casa Dwayne Wade.

Wade ha accettato il prepotente irrompere di James, diventato il punto di riferimento della squadra, ricoprendo alla perfezione il ruolo di spalla anche a causa di problemi famigliari e fisici che ne hanno condizionato l’intera stagione.

Emblematica la serie contro i Pacers. Quando Wade ha giocato da Wade, nonostante l’assenza di Bosh, Miami ha dominato Indiana ribaltando l’inerzia di una serie che sembrava segnata. La mancanza di continuità e i sempre più frequenti problemi fisici fanno pensare che Dwayne stia iniziando la fase calante della carriera, ma la vittoria di quest’anno dopo anni deludenti post primo titolo c confermano che Flash è capace ancora di prestazioni di livello assoluto.

Più che per James, guardando la carta d’identità, l’urgenza di provare a vincere di nuovo era per Wade che scollina oltre la trentina in una squadra che nei prossimi anni proverà a ripetersi in un progetto che però durerà probabilmente l’arco di un paio, al massimo tre stagioni.

Discorso analogo per Bosh che scegliendo Miami sacrifica tutto ciò che aveva fatto ed era diventato a Toronto con il solo obiettivo di vincere l’anello.

Il suo rientro è stato decisivo per dare respiro in attacco a James e Wade, senza risentirne in difesa. Ibaka e Perkins hanno disputato una serie finale deludente ma Bosh si è dimostrato preziosissimo nelle piccole cose.

Entrato perfettamente nel ruolo di gregario, anche se di lusso, è risultato decisivo a rimbalzo, in particolar modo in attacco, da quando rientrato dall’infortunio è stato schierato come centro e non come ala.

Poche ma chiarissime le parole nell’intervista di celebrazione per il titolo: ”Sono venuto qui per vincere e ce l’abbiamo fatta”.

Pur essendo stato la chiave tattica della Finale, è difficile che possa ricoprire il ruolo di centro anche in futuro anche perché non ha le caratteristiche fisiche per poter marcare avversari come Howard e Bynum. Miami tornerà sul mercato quest’estate per cercare di migliorare la posizione a roster nel ruolo di pivot visti anche gli scarsi risultati ottenuti dai numerosi innesti di questa stagione.

Uno dei pochi colpi estivi Miami l’aveva segnato firmando Battier. Le critiche non son mancate: l’ex Memphis era l’ennesimo tiratore piazzato, copia dei Jones e Miller già a roster. A differenza dei giocatori citati Battier ha confermato le doti da difensori di primissimo livello, formando con James e Wade un trio capace di marcare qualsiasi esterno avversario.

Una dedica particolare Battier l’avrà  sicuramente tenuta per “Coach K”, suo allenatore a Duke. Dei tanti talenti uscita dal college della Carolina da quando al comando c’è “Coach K”,  Battier è il primo ad infilarsi l’anello al dito, anche se non il più talentuoso.

Altro artefice della vittoria di Miami è stato Mario Chalmers che con Haslem ha condiviso anche gli anni recenti meno fortunati. Spesso oggetto di critica entrambi hanno ritrovato concretezza nei momenti decisivi, nonostante prestazioni spesso altalenanti durante tutta la stagione.

Haslem ha dato il solito contributi difensivo nei ridottissima rotazione dei lunghi, Chalmers ha aggiunto anche qualche prestazione da oltre venti punti in attacco.

Menzione d’onore per un veterano che può finalmente prendersi una parziale rivincita per una carriera potenzialmente da All Star che non è mi decollata del tutto. Predestinato fin dai tempi del college Juwan Howard ha fatto parte di un gruppo di giocatori che dovevano dominare prima all’universitĂ  e poi tra i pro. Dopo carriere caratterizzate da occasioni gettate al vento e finali perse Howard ottiene un riconoscimento che idealmente va anche agli altri Fab Five di Michigan.

Webber e Rose si sono fermati ad un passo dall’anello, King e Jackson hanno vissuto solo marginalmente la NBA. A vent’anni di distanza Howard ha ottenuto il riconoscimento che per talento avrebbe meritato prima.

Miami vuole ripetersi nell’immediato e vincere il terzo titolo. Per riuscirci deve far tesoro della stagione appena finita e migliorare il roster già dalla prossima stagione. Howard e Miller probabilmente si ritireranno, Battier, Haslem e Chalmers torneranno per difendere il titolo al seguito dei “Big Three”.

Se saranno ancora i più forti lo stabilirà una  nuova lunga stagione, ora è solo il momento dei festeggiamenti, per molti e non solo per Lebron sono quelli del primo titolo, per alcuni sarà stato anche l’unico, per quelli che avevano già vinto nel 2006 avrà avuto un sapore particolare perché ripetersi è sempre più difficile che vincere la prima volta.

2 thoughts on “La banda di LeBron

  1. “Chicago senza l’infortunio di Rose avrebbe forse potuto fermare il cammino dei Celtics”, anzi senza forse. E i verdi non si sarebbero trovati magari a strapagare La banda di Garnett, visto che a febbraio Ainge diceva di voler fare tana libera tutti.. Contenti loro.

    Miami non è la piu forte? a me risultano due finali Nba in due anni. Il gioco bello non è sinonimo di forza assoluta, di forza e bellezza, ma non ASSOLUTA.

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